di Alfonso Amendola, docente e vicepresidente “Centro Studi sulle Rappresentazioni Linguistiche” Università di Salerno
Sulla pittura di Luigi Caravano
o della cupezza raggiante
Luigi Caravano
Scrive Walter Benjamin in una lettera ad un amico (siamo nel 1916): «Ho sperimentato che nella notte non servono ponti o voli, ma solo il passo fraterno. E ho imparato che chi lotta contro la notte deve saper rimuovere la sua più grande oscurità e farle luce».
Il viaggio nel pittorico intrapreso da Luigi Caravano è un viaggio nella notte (notte intesa come assunto cromatico e discorsivo, segmento d’interrogazioni e magico set). E questo attraversare il buio (ogni attraversamento è sempre conquista e superamento ci saprà raccontare Sigmund Freud) Luigi Caravano lo compie nel dialogo di forme “amiche” che provo in sintesi ad indagare.
In primo luogo c’è il desiderio di raccontare, di raccontarsi, di dirsi nelle maglie complesse e indirette del corpo pittorico e far respirare al massimo il proprio mondo interiore (non dimentichiamo che la scrittura narrativa come l’esperienza del teatro appartengono alla formazione di Luigi). E poi compaiono puntuali (e anche impietose) altre tracce del suo mondo che trovano segno e racconto nell’impasto della pittura. I processi d’affezione emotiva e ancora la tentazione del fotografico (alcuni suoi lavori hanno scansione e ritmica di foto). Come anche è presente e fidato taglio “amicale” lo sguardo verso la miglior pittura informale (che pur non essendo l’unico codice di lettura dei suoi lavori resta lo sguardo primigenio dell’arte di Caravano). Ci sono inoltre dei concetti che davvero c’indicano la sua robustezza: la lucidità dell’espressione tra tempo fermo e quotidianità (vedi il lavoro intitolato “Il professore”). La pienezza d’amore nelle tracce di “Subway”. E anche le dimensioni di una pittura che diventa piano d’immersione o stratificazione (“Zona ipnagogica). Senza mai dimenticare la continuità magmatica del nero (alcuni quadri sono il fulgore estremo di quest’adesione cromatica che abbiamo più volte sottolineato come stato dell’essere: “La finestra”, “La stanza buia”, “Cuore nero”). Su questi assunti si muove l’agire visivo di Luigi Caravano. La sua pratica di pittura tende a rincorrere nella propria operazione il tema della ripetizione e di ossessiva trasfigurazione del vedere e della geometria delle forme, come atto di celebrazione e di incantesimo dello spazio scenico, come dinamica di tonalità del contemporaneo sempre bruciante per raccontare spazi e figure in movimento che da un’idea, decisamente ben strutturata, evade gradualmente fino a diventare magma visionario. Un percorso pittorico fatto di narrazioni logico-funzionali (e qui torna l’impianto dell’informale), realizzando in tal modo un movimento estremo, che sfugge alla razionalità, un’energia del movimento che spinge verso spazi ignoti, tutti da scoprire con la forza e la profondità dello sguardo che sa andare oltre il “disegno” della dinamica visiva. Un’opzione pittorica, questa di Caravano, interamente giocata su frammenti che narrano di attese e di spazi che si richiamano tra loro, pur rimanendo lucidi frammenti che sostanzialmente credono nella propria autonomia espressiva. Tutte le figure astratte e plastiche della pittura di Caravano sono ammantate di anonimato, anche se sappiamo bene che una tecnica così saggiamente “ridondante” altro non desidera che ricomporre un’unica, identica figurazione. Infine il tratto che sembra di maggior vigore nella pittura di Luigi Caravano è quello di possedere una cupezza raggiante. Uno slancio di “luce” nata anche da universi metropolitani che riescono ad immergerci entro dimensioni non-spaziali e non-temporali e che potentemente - ancora una volta - ci riportano verso il favoloso, la profondità della psiche e l’imperio del non-detto. |