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  Dicembre 2012

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n° 6 Luglio 2004
 




     INSERTO ASSEMBLEA DEI SOCI GENERALE 2004 RELAZIONE DEL PRESIDENTE ANDREA PRETE
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LE IMPRESE CAMPANE SI R-INNOVANO
IL GRUPPO MPS OFFRE Il SUO SUPPORTO

LE OPPORTUNITÁ PER L' EXPORT
FORMAZIONE AL SERVIZIO DEL BUSINESS

EVOLUZIONE DEL SISTEMA BANCARIO ITALIANO
DAL MODELLO UNIVERSALE AI CREDITI POPOLARI

EVOLUZIONE DEL SISTEMA BANCARIO ITALIANO
DAL MODELLO UNIVERSALE AI CREDITI POPOLARI
Spazio agli istituti di dimensione limitata la cui forza sta nei soci

Sàntolo Cannavale
Esperto Mercati Finanziari
s.cannavale@virgilio.it

Il sistema bancario italiano ha vissuto negli ultimi quindici anni profonde trasformazioni e adattamenti riguardanti la dimensione e la specifica attività. Andrea Greco, su Affari & Finanza, sostiene che i nostri anni 90 saranno ricordati come l'epoca delle grandi concentrazioni bancarie. Si è calcolato che nel decennio scorso i ricavi medi delle banche nazionali sono cresciuti del 7-8% annuo. Questo scenario è ormai maturo, il tasso di crescita del nuovo secolo non supera il 5% e le dimensioni degli istituti italiani restano comunque inadeguate rispetto a quelle delle banche estere. Per questo si ipotizza una seconda fase di fusioni tra banche in Italia. Unicredit, Banca Intesa e Sanpaolo Imi hanno una capitalizzazione di borsa all'1.3.2004 di 26,6, 17,5 e 14,9 miliardi di euro e occupano rispettivamente il 15°, 17° e 20° posto nella particolare classifica europea. Il primo gruppo bancario, multinazionale britannica Hong Kong and Shangai Bank "HSBC", ha una capitalizzazione di 144,1 miliardi di euro, il secondo, Royal Bank of Scotland "RBS", 76,7 miliardi di euro. Sarà importante il nuovo ruolo assegnato all'Autorità Antitrust che affiancherà la Banca d'Italia nel controllo della concorrenza settoriale e quindi nella regìa delle, eventuali, nuove aggregazioni bancarie. I Commissari dell'Unione Europea avranno in materia un peso e una attenzione crescente. Si intravede il rischio di una iper-regolamentazione a livello nazionale (decreto sul risparmio e varie misure a difesa del consumatore) e comunitario (Ias, Basilea 2, nuove direttive dell'Unione Europea sui servizi finanziari, sul credito al consumo) anche sulla spinta dei recenti scandali, che potrebbero peggiorare significativamente la posizione per tutti gli attori, in primis la clientela, a seguito di un prevedibile aumento dei costi per maggiori controlli interni, di una riduzione netta del tasso di innovazione e quindi di concorrenza ed efficienza del sistema. È ipotizzabile anche un possibile peggioramento del livello di servizio. Ad esempio, oneri informativi troppo stringenti per la quotazione non incentiveranno le PMI italiane a quotarsi in borsa; prospetti informativi complessi e incomprensibili non aumenteranno la fiducia dell'investitore. È in corso il dibattito sul modello di banca universale e conseguenti conflitti di interesse. Secondo Claudio Bombonato di McKinsey, tale modello genera più valore. Le prime quindici banche europee, come pure le prime dieci italiane, sono tutte banche universali e anche gli USA, un tempo patria delle specializzazioni, dopo l'approvazione del "Gramm-Leach Biley Act" stanno convergendo chiaramente verso questo modello. Nell'ambito della banca universale, il modello organizzativo vincente appare essere quello multispecialista, con una capogruppo di governo e controllo che centralizza capitale, rischi e servizi comuni, e unità di business specializzate, spesso organizzate in specifiche società per azioni. Il limite più grande, oltre alla complessità di gestione, è rappresentato dai potenziali conflitti di interesse da gestire. Si segnalano in particolare i conflitti tra l'erogazione del credito e la sottoscrizione e collocamento sul mercato "retail" (cioè dei piccoli risparmiatori) di titoli azionari e/o obbligazionari; tra l'erogazione del credito alle imprese e l'acquisizione/dismissione di partecipazioni industriali; tra la gestione dei risparmi per conto della clientela e l'attività di sottoscrizione e collocamento dei titoli emessi dalle imprese; tra il collocamento sul mercato di prodotti di raccolta gestita e la loro produzione "in house", cioè negli uffici specialistici interni. In Italia i prodotti di investimento di terzi (banche, assicurazioni, istituti specializzati) pesano solo per il 10% dei prodotti venduti allo sportello. Con riferimento specifico alla dimensione delle banche italiane, Roberto Ruozi, sulla rivista di marzo 2004 dell'ABI (Associazione bancaria italiana), sottolinea come i problemi e i programmi delle piccole banche si stanno sempre più differenziando rispetto a quelli delle più grandi. Essi sono relativamente omogenei e mirano a porre in essere e/o a mantenere in vita imprese bancarie pressoché unicamente orientate al dettaglio, con forte sensibilità all'intermediazione tradizionale, basata cioè sulla raccolta diretta e sulla concessione di prestiti alle famiglie e alle imprese, specie di piccole e medie dimensioni. La vendita da parte loro di pacchetti e servizi di natura complessa concerne essenzialmente prodotti di terzi (quindi senza conflitti di interesse) nei riguardi dei quali le piccole banche in questione fungono da canali distributori. La vita di tali banche viene facilitata dall'esistenza di organismi consortili di categoria che svolgono in proprio determinate operazioni per conto degli associati i quali, da soli, non avrebbero né la capacità economica né quella tecnica per provvedervi. I problemi di queste banche, sostiene Ruozi, sono di natura tecnica, organizzativa e commerciale e non presentano particolare interesse dal punto di vista strategico. Nelle grandi banche, al contrario, i problemi strategici condizionano tutti gli altri e ci si interroga su quale tipo di modello imprenditoriale sarebbe opportuno e conveniente tendere. Per le grandi dimensioni, come sopra evidenziato, il modello di banca universale appare vantaggioso per le economie di scopo e controllo dei rischi. Mentre i grandi Istituti tendono a diventare sempre più grandi, si aprono spazi per le banche popolari, per le quali le dimensioni, piuttosto che rappresentare un limite, costituiscono un considerevole vantaggio. È il caso del Credito Salernitano, Banca popolare della Provincia di Salerno, che è in procinto di avviare la propria operatività. Il previsto capitale iniziale di venti milioni di euro è in buona parte coperto. La realtà che sta per affacciarsi sul mercato trae, oltre che la sua forza, la ragion d'essere dalla platea dei soci. Testimone di questa volontà è la scelta della forma societaria, cioè la "società cooperativa per azioni a responsabilità limitata". In tal modo si è abbandonata la possibilità, legalmente e operativamente attuabile, della "società per azioni", nella quale chi investe maggiori capitali conta maggiormente, per privilegiare, invece, criteri di uguaglianza e solidarietà. Pertanto ogni socio, a prescindere dalle quote sottoscritte, avrà diritto a un solo voto. La partecipazione azionaria del singolo socio non supererà lo 0,5% del capitale, esaltando in tal modo la forma cooperativa e i presupposti di mutualità. La "responsabilità limitata" consentirà di limitare il rischio complessivo alla sola somma investita, con esclusione di ulteriori responsabilità patrimoniali. La nuova banca legherà il suo sviluppo al territorio di appartenenza, costruendo con il cliente una relazione non standardizzata, promuovendo iniziative in favore della realtà socio-economica direttamente conosciuta. L'operatività della banca farà leva su convenienti e oculati rapporti di "outsourcing", cioè di attività affidate all'esterno (sistema informativo, prodotti, servizi). Questa precisa scelta consentirà di limitare al massimo gli investimenti fissi, di realizzare una struttura flessibile ed efficiente e di perseguire il giusto equilibrio tra competitività e contenimento dei costi, permettendole di misurarsi ad armi pari con concorrenti dalle strutture dimensionali maggiori. In questa prospettiva i ricavi tenderanno ad essere - con gradualità ed equilibrio - frutto delle commissioni derivanti dai servizi prestati nei diversi settori, piuttosto che conseguenza del solo margine di interesse (ricavi su prestiti al netto del costo della raccolta).

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