L’utilizzo degli immobili
senza titolo edilizio Dall’abusivismo a moderne forme di “housing sociale”
Luigi D’Angiolella
Avvocato
studiodangiolella@tin.it
L’art. 31 del T.U. sull’Edilizia, nel disciplinare gli “interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità e con variazioni essenziali”, prevede al comma 5 che il Comune possa scegliere, mediante deliberazione consiliare, di non abbattere l’opera abusiva, sempre che questa non contrasti «con rilevanti interessi urbanistici o ambientali» e che sia strumentale «al soddisfacimento di un pubblico interesse prevalente rispetto al ripristino dello stato dei luoghi».
Le recenti polemiche che si sono avute in Campania - per tutte, le manifestazioni di piazza ad Ischia, la forte polemica giornalistica che ne è seguita, i contrasti tra Sindaci e Procura della Repubblica - hanno portato ad interrogarsi su quali possano essere in maniera più originale rispetto al passato, le possibili forme di utilizzo degli immobili abusivi che il Consiglio comunale può, se ritiene, disporre in alternativa agli abbattimenti. Tale riflessione nasce anche dalla consapevolezza che gli immobili abusivi, specie quando non ricadono in aree vincolate, sono comunque un patrimonio economico, come pure enormi sono le risorse impiegate dall’Erario per procedere agli abbattimenti, risorse - queste - che non sempre potranno essere recuperate da chi ha commesso l’abuso, spesso persone indigenti.
Come detto innanzi, affinchè il Comune possa utilizzare l’immobile abusivo, occorre che questo non sia realizzato in contrasto con rilevanti interessi urbanistico ambientali, valutazione rimessa all’apprezzamento del Consiglio Comunale che dovrà tenere conto anche della pianificazione territoriale comunale.
Quanto al secondo requisito, si sono avute delibere in base alle quali le opere abusive acquisite dal Comune sono state destinate ad opere di pubblica utilità quali scuole, biblioteche o parcheggi coperti. In altri casi tali immobili sono stati gestiti attraverso forme di partenariato pubblico-privato attraverso concessioni della struttura abusiva in gestione a privati per scopi di pubblica utilità, quali la realizzazione di case famiglia o centri di recupero disabili.
Di recente, anche dopo il c.d. Piano Casa (L. R. 19/09), è emersa forte l’esigenza di nuovi vani, specie per le classi disagiate. Ed allora torna nel dibattito politico e giuridico la possibilità di destinare manufatti abusivi per alloggi di edilizia economica popolare, soluzione, questa, che, avendo quale finalità quella di garantire case ai soggetti più svantaggiati, configurerebbe un pubblico interesse particolarmente rilevante.
Tale prospettiva mi sembra interessante, perché tale patrimonio edilizio potrebbe essere acquisito dal Comune, assegnato anche attraverso un bando a cittadini bisognosi con un canone ridotto, magari da destinare alla realizzazione delle necessarie urbanizzazioni (fogne, strade, infrastrutture, ecc., ecc.) dell’area abusivamente edificata.
La questione ha anche qualche precedente legislativo in Sicilia, dove, con L.R. n. 17 del 1994 è stata concessa la possibilità ai proprietari, le cui case erano acquisite, di restare con il proprio nucleo familiare nelle abitazioni abusive, a patto che si trattasse di “prima casa”. Tale norma è peraltro confermata nelle linee essenziali dalla Corte Cost. con sent. n. 169/1994.Occorrerebbe effettuare, quindi, una lettura intelligente della norma, la cui applicazione non deve affidarsi a preconcetti ideologici o ad una contrapposizione spesso cieca e sorda, ma, talvolta, al vecchio e sano buonsenso.
In questo modo ciò che non è contrastante con l’interesse pubblico e con vincoli urbanistici, può essere recuperato e divenire addirittura una risorsa per le asfittiche casse del Comune, senza privilegiare minimamente chi ha costruito abusivamente.
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