Demansionare per sopravvivere
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Demansionare per sopravvivere
Massimo Ambron
Avvocato
massimo.ambron@libero.it
Torniamo nel nostro spazio a parlare di licenziamento e anche stavolta la novità introdotta dagli Ermellini merita un certo rilievo.
La sentenza n. 25313 del 5 dicembre 2007 si occupa di una fattispecie di demansionamento professionale e conseguente rifiuto della prestazione del lavoratore. Ebbene tale comportamento sfocia in una vera e propria inadempienza del lavoratore, come tale ritenuta sanzionabile dalla Suprema Corte con il provvedimento disciplinare del licenziamento.
In breve questi i fatti: il dipendente in questione, impiegato con mansioni di assistente, veniva adibito dall’azienda a mansioni operaie, insieme ad altri due lavoratori, a seguito di accordo ministeriale che consentiva il demansionamento ex articolo 4 legge 223/91 di alcuni lavoratori al fine di evitare la procedura di mobilità per il personale in esubero.
Il lavoratore non si presentava più al lavoro, rifiutandosi di fatto di eseguire la prestazione, ritenuta estranea alla qualifica di appartenenza e l’azienda provvedeva a contestargli l’assenza ingiustificata e poi a licenziarlo. Si instaurava il giudizio di impugnativa del licenziamento, che veniva annullato in primo grado e invece confermato in appello perché ritenuto giustificato.
La Corte di Cassazione - investita della questione - ha, infine, ammesso la legittimità di tale licenziamento, in quanto ha ritenuto legittima l’adibizione del dipendente a mansioni inferiori, intervenendo sulla scelta difficile da operare tra la perdita del posto di lavoro e la sua conservazione, anche se a condizioni deteriori, per consentire una riorganizzazione produttiva al fine di evitare una riduzione del personale dipendente.
Il comportamento del dipendente è stato ritenuto, dai giudici di legittimità, una grave insubordinazione nei confronti del datore di lavoro, e, quindi, come tale, passibile del più grave provvedimento disciplinare: il licenziamento per giusta causa. In sostanza, la Suprema Corte ha ribadito che adibire i dipendenti a mansioni inferiori è legittimo quando il demansionamento serve per consentire la riorganizzazione produttiva ed evitare un provvedimento di crisi aziendale. Il ragionamento è basato sull’art. 2103 c.c. che sancisce il potere di modificazione unilaterale delle mansioni del lavoratore da parte del datore di lavoro (manifestazione del potere direttivo), il cosiddetto ius variandi, che si giustifica in relazione alle esigenze di organizzazione del lavoro a fronte di situazioni dinamiche ed imprevedibili che fanno capo all’impresa.
In tale articolo viene stabilito il divieto del datore di lavoro di adibire il lavoratore a mansioni inferiori, cosiddetta mobilità verticale in basso; tale divieto può, però, essere derogato in tre casi specifici tra cui proprio quello relativo all’articolo 4, comma 11, della legge 223 del 1991 (in tema di licenziamenti collettivi), relativamente a prestatori di lavoro eccedenti, in presenza di un accordo sindacale che prevede il riassorbimento anche parziale di quei lavoratori in esubero.
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