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“Le frane ferme”,
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“Le frane ferme”,
uno spaccato dell’Irpinia
Generoso Picone, giornalista e studioso contemporaneo, evidenzia le opportunità
e le scelte da effettuare per uno sviluppo strategico del territorio
Generoso Picone
Le frane ferme» è la narrazione dell’Irpinia. Quattro racconti di luoghi e memorie. Franco Arminio, Marco Ciriello, Emilia Bersabea Cirillo e Franco Festa ritagliano un’immagine, un quadro di un territorio e lo consegnano nella sua nudità, senza stereotipi, nè preconcetti. «Le frane ferme» a cura di Generoso Picone, giornalista de «Il Mattino», apprezzato critico letterario e studioso contemporaneo, è uno spaccato del Sud.
Nel libro si parla di «depressismo costitutivo del Sud». Cosa si intende con questa espressione? E come arginare il depressismo per una rinascita seria e duratura del Sud?
Il depressismo rappresenta un facile rifugio, addirittura più pericoloso della malattia a cui fa riferimento. È un luogo comune mentale, una figura retorica che fa dire che si è nati in un posto lontano dal centro del mondo, dove non c’è lavoro, non c’è vita, non c’è felicità e niente e nessuno potrà mai cambiarlo. Salvo poi ritrovarsi a trarre giovamento da questa condizione perché si ritiene di essere esentati da ogni forma di pensiero, di elaborazione concettuale, di progetto di riscatto, per sé e per gli altri. Si aspetta di essere accuditi, assistiti, serviti dal padrone di turno. Oggi il depressismo è l’altra faccia del meridianismo, che è la filosofia spicciola - per carità, non il pensiero meridiano di Camus o Pasolini - per cui qui, nel Sud, va bene tutto, perché la lentezza dei giorni, l’ozio quotidiano, il sole, il mare, la luce, eccetera, costituiscono l’unico viatico per la salvezza dell’anima. Evitando questi due estremi credo che sia possibile immaginare una forma di confronto serio e serrato, problematico e complesso, però vero, con il luogo in cui si vive.
Come può riconciliarsi con la sua terra un giovane che sta studiando per crescere professionalmente e migliorare umanamente, se di fronte ha il Sud definito “posto della migrazione e dei terremoti, ma anche degli spaesamenti individuali”?
Il Sud è fatto anche di altro e un giovane che sia attento e vigile può scoprirlo. Il primo gesto che consiglierei è di alzare progressivamente la qualità delle richieste, innanzitutto verso se stesso: non per un tornaconto esclusivamente personale, ma per fare in modo di avere risposte sempre più all’altezza. Mai accontentarsi di quello che si ha e che c’è. Convincersi, invece, che si possa migliorare, crescere, che non si è isolati dall’universo ma dentro il mondo e che ogni cosa può essere cambiata.
Lei è una mente che opera nella sua terra di origine. Quali ostacoli incontra e quali invece le note positive?
Accetto la definizione di mente soltanto perché svolgo un lavoro intellettuale. Opero nella mia provincia dopo 25 anni di attività a Napoli: non mi sono mai trasferito lì, ma in questo periodo non ho frequentato con assiduità Avellino e l’Irpinia. Oggi trovo degli ostacoli di riambientamento e le note positive vengono dalle scoperte che riesco a compiere osservando con occhi che possono a volte sembrare “stranieri”. Con questo sguardo vedo una provincia che cerca di conquistarsi un ruolo nel Mezzogiorno, con entusiasmo e a volte con velleità: sono convinto, però, che si tratti di un periodo importante, di scelte strategiche fondamentali, di opportunità che si possono ancora cogliere.
Nella prefazione afferma che si tratta di un libro che va oltre l’occasione editoriale. Quali gli obiettivi che vengono perseguiti?
Il libro nasce da due esigenze. La prima: capire come oggi l’Irpinia rappresentasse se stessa attraverso la scrittura narrativa. Quale fosse, cioè, la coscienza di sé maturata nelle forme dell’arte. Sono convinto che si tratti di una questione assolutamente fondamentale, utile a capire moltissimo. La seconda: mettere insieme, in un progetto non limitato all’occasione editoriale, quattro irpini che nel campo della letteratura hanno conquistato posizioni importanti a livello nazionale e che nella loro terra non riuscivano a dialogare, a comunicare, a produrre uno sforzo unitario. Senza provincialismi di sorta, ma con l’obiettivo di mettere a disposizione della comunità i loro sforzi.
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