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  Dicembre 2012

Articoli n° 10
DicEMBRE 2011
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di Alfonso Amendola Dip. di Scienze Politiche, Sociali e della Comunicazione, Università di Salerno - Direttore Artistico "Mediateca MARTE"




UGO MARANO l'arte, la felicitÀ, il progetto

In ricordo di un artista capace di disporre visioni non solo negli spazi museali o nelle gallerie di settore, ma nella natura, nelle città, in piccoli spazi insoliti


La gioia era già soltanto nel veder comparire all'orizzonte Ugo Marano (l'artista originario di Cetara che ci ha lasciati lo scorso ottobre).
«Il poeta con la barba greca e i sandali olandesi vestito in blu come un sorriso d'acqua» (come lo definì in una luminosa e lontana poesia Marco Amendolara) dentro di sé coltivava idee importanti, parole maghe e progetti talmente potenti da far cambiar pelle alle forme dell'arte.
Idee, parole e progetti che avevano il suono della libertà come principio creatore.
E poi il procedere di Ugo Marano era rigorosamente verso la totalità dell'arte come netta supremazia su tutto (sempre guidato da un potente alleato che si chiamava ironia).
Anche la sua eleganza era un ulteriore processo creativo per avanzare dentro il ritmo complesso di una ricerca che c'insegnavano a chiamare: materica, concettuale, radicale.
Ma soprattutto ad abitare la sua utopia (altra parola cardine per Ugo) c'era la felicità. Il suo "dovere" d'artista era totalmente dentro quel progetto che a partire dal 1979 volle nominare "Fabbrica Felice". Un luogo di realtà e sogno dove per oltre trent'anni si sono incrociati: artisti e letterati, giornalisti ed economisti, accademici di "chiara fama" e studenti alle prime armi, fabbri e falegnami, scienziati e politici, ceramisti e mosaicisti, registi ed attori, teatranti e filmmaker, critici d'ogni dovere e disciplina.
E, logicamente, una marea di liberi pensatori che venivano a nutrirsi in quel magico luogo-non luogo. Infatti, la "Fabbrica Felice" di volta in volta diventava un trionfo visionario di idee, un concreto scenario espositivo, una vivacissima asa editrice, un severo laboratorio didattico, un set d'incontri straordinari dove la densità amicale era la vera arte. In questa fucina-laboratorio nasceva quella che forse era il tema portante del lavoro di Ugo Marano: la progettualità in progress, la bellezza del "formare", l'attenzione del costruire, l'abilità di guardare sempre oltre lo sguardo del possibile, la "trasmutazione della materia", il rigore della ricerca, la fatica della decisione.
La sua era una capacità rara di disporre visioni non solo negli spazi museali o nelle gallerie di settore, ma nella natura, nelle città, in piccoli spazi insoliti, nei luoghi "distanti" dall'arte. Insomma Ugo era vero artista progettuale cui tutto era possibile e che ben conosceva le parole concrete del vocabolario dell'arte ("impresa", "economia", "sviluppo").
E non per moda o per istrionico atteggiamento, ma per scelta di un reale procedere verso l'arte come invasione e necessità€. Un artista progettuale che proprio a partire dalla matrice dello "sviluppo" in tante occasioni ha saputo anche affrontare interventi sul territorio d'innovativa forza.
Penso in particolare alla rivoluzione "geoculturale-politico-utopica-socio-economica" nel voler ostinatamente realizzare immense campiture d'arte e iniziative di sviluppo sui territori del Cilento con accanto Pasquale Persico (amico e compagno di strada) e artefici di ricerche e metodologie "fantastico-scientifiche" (su questo tema rimando in particolare al volume firmato nel 2000 da Pasquale Persico dal titolo La valle delle orchidee).

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