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di Antonello Tolve, Critico d’arte
Le sovraterritorialitÀ
negli scatti fotografici
di Franco Fontana
 Finisterre, tra arte, libri e media, come luogo mitico di scoperta e conoscenza. Una rubrica per cogliere i concatenamenti di diverse esperienze presenti sul nostro territorio tra libri, arte, spettacolo e comunicazione creativa. Il taglio di questa rubrica predilige quei modelli produttivi ed imprenditoriali che proprio verso la cultura mostrano maggior sensibilità. Al contempo troverete proposte generazionali ed indipendenti che sono un nostro ulteriore punto di forza e di rappresentazione. Finisterre è una traccia editoriale curata a più voci (accanto a chi scrive: le firme di Antonello Tolve e Marco Amendolara) per raccontare la vivacità di uno spaccato culturale eterogeneo e tutto da scoprire.
Alfonso Amendola, Università di Salerno.
Il colore brillante ed eterotopico, gli attenti andamenti luminosi e la precisa resa formale (d’una precisione fulminea e nel contempo indagatrice) scandiscono l’andamento fotografico proposto da Franco Fontana presso la Galleria Leggermente Fuori Fuoco; un nuovo spazio espositivo nato nel cuore di Salerno – in via Giovanni da Procida 34 – dall’incontro di tre persone: Nicola Palma, Simona Tafuri e Antonio Scocozza.
Dedicato interamente al medium fotografico, come sottolinea e rivela anche la scelta del nome, questo nuova vetrina vuole imporre una mappa lineare partendo, appunto, da un linguaggio moderno che si impone, con sempre maggiore efficacia, tra le cose della contemporaneità. Proponendo scelte e gusti plurigenerazionali e, naturalmente, indicazioni – strettamente legate al presente dell’arte – Nicola Palma marca una guida discorsiva in cui la sperimentazione e la tradizione condividono uno stesso principio estetico e, a volte, uno stesso disegno etico. Ora, le tredici opere di Fontana scelte per questo primo momento – appuntamento inaugurale – rappresentano, non solo la linea che la galleria intende sviluppare nel tempo, ma anche il percorso di un artista che ha fatto, della propria cultura visiva e del proprio spazio investigativo, il centro di un discorso formale in cui la spazialità (bidimensionale) è offerta al fruitore per mezzo di inquadrature cariche d’un virtuosismo culturale in grado di rigenerare gli statuti dell’arte, e dunque i vecchi programmi della pittura, dell’architettura e della scultura, a partire, naturalmente, dall’intelligenza dello sguardo – indagatore e vigile – del fotografo.
«Fontana ha sempre operato all’interno dello specifico fotografico», suggerisce Achille Bonito Oliva, «riuscendo a calibrare il proprio occhio fisiologico in sintonia con quello della camera, oscillando in maniera equilibrata tra capacità di riconoscere il reale e capacità di sorpassarlo mediante una perizia sensibile, quella di portare il dato nella condizione di segno di un linguaggio astraente rispetto alla realtà fotografica».
La fotografia non è, per lui, documentazione, quanto piuttosto reinvenzione paesaggistica riformulata attraverso uno sguardo che trova, in una ardita grammatica prospettica, le ragioni del suo lavoro. Delicatamente geometrizzate, le inquadrature di Fontana – metropolitane o rurali, legate al corpo umano (la donna è centro d’un discorso formale decisamente leggero, per dirla con Calvino) o al bello delle cose naturali – si fanno tracce, segni, disegni, frammenti d’un’immagine che racconta, attraverso coraggiose stesure cromatiche e giochi raziocinanti, le indicazioni dell’uomo e della vita in quanto atavica officina del racconto artistico.
Fontana setaccia, così, la quotidianità ordinando un discorso transterritoriale in cui lo spazio si presenta, spesso, come una struttura decisamente nuova rispetto alla forma originaria e come un gioco compositivo che reinventa il tempo per proporre opere di straordinaria bellezza.
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