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IL CUCCHIAINO
Antica Trattoria Di Pietro: un dolcissimo e lento
ritorno al passato
Ferdinando CAPPUCCIO
Gli italiani amano viaggiare spinti dalla curiosità di vedere luoghi di gran bellezza naturalistica o artistica. Alla base della vacanza vi è soprattutto una riappropriazione del proprio tempo, spesso schiacciato dalla complessità della vita di oggi. La vacanza poi invoglia a conoscere abitudini, persone e tradizioni delle zone visitate. Ciò avviene anche frequentando ristoranti che riescono a ripresentare pietanze che appartengono alla storia stessa dei luoghi.
Un esempio vivido di quanto affermato l'ho riscontrato nella visita degustativa alla Trattoria Di Pietro.
Visitando l'Irpinia ho avuto immediatamente la sensazione di una natura che, nonostante le aggressioni subite, riesce ancora ad esaltare. Il verde dei vigneti, le macchie più chiare e solari dei campi coltivati, gli alberi che circondano chiese di campagna mi hanno donato immediatamente un senso di gioia e serenità. A questa natura amica si mescolano però i danni del terremoto: gli antichi borghi abbandonati, sostituiti da nuovi e più freddi insediamenti, mi hanno fatto riflettere sul dolore patito dalla gente del luogo che ha dovuto abbandonare le proprie case e, con esse, le abitudini di una vita.
Percorrendo con attenzione la strada che dalla moderna Avellino porta a Melito Irpino, potrete fare vostre le mie considerazioni; se poi vi fermerete lungo la strada, anche solo per chiedere informazioni, vi renderete conto di un'altra prerogativa: la gentilezza e disponibilità degli irpini. Così, con questo groviglio di sensazioni, con l'amico medico "Sciamano", sono arrivato a Melito. Il "vero" paese che trae il suo nome dagli alberi di mele è stato ormai abbandonato dopo il terremoto. Gli abitanti si sono trasferiti in un insediamento più alto, quasi del tutto nuovo, ordinato anche se non bello. Spalancando, però, la porta della Antica Trattoria Di Pietro vi renderete conto quasi di attraversare il tempo.
Le sale sprigionano immediatamente un senso di calore; gli arredi sono quelli di una bella ed ospitale casa, che espone nell'antica credenza una preziosa collezione di grappe di Romano Levi. E poi fotografie della abbandonata Melito, con la chiesa ed i frequentatori del bar, si alternano alle pareti con quadri luminosi e simpatiche attestazioni di merito culinario.
Conoscerete immediatamente Enzo - nipote del fondatore Carmine (1934) - che vi accoglierà e vi farà sedere al semplice ma curato tavolo apparecchiatovi. Un ottimo spumante di Fiano Montesole, chiara dimostrazione della versatilità del vitigno ancora in via di esplorazione, vi sarà servito con il "benvenuto" del patron che brinderà con voi. Ed ecco dunque venir fuori il calore della gens irpina, pronta a conoscere e farsi conoscere. Di accompagnamento allo spumante non stuzzichini banali, ma una semplice, gustosa focaccia di pane, fatta in casa e condita con magnifico olio e rosmarino.
L'ottimo pane sottolinea immediatamente il senso della cucina della famiglia Di Pietro: prodotti semplici, di qualità, con il sapore che si amplifica grazie all'equilibrato uso delle erbe del territorio. Enzo, poi, converserà con voi, elencandovi in modo amabile e colto le specialità proposte, componendo così il viaggio gastronomico nella tradizione irpina.
E mentre abbinerà i giusti bicchieri per servirvi l'Aglianico Macchialupa, morbido e rotondo, potrete conoscere la storia del locale. Esso nasce nel 1934 nella Melito "vecchia" quando il governo dell'epoca introdusse il sostegno alimentare per le donne incinte che avevano così diritto a un pasto caldo giornaliero.
Nel 1945 il padre Pasquale e la madre subentrarono nell'attività fin quando, a causa del terremoto, Melito fu abbandonata e fu aperta l'attuale trattoria. Nel 1995 Enzo ha sostituito il padre, arricchendo e migliorando progressivamente il ristorante senza snaturarne le radici. La sottile continuità gastronomica, la ricerca costante della qualità hanno connotato il locale frequentato da gente comune e da illustri personaggi di scienza (Giulio Tarro ed Herman Gallo), di spettacolo (Vasco Rossi ed I Nomadi), dell'industria (il Conte Marzotto) e della gastronomia (in primis il mitico Don Alfonso). L'ansia di conoscenza si era parzialmente attenuata mentre l'appetito veniva fuori, per cui ho accolto con curiosa avidità gli antipasti. La zucca in agrodolce con pinoli, uva passa, cipolle ramate di Montoro e aceto balsamico si è rivelata una vera e propria delizia: saporita ma delicata, intensa ma non stucchevole, è un gran piatto equilibrato. E poi la frittata di borragine e cardo, la "ciambotta" di peperoni, cipolle e melanzane (fritti singolarmente nella padella di ghisa e poi assemblati!), la pizzetta di pane, pomodoro e origano: tutte specialità della cucina tradizionale contadina. E poi gli affettati: l'ottimo prosciutto locale, la pancetta di una delicatezza gustativa inusuale, la salsiccia e il salame di maiale nero…Terminata l'ultima fetta di salsiccia, concupita dallo "sciamano", ma arraffata dal mio artista figlio, ci è stata servita la "verzarella", cioè la verza farcita con carne di maiale e vitello. L'avevo già gustata in una mia visita a Grottolelle, ma credetemi questa dei Di Pietro è all'altezza del piatto casalingo. La verza è cotta magnificamente al forno e gustata con il ripieno dove il forte sapore della carne di maiale si combina perfettamente con quello più morbida del vitello.
E prima della pasta non potevamo esimerci dal gustare un fondo di minestra "maritata", antico piatto che si preparava durante la lavorazione del maiale, con la scarola locale che attutiva il sapore delle "pezzentelle" e degli altri pezzi del maiale.
Il tempo trascorreva lento gustando i piatti ed il vino; ecco dunque i "cicatielli", sorta di cavatelli fatti a mano con un sughetto di pomodoro e "puleio", erba aromatica che si raccoglie nel terreno ombroso e ricco d'acqua. Il sapore magnifico della pasta fresca (mi è venuto alla mente che in Irpinia i fusilli freschi negli anni '60 erano ancora posti ad asciugare all'aria!) si sposava al buon sugo di pomodoro, fatto con i pelati di casa, mentre il puleio donava un'aromaticità unica al piatto. L'Aglianico era finito e con i secondi abbiamo ritenuto fosse da gustare un Taurasi Riserva del 1997 di De Meo.
Mentre al figliolo arrivava un ottimo agnello e una salsiccia a "punta di coltello", non potevo esimermi dal gustare il mio piatto preferito: il baccalà. Il "pesce irpino" mi è stato servito tiepido (che gran novità!) condito solo con olio di gran sapore e delicatezza e con i peperoni cruschi (i cosiddetti suscelloni). E mentre gustavo con soddisfazione, lo "sciamano" affrontava con ingordigia i "muglitielli", piccoli involtini di interiora di agnello accompagnati da patate. Lentamente ci avviavamo al termine del pasto, conversando con Enzo e con il "giovane" padre Pasquale, che ci partecipava della bellezza della vecchia Melito.
Non potevamo infine non gustare i dolci fatti in casa. Non so dirvi se ho trovato più gustosa la torta di nocciole o il croccantino; il dover decidere mi ha fatto più volte gustare l'uno e l'altro senza però riuscire a scegliere. Certamente però vale la pena intingere i biscottini nel magnifico passito Zingarella.
Da Di Pietro poi troverete una vasta scelta di grappe che, se amate l'azzardo e gli abbinamenti insoliti, potrete gustare con il superbo torrone locale di Cataruozzolo, o la splendida cioccolata "estera" (è di Agliana in provincia di Pistoia) di Roberto Catinari, prodotto di gran qualità scovato dall'amico Enzo.
Nel nostro viaggio abbiamo capito, con l'aiuto dei Di Pietro, che il valore della tradizione si traduce nel far gustare i prodotti che si possono trovare appena fuori casa. Il puleio e le altre erbe, l'agnello ed il grano sono quelli che si trovano a Melito o nelle vicinanze e, attraverso i loro sapori, si può certamente conoscere meglio il territorio che si visita.
Andate a Melito e tuffatevi nell'Irpinia attraverso le specialità della Trattoria Di Pietro! |