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  Dicembre 2012

Articoli n° 10
DicEMBRE 2011
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APPROVATA la carta dei diritti delle Pmi

Conversione contratti a termine: legittimo l'INDENNIZZO

Contratto di SWAP e mutuo, un legame "negoziale"


Conversione contratti a termine: legittimo l'INDENNIZZO


L'indennità non potrà comunque mai superare le dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale


Massimo Ambron
Avvocato avv.massimo.ambron@fastwebnet.it


La Corte Costituzionale con sentenza 303 del 9.11.2011 ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 32 commi 5,6 e 7 della legge 183 del 4.11.2010 (Collegato Lavoro) sollevate dalla Corte di Cassazione e dal Tribunale di Trani in merito ai limiti di indennizzo introdotti dal Collegato Lavoro per i contratti a termine.
La C.C. aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale del succitato articolo che, ritenuto applicabile anche ai giudizi pendenti, prevede, in caso di conversione del contratto determinato, il pagamento di un'indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.
La durata del processo non inciderà più sulla misura della indennità, che è prefissata; il giudice avrà comunque in ambito applicativo facoltà di decidere secondo criteri di equità e discrezionalità, tenendo conto del comportamento delle parti, le dimensioni aziendali o l'anzianità di servizio, ma comunque non potrà superare il limite delle 12 mensilità.
Secondo l'ordinanza della C.C.«la norma reca, per i casi di apposizione illegittima di termine al contratto di lavoro, la previsione del pagamento di un'indennità onnicomprensiva, che esclude la condanna del datore di lavoro al pagamento delle retribuzioni dalla data di scadenza del termine illegittimamente apposto; così intesa, tuttavia, la previsione non tutela adeguatamente il diritto al lavoro (art. 3 e 4), non reca strumenti che evitino che il datore prolunghi il giudizio e possa sottrarsi all'esecuzione della sentenza (art. 24 e 11 Cost.), contrasta con l'art. 6 CEDU, realizzando un'indebita interferenza del legislatore nei processi in corso (art.117 Cost)».
La Corte Costituzionale respinge con motivazione gli argomenti prospettatile, chiarendo in particolare che l'indennità va ad integrare la garanzia della conversione del contratto da tempo determinato a indeterminato, indennità che deve essere intesa «come aggiuntiva e non sostitutiva» della conversione del rapporto. Con le misure previste all'art. 32, quindi, viene garantita al lavoratore un'indennità oltre alla conversione del contratto di lavoro a tempo indeterminato, che «costituisce la protezione più intensa che possa essere riconosciuta ad un lavoratore precario», mentre il datore di lavoro ha la possibilità di predeterminare, in caso di conversione del contratto, la quantificazione del risarcimento dovuto per il periodo intercorso dalla data d'interruzione del rapporto di lavoro fino all'accertamento giudiziale del rapporto a tempo indeterminato.
Cosa si verificava prima dell'entrata in vigore della riforma? Il datore soccombente doveva corrispondere una somma pari alla retribuzione che il dipendente avrebbe percepito dal momento della risoluzione del rapporto di lavoro fino alla effettiva reintegrazione.
Il Giudice doveva però dedurre da tale importo le somme eventualmente percepite dal ricorrente per effetto di comprovate e documentate attività lavorative svolte presso altri datori di lavoro (aliunde perceptum). In pratica più durava il processo maggiore poteva essere l'importo da pagare da parte del datore, in caso di sua soccombenza.
In conclusione, la Corte Costituzionale ritiene che la normativa sia tale da contemperare gli opposti interessi, risolti in modo equilibrato.
Infatti, al lavoratore viene assicurato il bene primario, vale a dire il posto di lavoro a tempo indeterminato, così come gli viene pure garantita una indennità, anche se essa potrebbe apparire non congrua, almeno in particolari casi nei quali la sentenza può arrivare dopo anni. Al datore di lavoro, invece, viene data certezza di "spesa" essendo predeterminato il risarcimento del danno senza subire i maggiori costi per effetto del prolungarsi del processo, anzi forse avrà meno interesse a velocizzarlo e a giungere a sentenza.

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