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  Dicembre 2012

Articoli n° 8
ottobre 2006
 


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In vigore la nuova legge fallimentare

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In vigore la nuova legge fallimentare

Gennaro STELLATO

L’insolvenza non è più una situazione irreversibile ma, addirittura, un momento
di ripresa dell’azienda

La nuova legge fallimentare è entrata completamente e definitivamente in vigore a partire dal 16/7/2006 come previsto dal Decreto Legislativo 9/1/2006 n. 5. Dalla predetta data si è spazzata via una normativa risalente addirittura al 1942 e, quindi, a un contesto socio-economico completamente diverso; una normativa svuotata totalmente dai ripetuti interventi della Corte Costituzionale e, di fatto, disapplicata in tutti i Tribunali della Repubblica. Inoltre, proprio per la sua mancanza di riferimento alla realtà attuale si era arrivati ad una prassi diversa e interpretazioni difformi in ogni Foro, con le ovvie conseguenze facilmente immaginabili.
Va detto preliminarmente che la filosofia della nuova normativa è completamente diversa tanto che si è parlato addirittura di "privatizzazione" del fallimento, nel senso che la procedura è quasi una partita a due fra ceto creditorio e l'imprenditore che si trovi in stato di insolvenza con il Magistrato che, sostanzialmente, funge da arbitro. Per essere più precisi occorre dire che è cambiato soprattutto il concetto di tutela, nel senso che non è più prevalente il carattere pubblicistico spostando l'asse a favore dell'impresa.
In definitiva, il fallimento non è più considerato come la fine dell'azienda, ma come una ulteriore forma nella quale il rischio di impresa possa estrinsecarsi con l'ovvia conseguenza che l'ottica punitiva precedente, attraverso la quale il fallimento era sempre e solo colpa dell'imprenditore, è mutata e si ragiona con una visione di mantenimento e recupero dell'attività imprenditoriale. La logica non è più quindi quella di liquidazione ma di ripresa e, se possibile,valorizzazione dell'impresa stessa. Chiarito, quindi, il nuovo approccio normativo vanno esaminate le novità più importanti della riforma precisando che l'analisi non può esaurirsi in un solo articolo. In primis va approfondita la tematica relativa alla fallibilità o meno dell'imprenditore. All'art. 1 si legge testualmente che «sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano attività commerciale, esclusi gli enti pubblici ed i piccoli imprenditori. Ai fini del primo comma non sono piccoli imprenditori gli esercenti un'attività commerciale in forma individuale o collettiva che anche alternativamente: a) hanno effettuato investimenti nell'azienda per un capitale di valore superiore a euro trecentomila; b) hanno realizzato in qualunque modo risulti, ricavi lordi calcolati sulla media degli ultimi tre anni o dall'inizio dell'attività, se di durata inferiore, per un ammontare complessivo annuo superiore a euro duecentomila. I limiti di cui alle lettere a) e b) del secondo comma possono essere aggiornati ogni tre anni con decreto del Ministero della Giustizia sulla base della media delle variazioni degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati nel periodo di riferimento». Si tratta di una norma fondamentale perché individuando il soggetto realmente fallibile, chiarisce anche i rapporti di natura economica nei quali è importante sapere, in caso negativo, quali siano le possibilità di recupero dei propri crediti. Rispetto alla vecchia legge si è operato in modo da individuare criteri il più possibile esaustivi per l'individuazione del soggetto realmente fallibile.
Dalle prime analisi si è detto che si sia delimitata l'area dei soggetti che possano rischiare il fallimento rispetto al precedente periodo. In effetti la partita si è sempre giocata sul concetto di piccolo imprenditore, sia esso in forma individuale che associata. Vi è un'apparente contraddizione nel senso che sembra ampliata la platea dei soggetti fallibili ma, di fatto, ristretta attraverso i parametri precisati dalla norma.
Questa individua negli elementi sub a) e b), anche alternativamente, i presupposti per la sussistenza dell'insolvenza. Nella relazione si legge che «nell'ambito della discussione incentrata sul requisito dimensionale del piccolo imprenditore commerciale esonerato dal fallimento, è stata prospettata la possibilità di applicare diversi criteri di riferimento: il capitale investito, il numero di dipendenti impiegato dall'imprenditore; il totale dell'attivo dell'impresa; l'ammontare dell'indebitamento complessivo, un criterio misto che faccia riferimento al patrimonio investito, salvo che l'impresa non abbia conseguito una soglia minima di utili; altri criteri basati su indici civilistici di valutazione degli utili di bilancio. All'esito della discussione sono stati prescelti, in via assolutamente alternativa fra di loro, i due criteri che rispecchiano in maniera assolutamente più congrua l'effettiva a che siano facilmente accertabili in sede prefallimentare sulla base delle scrittura contabili e dei registri fiscali, sia sulla base delle informative richieste di prassi alla Guardia di Finanza». Questo quanto precisato dalla relazione, ma la problematica che può nascere dall'interpretazione della norma non sembra di facile soluzione. Va infatti chiarito che il concetto di investimenti nell'azienda, rispetto alla vecchia formulazione, va inteso nel senso di capitale di funzionamento e cioè beni economici materiali ed immateriali, scorte, crediti, partecipazioni eccetera, in una parola all'attivo di bilancio.
Ovviamente, tenuto conto dell'attuale situazione economica e della realtà, appare chiaro come, al di là di interpretazioni di fantasia, quello individuato sia un criterio che di fatto delimita notevolmente il numero di soggetti fallibili con la prima ovvia conseguenza che si ingolferanno tutte le altre strade di recupero del credito. Per tale motivo si è parlato di una sorta di immunità a favore di una numero rilevante di imprenditori anche se, rispetto alla precedente, sempre sulla base dei parametri analizzati, può fallire anche l'imprenditore artigiano purché rientri nei criteri indicati. Resta la problematica legata all'imprenditore agricolo per il quale si conferma la non fallibilità.
Ovviamente, tenuto conto delle dimensioni ormai assunte dalle aziende del settore, questa appare un'esclusione non facilmente digeribile anche se, in relazione all'effettiva attività svolta, è sempre possibile far rientrare tali aziende nella nuova norma.
Nei prossimi numeri si analizzeranno le ulteriori novità della legge. Va detto, in sintesi, che resta importante l'acquisizione da parte degli imprenditori del concetto che l'insolvenza è una situazione non più irreversibile ma, addirittura, momento di ripresa dell'azienda laddove ovviamente la causa sia congiunturale e non dolosamente provocata.
Non bisogna pensare alla legge fallimentare come al diavolo, ma come ad un'occasione di rilancio e di autoanalisi.

*Avvocato - studiostellato@tiscali.it

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