In vigore la nuova legge fallimentare
Legge Bersani
e rapporti di lavoro
Affidamento “in house”: conferme giurisprudenziali
Affidamento “in house”: conferme giurisprudenziali
Luigi D'ANGIOLELLA
Anche il Governo interviene con il
“Decreto Bersani” definendo meglio
i contorni dell’istituto
Con il Decreto 223/2006
gli effetti distorsivi alla concorrenza dovrebbero venir meno
La questione dell'affidamento "in house" e cioè, per i lettori non adusi a certi meccanismi dell'azione amministrativa, le società a capitale pubblico o miste, con capitale pubblico e privato, quali bracci operativi delle Pubbliche Amministrazioni, è stata già oggetto di approfondimenti in questa rubrica.
Nel periodo di maggior fulgore delle società miste ci si domandava, condividendo le preoccupazioni di molti imprenditori, quale impatto potessero avere le stesse sul libero mercato, visto che spesso tali soggetti erano imprese tout court che, però, per la loro natura di strumenti delle Amministrazioni pubbliche, operavano con indubbi vantaggi rispetto alla normale concorrenza, agendo in regime privilegiato, con un committente fisso, e utilizzando risorse drenate dal sistema pubblico in situazioni di quasi monopolio. Dal punto di vista dell'evoluzione giurisprudenziale, queste iniziali preoccupazioni sono state recepite e vi sono state via via delle restrizioni rispetto all'iniziale fenomeno, con una significativa involuzione. Ed infatti, specie la Corte di Giustizia Ue ha cominciato a fissare - anche per l'uso distorto che esso stava avendo presso alcune amministrazioni aggiudicatrici - una serie di paletti.
Via via, si è detto che il sistema dell'in house providing deve avere precisi e limitati campi d'intervento e, per le società miste, non può evitare la procedura ad evidenza pubblica per l'affidamento di un servizio, a meno che la stazione appaltante non eserciti su di esso un controllo "analogo" a quello di un qualsiasi altro settore della Pubblica Amministrazione (cfr. la famosa sentenza C. CEE Teckal 18 novembre 1999 C. 107/98 e, di recente, C. CEE 6 aprile 2006 C. 410/04). Limitazioni sono poi intervenute con il rinnovato art. 113 T.U.E.L., che ha pure ristretto il campo di applicazione dell'istituto.
Ovviamente, a tale linea si sono opposti alcuni per tentare di salvaguardare la figura societaria, quale operatore della Pubblica Amministrazione, per non privare la Pubblica Amministrazione di un certo grado di libertà nella individuazione dei moduli organizzativi con cui svolgere la propria attività.
Le due linee di tendenza descritte si sono evidentemente scontrare in sede di redazione del Codice Unico degli Appalti di recente approvato (D.Lgs. 163/06). Ed infatti, come emerge dagli atti preparatori, si è discusso in sede di stesura del Codice degli Appalti relativi all'in house a favore di società, ma dopo varie versioni proposte, si è deciso di stralciare la norma, proprio per non intervenire con una netta scelta legislativa su un tema ancora aperto tra la duplice esigenza di tutelare il libero mercato e di lasciare margini operativi maggiori alle Amministrazioni.
Con il recente decreto n. 223/2006 (cosiddetto "Decreto Bersani"), però, il Governo ha trovato l'occasione di intervenire e si è proposta una soluzione che cerca almeno di salvaguardare l'istituto, pur chiarendo e definendo meglio i contorni operativi del fenomeno.
Con i limiti di un'analisi veloce, si può dire che l'art. 13 del D.Lgs. 223/06, convertito in L. 248/06, confermando una linea di tendenza della giurisprudenza comunitaria, al fine proprio di tutelare concorrenza e mercato, ha limitato l'attività dei soggetti in house providing solo a quella con gli enti "costituenti e affidanti"; ha precisato che le società delle PP.AA. non possono partecipare ad altre società e che debbono avere un oggetto sociale "esclusivo". Ora, su tale norma la discussione sarà lunga e l'evoluzione giurisprudenziale sicuramente evidenzierà elementi di poca chiarezza che già ora emergono.
In questa sede, dunque, si vuole solo abbozzare qualche primissima riflessione.
Innanzitutto, il solito, delicato problema, del controllo di queste società, strette dalle regole del Codice Civile. É, infatti, difficile - come ha insegnato l'esperienza - che nei confronti di una società il controllo possa tramutarsi in una dipendenza gerarchica della stessa rispetto all'ente controllante. Dovrebbe piuttosto mettersi in chiaro che il socio pubblico esercita un'influenza determinante sull'attività della società con i poteri propri dell'azionista totalitario o di maggioranza, a cominciare da quelli relativi alla nomina dei componenti l'organo di amministrazione.
L'altro elemento precisato dall'art. 13 cit., e cioè la condizione che la società svolga la sua attività a favore dell'ente pubblico affidante, è una chiara svolta a tutela della libera concorrenza, come auspicato anche in questa rubrica. Ed è significativo che il decreto Bersani preveda proprio questa condizione per consentire la sopravvivenza delle società che svolgono prestazioni in house con l'articolo 13.
Gli effetti distorsivi alla concorrenza, legati all'esistenza di soggetti che, pur avendo un mercato in larga misura protetto, sono entrati in competizione con altri concorrenti che non godono di questa situazione di privilegio, dovrebbero essere venuti meno.
Si sono ascoltate le proteste, dunque, degli operatori costretti a battersi con le società pubbliche o miste senza avere i medesimi strumenti a disposizione, né la stessa rete di protezione, inevitabilmente assicurata dal socio-proprietario ente pubblico. Non può non rimarcarsi, però, una carenza di non poco conto, e cioè la mancanza di qualsiasi accenno alle ipotesi di "crisi" di queste società.
Sono "concretamente" percorribili le stesse regole valide per i privati in caso di insolvenza?
Quali implicazioni pratiche comporta la crisi finanziaria di soggetti che operano per l'espletamento dei servizi essenziali? Se sono le stesse di qualsiasi società, bisogna tutelare allora gli utenti, mentre se esse vanno comunque "salvate", questa è una forte deroga alla libera concorrenza.
In questo quadro di riferimento, l'affidamento in house rientra ora nei parametri fissati dalla Comunità europea e dovrebbe non limitare l'uso dello strumento, ma ad esso dare nuovo impulso, con una normativa decisamente più decisa ed orientata. Rimangono i punti interrogativi, cui si è appena accennato, che speriamo la continua evoluzione giurisprudenziale possa colmare.
Avvocato
studiodangiolella@tin.it |