LE IMPRESE CAMPANE SI R-INNOVANO
IL GRUPPO MPS OFFRE Il SUO SUPPORTO
LE OPPORTUNITÁ PER
L' EXPORT
FORMAZIONE AL SERVIZIO DEL BUSINESS
EVOLUZIONE
DEL SISTEMA BANCARIO ITALIANO
DAL MODELLO UNIVERSALE AI CREDITI POPOLARI
EVOLUZIONE
DEL SISTEMA BANCARIO ITALIANO
DAL MODELLO UNIVERSALE AI CREDITI POPOLARI
Spazio agli istituti di dimensione
limitata la cui forza sta nei soci
Sàntolo
Cannavale
Esperto Mercati Finanziari
s.cannavale@virgilio.it
Il sistema bancario italiano ha vissuto negli ultimi quindici
anni profonde trasformazioni e adattamenti riguardanti la dimensione
e la specifica attività. Andrea Greco, su Affari & Finanza,
sostiene che i nostri anni 90 saranno ricordati come l'epoca
delle grandi concentrazioni bancarie. Si è calcolato
che nel decennio scorso i ricavi medi delle banche nazionali
sono cresciuti del 7-8% annuo. Questo scenario è ormai
maturo, il tasso di crescita del nuovo secolo non supera il
5% e le dimensioni degli istituti italiani restano comunque
inadeguate rispetto a quelle delle banche estere. Per questo
si ipotizza una seconda fase di fusioni tra banche in Italia.
Unicredit, Banca Intesa e Sanpaolo Imi hanno una capitalizzazione
di borsa all'1.3.2004 di 26,6, 17,5 e 14,9 miliardi di euro
e occupano rispettivamente il 15°, 17° e 20° posto
nella particolare classifica europea. Il primo gruppo bancario,
multinazionale britannica Hong Kong and Shangai Bank "HSBC",
ha una capitalizzazione di 144,1 miliardi di euro, il secondo,
Royal Bank of Scotland "RBS", 76,7 miliardi di euro.
Sarà importante il nuovo ruolo assegnato all'Autorità Antitrust
che affiancherà la Banca d'Italia nel controllo della
concorrenza settoriale e quindi nella regìa delle, eventuali,
nuove aggregazioni bancarie. I Commissari dell'Unione Europea
avranno in materia un peso e una attenzione crescente. Si intravede
il rischio di una iper-regolamentazione a livello nazionale
(decreto sul risparmio e varie misure a difesa del consumatore)
e comunitario (Ias, Basilea 2, nuove direttive dell'Unione
Europea sui servizi finanziari, sul credito al consumo) anche
sulla spinta dei recenti scandali, che potrebbero peggiorare
significativamente la posizione per tutti gli attori, in primis
la clientela, a seguito di un prevedibile aumento dei costi
per maggiori controlli interni, di una riduzione netta del
tasso di innovazione e quindi di concorrenza ed efficienza
del sistema. È ipotizzabile anche un possibile peggioramento
del livello di servizio. Ad esempio, oneri informativi troppo
stringenti per la quotazione non incentiveranno le PMI italiane
a quotarsi in borsa; prospetti informativi complessi e incomprensibili
non aumenteranno la fiducia dell'investitore. È in corso
il dibattito sul modello di banca universale e conseguenti
conflitti di interesse. Secondo Claudio Bombonato di McKinsey,
tale modello genera più valore. Le prime quindici banche
europee, come pure le prime dieci italiane, sono tutte banche
universali e anche gli USA, un tempo patria delle specializzazioni,
dopo l'approvazione del "Gramm-Leach Biley Act" stanno
convergendo chiaramente verso questo modello. Nell'ambito della
banca universale, il modello organizzativo vincente appare
essere quello multispecialista, con una capogruppo di governo
e controllo che centralizza capitale, rischi e servizi comuni,
e unità di business specializzate, spesso organizzate
in specifiche società per azioni. Il limite più grande,
oltre alla complessità di gestione, è rappresentato
dai potenziali conflitti di interesse da gestire. Si segnalano
in particolare i conflitti tra l'erogazione del credito e la
sottoscrizione e collocamento sul mercato "retail" (cioè dei
piccoli risparmiatori) di titoli azionari e/o obbligazionari;
tra l'erogazione del credito alle imprese e l'acquisizione/dismissione
di partecipazioni industriali; tra la gestione dei risparmi
per conto della clientela e l'attività di sottoscrizione
e collocamento dei titoli emessi dalle imprese; tra il collocamento
sul mercato di prodotti di raccolta gestita e la loro produzione "in
house", cioè negli uffici specialistici interni.
In Italia i prodotti di investimento di terzi (banche, assicurazioni,
istituti specializzati) pesano solo per il 10% dei prodotti
venduti allo sportello. Con riferimento specifico alla dimensione
delle banche italiane, Roberto Ruozi, sulla rivista di marzo
2004 dell'ABI (Associazione bancaria italiana), sottolinea
come i problemi e i programmi delle piccole banche si stanno
sempre più differenziando rispetto a quelli delle più grandi.
Essi sono relativamente omogenei e mirano a porre in essere
e/o a mantenere in vita imprese bancarie pressoché unicamente
orientate al dettaglio, con forte sensibilità all'intermediazione
tradizionale, basata cioè sulla raccolta diretta e sulla
concessione di prestiti alle famiglie e alle imprese, specie
di piccole e medie dimensioni. La vendita da parte loro di
pacchetti e servizi di natura complessa concerne essenzialmente
prodotti di terzi (quindi senza conflitti di interesse) nei
riguardi dei quali le piccole banche in questione fungono da
canali distributori. La vita di tali banche viene facilitata
dall'esistenza di organismi consortili di categoria che svolgono
in proprio determinate operazioni per conto degli associati
i quali, da soli, non avrebbero né la capacità economica
né quella tecnica per provvedervi. I problemi di queste
banche, sostiene Ruozi, sono di natura tecnica, organizzativa
e commerciale e non presentano particolare interesse dal punto
di vista strategico. Nelle grandi banche, al contrario, i problemi
strategici condizionano tutti gli altri e ci si interroga su
quale tipo di modello imprenditoriale sarebbe opportuno e conveniente
tendere. Per le grandi dimensioni, come sopra evidenziato,
il modello di banca universale appare vantaggioso per le economie
di scopo e controllo dei rischi. Mentre i grandi Istituti tendono
a diventare sempre più grandi, si aprono spazi per le
banche popolari, per le quali le dimensioni, piuttosto che
rappresentare un limite, costituiscono un considerevole vantaggio. È il
caso del Credito Salernitano, Banca popolare della Provincia
di Salerno, che è in procinto di avviare la propria
operatività. Il previsto capitale iniziale di venti
milioni di euro è in buona parte coperto. La realtà che
sta per affacciarsi sul mercato trae, oltre che la sua forza,
la ragion d'essere dalla platea dei soci. Testimone di questa
volontà è la scelta della forma societaria, cioè la "società cooperativa
per azioni a responsabilità limitata". In tal modo
si è abbandonata la possibilità, legalmente e
operativamente attuabile, della "società per azioni",
nella quale chi investe maggiori capitali conta maggiormente,
per privilegiare, invece, criteri di uguaglianza e solidarietà.
Pertanto ogni socio, a prescindere dalle quote sottoscritte,
avrà diritto a un solo voto. La partecipazione azionaria
del singolo socio non supererà lo 0,5% del capitale,
esaltando in tal modo la forma cooperativa e i presupposti
di mutualità. La "responsabilità limitata" consentirà di
limitare il rischio complessivo alla sola somma investita,
con esclusione di ulteriori responsabilità patrimoniali.
La nuova banca legherà il suo sviluppo al territorio
di appartenenza, costruendo con il cliente una relazione non
standardizzata, promuovendo iniziative in favore della realtà socio-economica
direttamente conosciuta. L'operatività della banca farà leva
su convenienti e oculati rapporti di "outsourcing",
cioè di attività affidate all'esterno (sistema
informativo, prodotti, servizi). Questa precisa scelta consentirà di
limitare al massimo gli investimenti fissi, di realizzare una
struttura flessibile ed efficiente e di perseguire il giusto
equilibrio tra competitività e contenimento dei costi,
permettendole di misurarsi ad armi pari con concorrenti dalle
strutture dimensionali maggiori. In questa prospettiva i ricavi
tenderanno ad essere - con gradualità ed equilibrio
- frutto delle commissioni derivanti dai servizi prestati nei
diversi settori, piuttosto che conseguenza del solo margine
di interesse (ricavi su prestiti al netto del costo della raccolta).
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