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Appalti pubblici e valutazione delle offerte
Appalti pubblici e valutazione delle offerte
Nel nuovo Codice dei Contratti Pubblici e nell’emanando Regolamento Generale di attuazione
vi è un’inversione di tendenza rispetto al passato circa i criteri di aggiudicazione delle procedure di gara
L’ANCE ha plaudito
alla riforma introdotta con il Codice dei Contratti che ha dato finalmente attuazione alla cosiddetta “liberalizzazione”
del criterio dell’offerta economicamente
più vantaggiosa
di Antonio Lombardi, Presidente Ance Salerno
Il “dopo Tangentopoli”, con le numerose leggi Merloni, è sembrato ispirato ad una sorta di diffidenza legislativa sia nei confronti delle amministrazioni, sia nei confronti del comparto imprenditoriale.
Questa impostazione pregiudiziale si è concretizzata in regole che, ponendosi anche in contrasto con i principi comunitari, erano volte a limitare fortemente il potere discrezionale della stazione appaltante per arginare, secondo le aspettative del legislatore dell’epoca, i fenomeni distorsivi che si erano manifestati nel settore degli appalti. È sempre in ragione di tale impostazione che, con particolare riferimento ai criteri di aggiudicazione, la legge 109 del 1994 - ovvero la prima legge Merloni - nella sua versione originaria scelse il prezzo più basso come criterio prevalente per l’aggiudicazione degli appalti - sia sopra sia sotto la soglia comunitaria - relegando l’applicazione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa a casi del tutto residuali, quali l’appalto concorso o nell’ipotesi di affidamento delle concessioni.
Ora, questa drastica riduzione della discrezionalità amministrativa, anche nella possibilità di ricorso al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, ha “ingabbiato” l’azione pubblica in percorsi rigidamente predeterminati, determinando un duplice effetto negativo. In primo luogo, si è largamente ridotta la potenzialità della Pubblica Amministrazione nella realizzazione degli interessi collettivi, in quanto si è ridotto lo spazio consentito alle stazioni appaltanti di rendere il procedimento tecnico-amministrativo sotteso all’esecuzione dell’opera pubblica quanto più aderente possibile alle specifiche esigenze dell’amministrazione. In secondo luogo, si è provocato un notevole nocumento per il settore imprenditoriale, che ha visto ridursi e circoscriversi enormemente la propria capacità di offrire, per il caso concreto, soluzioni rapide, flessibili e razionali rispetto ai bisogni della committenza. Dal ‘94 in poi, le nostre imprese di costruzione sono state messe in condizione di non utilizzare la propria attitudine progettuale; e ciò affinché le committenti recuperassero la propria capacità di governo degli interventi posti a base di gara. La conseguenza è stata che mentre i committenti non hanno ritrovato la capacità di porre a base di gara progetti realmente esecutivi, le imprese hanno perso la propria competenza progettuale, finendo per trovarsi in una posizione di svantaggio rispetto ai concorrenti europei che, invece in questi anni, hanno potuto godere di una legislazione che ha pienamente valorizzato la possibilità, per i costruttori, di apportare, sin dalla fase dell’offerta, il proprio contributo tecnico-progettuale.
È per queste ragioni che l’ANCE, in questi anni, si è sempre battuta per restituire alla Pubblica Amministrazione, in termini corretti, i giusti ambiti di discrezionalità amministrativa nonché, parimenti, per restituire alle imprese la possibilità di avere un ruolo propositivo, sotto il profilo progettuale, nel perseguimento degli interessi della collettività. In questa direzione, l’Associazione ha sempre evidenziato l’opportunità di attuare una riforma normativa che estendesse la possibilità di ricorrere al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa oltre le anguste ipotesi previste dalla legge Merloni. Conseguentemente, l’ANCE ha plaudito alla riforma introdotta con il Codice dei Contratti che ha dato finalmente attuazione alla cosiddetta “liberalizzazione” del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. L’articolo 81 del Codice, infatti, rimette alla volontà della stazione appaltante la scelta del criterio di aggiudicazione ritenuto più adeguato «in relazione alle caratteristiche oggetto del contratto», senza ulteriori condizioni, e ciò sia per gli appalti di importo al di sopra della soglia comunitaria, sia per quelli di importo inferiore.
È un’opportunità, perché gli operatori possono finalmente recuperare il terreno perduto sul piano della capacità progettuale, e anche una sfida.
A mio avviso, il mercato degli affidamenti in cui trova applicazione il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa è principalmente rivolto alla partecipazione di imprese realmente qualificate ed adeguatamente strutturate, in grado, cioè, di valutare il progetto a base di gara, e di formulare un’offerta che, comprendendo gli aspetti progettuali, sia oltremodo ponderata, sotto il profilo economico e sotto quello tecnico. Se dunque è vero che l’intervenuta liberalizzazione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa comporta nuove opportunità e nuove sfide per il mondo delle imprese, è altrettanto vero che le medesime opportunità e le medesime sfide si prospettano anche per l’amministrazione. Infatti, l’impostazione normativa improntata a flessibilità, propria del Codice dei Contratti, mette in risalto le carenze oppure le capacità delle singole stazioni appaltanti, chiamate ad ideare con ragionevolezza una strategia, nella quale si dovranno confrontare, in un contesto unitario, la scelta del sistema di gara e del criterio di aggiudicazione, in stretta correlazione alle effettive peculiarità presenti nell’opera da realizzare. Per fare ciò, tuttavia, anche la committenza pubblica è chiamata a fare un salto di qualità. Essa dovrà necessariamente riorganizzarsi e aderire ad un nuovo modello culturale e professionale di gestione della res publica, affinché le scelte, che necessariamente presuppongono responsabilità e maturità, siano adeguate e rispondenti ai bisogni effettivi della collettività.
Solo in tal modo, infatti, potrà innescarsi un procedimento virtuoso che veda, da un lato, l’amministrazione agire secondo canoni oggettivi tali da evitare che la ritrovata discrezionalità si trasformi in arbitrio, foriero, in passato, di defatiganti contenziosi; e che chiami, dall’altro, il mondo delle costruzioni a rispondere ad una domanda pubblica sempre più qualificata, in grado di selezionare e far crescere solo gli operatori più seri ed affidabili.
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