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  Dicembre 2012

Articoli n° 8
ottobre 2006
 


assafrica & mediterraneo - Home Page
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Flussi migratori: una ricetta
per affrontare l’emergenza


L’Europa ha bisogno di immigrazione
ma deve cominciare a governarla all’origine

Spesso noi dimentichiamo che a popolare anche le capanne dei più poveri è l'immagine dell'Europa delle parabole satellitari e delle televisioni

Il lato repressivo, per avere successo, va necessariamente accompagnato da una progressiva apertura del nostro mercato del lavoro verso gli immigrati

Negli ultimi anni, l'afflusso di immigrati irregolari in Europa è diventata una costante; il periodo estivo rende solo più drammatica e visibile questa emergenza. Ogni anno, il numero delle persone pronte a lasciare il loro paese di origine continua ad aumentare e le proiezioni demografiche dei paesi in via di sviluppo, in particolare in Africa, confermano che il fenomeno migratorio è in una fase decisamente espansiva. Le politiche di sviluppo gestite a livello mondiale non hanno purtroppo ancora assicurato condizioni di vita e di crescita economica capaci di frenare il desiderio di milioni di persone che, per fuggire a guerre, carestie e povertà, sono determinate a tentare "l'avventura" in Europa.
Al riguardo, occorre in primo luogo provare a rispondere ad alcune, fondamentali, domande. Chi sono gli immigrati che arrivano sulle nostre coste europee per poi venir portati nei centri di prima accoglienza?

 Le ultime esperienze nelle Isole Canarie, a Lampedusa e a Malta ci indicano che non se ne conosce nemmeno il paese di origine. Giungono in Europa senza documenti, poiché i trafficanti hanno detto loro di non portare nulla che possa in qualche modo favorire il loro riconoscimento. Si rifiutano addirittura di parlare, poiché il loro accento potrebbe in qualche modo "tradirli". Gli Stati Membri dell'Unione Europea, in particolare quelli più esposti al fenomeno migratorio per ragioni geografiche, hanno pochi esperti capaci di identificare persone sulla base dei semplici tratti somatici, e talvolta questo non è neanche possibile. Abbiamo quindi grosse difficoltà nell'identificare la nazionalità di persone di cui non conosciamo ovviamente il passato.
Ma perché queste persone sono spinte a sostenere viaggi che possono durare anche due anni, a pagare somme enormi per le loro capacità di reddito e a rischiare la vita per arrivare fin qui in Europa? Qual è il fattore determinante? Penso che il principale fattore sia la possibilità di trovare in breve tempo un lavoro che assicuri loro un livello di vita accettabile, e comunque superiore a quello di regola possibile nei paesi d'origine, e questo a prescindere dal fatto che si disponga di un permesso di soggiorno o che questo sia in regola.
Nel giro di poco tempo, la situazione di queste persone appare agli stessi migliore di quella di partenza. Spesso noi dimentichiamo che a popolare anche le capanne dei più poveri è l'immagine dell'Europa delle parabole satellitari e delle televisioni, un'Europa comunque ricca, e ricca di opportunità: ciò che rappresenta la differenza diviene quindi un potente fattore di attrazione "costi quel che costi". Le informazioni che arrivano o vengono trasmesse nei paesi di origine sono quindi nel senso della assoluta convenienza - nonostante l'altissimo rischio e il costo economico - di intraprendere il viaggio della speranza.
Non solo, la principale preoccupazione di queste persone diventa poi quella di far giungere nei luoghi in cui risiedono anche gli altri membri della famiglia, spesso peraltro numerosa. Le regolarizzazioni di massa fanno il resto, rendendo legittimo e permanente quel soggiorno reso possibile in origine grazie alla violazione delle leggi dello stato e inviando un ulteriore segnale di attrattiva per l'ingresso e il soggiorno irregolare.
Dobbiamo vigilare sulla rappresentazione che noi diamo di noi e promuovere una capillare comunicazione, a partire dai Paesi di origine, capace di determinare un primo filtro delle aspettative e dei bisogni. L'Europa ha bisogno di immigrazione ma deve cominciare a governarla all'origine: ciò significa fornire una mappa delle possibilità, delle aspettative, dei diritti e dei doveri. Lavorare ad una prospettiva tale per cui l'immigrazione sia una scelta, tanto nella dimensione dell'economia, quanto in quella dei valori, dell'organizzazione sociale: soprattutto perché non c'è immigrazione senza integrazione.
Una prima importante misura per contrastare l'arrivo di immigrati illegali è, quindi, quella che ho recentemente proposto nella mia Comunicazione sulla lotta contro l'immigrazione clandestina adottata dalla Commissione lo scorso 19 luglio.
Sanzioni severe per tutti i datori di lavoro che, qui in Europa, offrono lavoro ai clandestini. Questo fenomeno non solo arreca un danno enorme alla fiscalità degli Stati europei, essendo contratti non soggetti a tassazione, ma soprattutto incide negativamente su un principio qualificante della nostra Europa che è la libera concorrenza. Se un'impresa può "contare" sul lavoro di lavoratori irregolari e quindi su manodopera a basso costo, ha certamente maggiori possibilità di mercato, giacché i suoi costi saranno inferiori a quelli dei suoi concorrenti che invece pagano regolarmente le tasse ed i contributi.
Altri risparmi possono derivare dalla non piena applicazione delle normative sulla sicurezza sui cantieri che spesso si accompagna all'impiego irregolare di queste persone. Contiamo sul fatto che questa misura, che deve essere applicata con metodo e rigore, abbia un importante effetto di deterrenza, dato che diventerebbe enormemente più rischioso per l'imprenditore dare un lavoro a queste persone.
Questa norma, nel medio periodo, porterà ad avere in Europa immigrati regolarmente impegnati in attività produttive e datori di lavoro che osservano con maggior scrupolo le norme relative al lavoro subordinato. Il beneficio per gli Stati europei sarà immediato e tangibile, poiché potranno contare su "nuove entrate" e su una manodopera giovane che sarà pronta ad affrontare le difficili sfide della interdipendenza economica del XXI secolo.
Per dare maggior credibilità alle procedure di ammissione per i lavoratori provenienti da paesi terzi, dovremo anche intensificare gli sforzi per concludere, nei prossimi 12 mesi, altri accordi di riammissione con vari paesi da cui partono gli immigrati irregolari dopo quelli già conclusi, per esempio, con l'Albania. Questi accordi permetteranno il rapido rimpatrio degli immigrati irregolari che, con il loro ritorno in patria, daranno il segnale chiaro e netto che è inutile e pericoloso intraprendere un viaggio verso l'Europa al di fuori dei canali legali. In questo settore, l'Europa può fare meglio e di più.
Abbiamo recentemente negoziato alcuni accordi di riammissione e potenziato i finanziamenti per i voli congiunti di rimpatrio affinché gli Stati Membri possano ottenere ulteriori risorse per questo tipo di operazioni.
Frontex, l'Agenzia per il controllo delle frontiere esterne dell'Unione Europea, è attiva in questo campo e cerca di migliorare il coordinamento fra Stati che desiderano partecipare ai voli congiunti. Unitamente a questi sforzi, dobbiamo dunque lanciare chiare campagne di informazione nei paesi in via di sviluppo che informino le persone sui rischi legati ai "viaggi della speranza" e sulle possibilità di lavoro regolare nei diversi Stati Membri dell'Unione Europea, che pure vi sono. Il lato repressivo, per avere successo, deve essere necessariamente accompagnato da una progressiva apertura del nostro mercato del lavoro verso gli immigrati, secondo evidentemente le specifiche esigenze dei mercati del lavoro nazionali. Le procedure di ammissione devono venir armonizzate a livello europeo, pur tenendo conto delle diverse professionalità, proprio perché il mercato unico europeo richiede nuovi lavoratori, anche per tenere conto dell'andamento della curva demografica. Sebbene i volumi di ingresso non potranno che rimanere di competenza nazionale, bisognerà cominciare a riflettere su una "green card" europea che permetta ad un lavoratore immigrato di spostarsi in un paese europeo qualora abbia un'offerta di lavoro più interessate o economicamente più favorevole.
Questo strumento richiederà ancora studi ed approfondimenti ma lo ritengo assolutamente necessario per accrescere la mobilità dei lavoratori dei paesi terzi che desiderano lavorare ed integrarsi nel territorio europeo. La progressiva apertura del nostro mercato del lavoro, che indubbiamente necessita di nuove professionalità, deve rappresentare il segnale che la nostra Europa non è una fortezza da espugnare, ma un continente generoso in cui si devono rispettare le leggi, i valori ed i principi su cui è stato fondato.
Lasciare che gli immigrati continuino ad arrivare in Europa senza un lavoro o una casa non è un segnale di attenzione, bensì di sfruttamento e disinteresse. L'Europa avrà dato prova di maturità se saprà dare ospitalità e lavoro a coloro che entrano nel suo territorio seguendo le regolari procedure di ammissione e se saprà reprimere con forza e determinazione quel traffico di esseri umani che, troppo spesso, coinvolge vittime innocenti. Migliaia di persone muoiono ogni anno nel Mediterraneo e sulle Coste africane dell'Atlantico. È una lotta per la sopravvivenza in cui sono spesso i più deboli a perire. Ma se vogliamo veramente rispettare la tradizione umanitaria dell'Europa di cui andiamo fieri, dobbiamo anche evitare di lanciare messaggi concilianti che finiscono per stimolare questo fenomeno. Dobbiamo, invece, porre le basi per indebolirlo e se possibile un domani relegarlo nella storia.
Nel frattempo, e questo va da sé, dobbiamo continuare a fare il massimo per salvare le vite umane che sono quotidianamente in pericolo, poiché non dobbiamo confondere un problema politico e sociale globale con il destino di esseri umani come noi che come noi godono del diritto alla vita.
È allora molto importante che l'Europa promuova condizioni per accelerare la crescita economica di questi paesi. Se i quasi due miliardi e mezzo di Cinesi e Indiani non si accalcano alle nostre frontiere non è perché abbiamo inviato aiuti in questi paesi, ma perché gli stessi crescono a un ritmo del 10% l'anno e partecipano attivamente (e quanto!) al commercio mondiale.
Tutto questo, purtroppo, per l'Africa non è ancora avvenuto, sebbene la sostenuta crescita del PIL in alcuni paesi ha fatto sì che molti di questi nono siano più paesi di origine. L'Europa e il mondo intero devono sviluppare il commercio con questo Continente e specie con gli Stati più poveri. Occorre rimuovere gli ostacoli che ancora oggi i paesi ricchi frappongono specie nel settore agricolo.
Il fallimento dei negoziati sul Doha Round ha purtroppo frenato le speranze di un miglioramento globale e strutturale della situazione al riguardo. La Commissione rimane tuttavia fortemente impegnata anche su questo fronte.
Infine dobbiamo tutti insieme sapere che o acquistiamo le loro merci o accettiamo le loro persone. Delle due l'una: non possiamo permetterci di rifiutare le une e le altre.

 

Vice Presidente Commissione Europea e Presidente Osservatorio del Mediterraneo



L'Italia ha sempre avuto una chiara percezione dell'importanza del processo euromediterraneo, contribuendo a costruire un ponte di dialogo tra le due sponde e incoraggiando il confronto ed il rispetto tra le culture. L'Italia, come anche l'Europa, nel cuore del Mediterraneo ha completato il più ambizioso e importante allargamento della storia dell'integrazione europea, l'Unione è diventata infatti il più grande attore integrato sulla scena internazionale. Sarebbe un errore pensare che un'Europa così grande possa dimenticare la centralità del Mediterraneo e il valore aggiunto rappresentato dall'incontro e dal confronto con i Paesi rivieraschi. L'Europa di oggi è il primo interlocutore politico del Mediterraneo, mentre l'Italia resta capofila di questo progetto anche attraverso l'Osservatorio del Mediterraneo. L'11 novembre 2004, per iniziativa dell'On. Franco Frattini, allora Ministro degli Affari Esteri, 5 membri fondatori, di cui 2 istituzionali (Ministero degli Affari Esteri e Regione Lazio), hanno costituito un "Osservatorio del Mediterraneo" e adottato il relativo statuto. L'On. Franco Frattini, oggi Vice-Presidente della Commissione Europea, è stato unanimemente eletto Presidente della nuova Fondazione e il Professor Mohamed Nadir Aziza, già alto dirigente dell'Unesco, è stato designato come Direttore Generale. Il Ministro degli Esteri è, d'ufficio, Presidente del Comitato d'Onore della Fondazione. Questa istituzione rappresenta il punto d'arrivo di una lunga fase preparatoria, e l'avvio, al contempo, di un'attività destinata al rafforzamento della cooperazione euromediterranea, politica, economica e culturale, in un momento significativo dei rapporti con l'Islam. Una Fondazione come strumento di scambio interculturale per contribuire all'incontro e alla pacifica convivenza tra i popoli.

Direttivo
Presidente: Franco FRATTINI
Vice Presidente: Ubaldo LIVOLSI
Direttore generale: Mohamed Nadir AZIZA Fakhry ABDELNOUR
Khaled GALAL BICHARA
Ahmed Ahmed GOUELI
Sergio LUPINACCI
Angelo PISANU
Giancarlo RICCIO
Riccardo SESSA
Luisa TODINI
Umberto VATTANI
Achille VINCI GIACCHI

 

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