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EMERGENZA ABITATIVA in Campania
Il fenomeno ha raggiunto
proporzioni ragguardevoli
EMERGENZA ABITATIVA in Campania
Il fenomeno ha raggiunto
proporzioni ragguardevoli
L’edilizia sociale può offrire opportunità di sviluppo e rappresentare
un fattore stabilizzante per l’economia territoriale
Antonio Lombardi
Presidente Ance Salerno
Le politiche abitative degli enti locali negli ultimi mesi si sono quasi esclusivamente concentrate sul “Piano Casa”, approvato - sia pur dopo indicibili peripezie politiche e procedurali - anche dalla Regione Campania.
Il provvedimento rappresenta di certo un intervento significativo per la riqualificazione e l’adeguamento del patrimonio edilizio: ma indubbiamente l’operosità di Comuni e Regioni non può esaurirsi negli incrementi volumetrici previsti dal “Piano casa”, né tanto meno si può in alcun modo pretendere che queste disposizioni possano in qualche modo soddisfare - realmente ed efficacemente - una carenza di abitazioni che in Campania può essere stimata nell’ordine dei 350mila appartamenti.
Non mancano nel “Piano casa” disposizioni in grado di fronteggiare - sia pure in maniera latente o comunque marginale - l’impellenza sempre più avvertita e sempre più marcata di nuovi alloggi soprattutto per le fasce sociali con livelli reddituali medio-bassi: ci riferiamo in particolare alla possibilità per i Comuni di pianificare interventi di riqualificazione delle aree urbane degradate, con opere di “sostituzione edilizia” che possono fruire di un aumento volumetrico fino al 50%. O anche alle disposizioni che riguardano il recupero e la riqualificazione delle aree dismesse, il cui effetto purtroppo sarà però fortemente limitato dal limite di superficie dell’area dismessa, che il legislatore regionale ha incomprensibilmente posto a 15mila metri quadrati. Per questa tipologia d’intervento - sul quale peraltro l’Ance ha lanciato un concorso di progettazione finalizzato proprio all’individuazione e alla promozione di interventi particolarmente “impattanti” dal punto di vista sociale e significativi dal punto di vista urbanistico - è previsto appunto l’obbligo di realizzare interventi di sostituzione edilizia a parità di volumetria esistente, con una quota di riserva per l’edilizia sociale del 30%.
Non saranno tuttavia - come si diceva - questi interventi ad incidere in maniera marcata su un’emergenza abitativa che in Campania ha toccato proporzioni davvero ragguardevoli: vi è l’assoluta necessità, in Campania, di 350mila nuovi alloggi. A Salerno città la carenza di immobili (che poi negli anni si è tradotta in una progressiva decrescita demografica) può essere quantificata nell’ordine delle 35mila abitazioni.
La stessa disamina del patrimonio edilizio esistente rimarca anche a livello provinciale una situazione di disagio che impone scelte coraggiose e tempestive: delle 455mila abitazioni esistenti, appena l’81% risulta occupato mentre il 19% è - almeno sulla carta - libero. Ben 98.000 abitazioni risultano sfitte. Di quelle occupate, inoltre, si contano 247 mila abitazioni di proprietà e 110mila in affitto, di cui 15.000 di competenza dell’IACP.
Depurando questi dati dall’abusivismo e dal “nero” - che pure nel mercato delle locazioni è ampiamente diffuso - emerge comunque in tutta evidenza un forte congestionamento del mercato immobiliare, legato da un lato alla crisi economica in atto, dall’altro alla mancanza di nuovi insediamenti abitativi che si traduce in forti incrementi di prezzo, tanto per le compravendite quanto per le locazioni.
Tra le cause dell’emergenza figurano sicuramente la mancata pianificazione di interventi, totalmente - o comunque in buona parte - imputabile ai Comuni. Spesso a giustificazione di ritardi ed inefficienze vengono sistematicamente addotte problematiche di bilancio e di reperimento di risorse: tuttavia non si puo’ non evidenziare che i fondi messi a disposizione dal Governo centrale ammontano a 2,5 miliardi di euro: occorre quindi che le amministrazioni comunali sappiano attivare questi fondi, programmando i propri PUC (ove esistenti, giacché anche la loro mancanza incide in maniera marcata sull’emergenza abitativa) o anche intervenendo all’occorrenza in variante urbanistica per colmare il fabbisogno abitativo.
D’altro canto occorre anche potenziare il ricorso a quella pluralità di strumenti che consentono all’amministrazione locale di aprirsi a capitali privati proprio per incrementare le risorse disponibili. Un ricorso che resta ancora - nella migliore delle ipotesi - ampiamente marginale o che spesso si traduce nella predisposizione di bandi miranti a “fare cassa” e non certo a rendere gli interventi appetibili e quindi remunerativi per i potenziali investitori.
Anche i circa duemila alloggi di edilizia convenzionale che rientrano nel piano casa del Comune di Salerno, ad esempio, potevano essere realizzati in project financing e forse, se ci fosse stato il ricorso a questa tipologia di intervento, qualche cantiere sarebbe già all’opera in città e il comune capoluogo avrebbe potuto ergersi ad esempio per l’intero territorio provinciale.
L’Ance ha studiato metodologie operative in grado di conciliare la realizzazione di nuovi appartamenti con il soddisfacimento di una domanda sempre più pressante proveniente dalle fasce sociali più deboli. L’intervento di social housing, studiato ed elaborato dall’Ance Salerno proprio sulla scorta di esperienze nazionali ed europee, unisce in maniera armonica ma anche incisiva e impattante il diritto all’abitare allo sviluppo economico. L’edilizia sociale infatti può offrire opportunità di sviluppo e rappresentare un fattore stabilizzante per l’economia territoriale, segnatamente per il comparto dell’edilizia e per l’indotto. Può contribuire al recupero ed alla riconversione del patrimonio edilizio fatiscente, alla stabilizzazione della produzione edilizia mediante l’attuazione di programmi pluriennali di realizzazione di nuovi alloggi.
Inoltre questa tipologia di intervento può contribuire allo sviluppo urbano ed all’applicazione di solidi standard ambientali sia nelle nuove costruzioni che nelle ristrutturazioni.
In questo processo è evidente che gli enti locali non possono assolutamente essere spettatori: devono anzi partecipare al co-finanziamento attraverso l’apporto diretto di risorse finanziarie ma anche immobiliari, prevedendo ulteriori strumenti - come la riduzione o l’esonero dal contributo di costruzione o un taglio significativo alle imposte comunali - che possano incrementare l’attrattiva di simili interventi per gli investitori privati.
Un ruolo significativo - per un “Piano casa” che si traduca realmente e concretamente nella realizzazione di nuovi appartamenti e quindi in una soddisfacente risposta ad una esigenza sempre più impellente del mercato - compete anche alle Regioni, che possono e devono sviluppare rapporti con le fondazioni bancarie e gli istituti di credito costruendo alternative da mettere a disposizione degli operatori interessati, per la ricerca di risorse economiche private non speculative.
Se gli interventi fino ad oggi realizzati si sono rivelati quanto mai carenti, la colpa quindi è in buona parte da attribuirsi alle inefficienze e ai ritardi delle amministrazioni locali.
Dinanzi a noi, c’è ora una prospettiva allettante che occorre assolutamente sfruttare nel migliore dei modi: occorre uno sforzo sinergico ed incisivo per destinare sette miliardi di fondi europei del POR 2007-2013 proprio all’edilizia sociale e a quella privata. Un’opportunità che - per la sua unicità e irripetibilità - le amministrazioni locali, davvero non possono e non devono assolutamente lasciarsi sfuggire. |