Alla Stalla della Caveja,
il gusto torna semplice

di Ferdinando CAPPUCCIO
Qui è possibile concedersi una pausa
per mangiare bene e pagare il giusto
Di ritorno da una vacanza-studio a Montalcino, dove avevo verificato la guerra in atto tra tradizionalisti e innovatori del Brunello e saggiato delle vere e proprie grandi novità enologiche come il Merum di Sergio Pagliantini, rosso di Montalcino che fa presagire un grandissimo Brunello, mi sono posto il problema di quale sarebbe stata la mia prossima tappa gastronomica da condividere con voi lettori. Da tempo mi ripromettevo di visitare alcuni locali della provincia di Caserta e, dopo attente analisi e qualche telefonata, la mia scelta si era limitata alla Stalla della Caveja in Pietravairano o Vairo Del Volturno in Vairano Patenora. La maggior vicinanza all'autostrada e il positivo commento che qualche mese fa aveva fatto mio figlio sulla cucina mi hanno fatto propendere per il primo. Con l'automobile stracarica di vini, ho imboccato così l'uscita di Caianello e dopo pochi Km sulla strada per Benevento, sono uscito a Pietravairano, grazioso paesino di origine sannita arroccato su un costone pieno di verde. Il ristorante, posto all'ingresso del paese, ad onta dei buoni risultati raggiunti nelle principali guide (L'Espresso lo premia con il punteggio di 14.5), mi ha colpito immediatamente per l'accattivante semplicità. Non aspettatevi, infatti, un ambiente asettico e formale, ma immergetevi immediatamente in quella atmosfera di "sosta per mangiar bene" che è la sintesi del locale. Al di là di un grande ambiente dominato dal legno dove la sera si fanno degustazioni e grigliate, sarete accompagnati nella "stalla", piccolo e accogliente locale dove tutto rimanda alla mente case di campagna di qualche anno fa. I tavoli in legno comodi e spaziosi, con tovaglie linde di bucato, un pavimento in pietra non levigata di grande suggestione, i quadri di cacciagione alle pareti, le cameriere in sobrie divise, rendono l'ambiente immediatamente accogliente e predispongono alla sosta gastronomica. Appena seduti vi sarà portato il menù - essenziale - da cui ricaverete la prima sorpresa: i prezzi indicati sono molto contenuti con una proposta degustazione completa a 35 euro. Scorrendolo poi vi renderete conto che l'intera offerta gira intorno al territorio con pietanze indicate in modo semplice, senza quei "tenebrosi" ghirigori stilistici che molte volte non fanno rendere conto di ciò che esattamente si propone. Tra gli antipasti, pur tentato dal famoso pancotto con i fagioli e dalla crema di ceci con scarola, ho richiesto bocconcini di bufala e ricottina, accompagnati da fiori di zucca in pastella. E dopo aver scelto nella ristretta lista di vini un Aglianico casertano di Alois, Il Campole, abbastanza morbido e ricco di profumi, mi è stato portato il cestello del pane dalla cui analisi già può scaturire la sintesi della filosofia gastronomica del ristorante. Infatti accanto ad un pane paesano di gran sapore, atto a potersi conservare anche qualche giorno senza perdere fragranza, erano adagiate fette di pane rustico con un impasto di cereali (segale, avena, orzo) che riportavano alla mente sapori ormai dimenticati. I bocconcini di bufala, poi, a differenza di quello che mi aspettavo trovandomi in zona "Aversana", avevano una delicatezza di sapore e una consistenza più vicina alla migliore lavorazione "Battipagliese". La frittella di fiori di zucca invece era semplice e naturale, senza interventi aggiuntivi (ricotta, mozzarella, alici) ma con un impasto senza lievito che consentiva di poter gustare pienamente il sapore dell'ortaggio fritto per intero. Esauriti voracemente gli antipasti, quasi come emigranti che tornano a casa, ecco i primi. Dopo aver saggiato nel piatto del mio giovane figlio (più coraggioso) una magnifica pasta e fagioli riposata - ripassata in padella con olio dopo essere stata schiacciata a mo' di frittata - ho gustato una zuppa di fagiolini. Ebbene non mi sono pentito della scelta fatta! La fragranza e la freschezza dei fagiolini, prodotti nell'azienda di uno dei proprietari, si sposavano perfettamente con il "sugo" sublimato da un lieve profumo di aglio e dalla presenza di pomodorini e di pezzettini di salsiccia, creando così un insieme molto equilibrato. Tra i secondi proposti ho scelto, incuriosito, le polpette di pane con sugo. Questo piatto che la solerte ed efficiente Nadia mi ha spiegato appartenere alle abitudini contadine di un tempo, dove la povertà aguzzava l'ingegnosità gastronomica, mi è piaciuto moltissimo. Le polpette, servite in un sughetto di pomodoro dove primeggiava, irresistibile, la presenza del basilico fresco, avevano all'interno un composto triturato a base di pane, uova, formaggio e salsiccia, che si amalgamavano perfettamente, senza prevaricazioni di un sapore su un altro. Mosso poi da curiosità gastronomica, pur prevenuto da precedenti esperienze negative, ho voluto assaggiare dal piatto del carnivoro figlio lo spezzatino di bufalo. Ebbene, devo affermare che, a differenza di altri locali dove mi era stato proposto, questa volta l'elaborazione era estremamente leggera e priva di quel retrogusto grassoso e dolciastro che me l'aveva reso inviso. E poi i dolci! La pasticciera, che ho voluto conoscere, rappresenta il vero e proprio valore aggiunto del locale. Il tiramisù era delicato e gustoso, la crostata Caveja con un ripieno di cacao, marzapane, ricotta, farina di mandorle, amaretti, zucchero e uova, era friabile e ricca di sapori; la sbriciolata, con un ripieno di crema pasticciera e amarena, si avvicinava moltissimo ai dolci casalinghi della mia infanzia. Ma ciò che mi ha sorpreso, derivando da una vacanza dove i dolci secchi (cantuccini e similari) la fanno da padrona, sono stati i conventuali: dolcetti di pastafrolla con un impasto di mandorla e nocciola. Dopo aver pagato il "leggero" conto, mentre sorseggiavo un ottimo caffè (quanto mi era mancato in Toscana) nel locale fumatori, ho scorto il proprietario e simpaticamente mi sono intrattenuto con lui alla ricerca di risposte alle domande che mi frullavano per la testa. Così ho scoperto che la stalla della Caveja è nata dalla voglia del mio interlocutore, Raffaele Rotondo, presidente della CNA della provincia di Caserta, condivisa dal suo socio Bernardino Lombardo, imprenditore agricolo e noto gourmet, di creare un punto d'incontro per valorizzare l'enogastronomia. Il punto centrale erano le tradizioni da rivalutare e propagandare con la ricerca, operata soprattutto dal Lombardo, di prodotti di qualità del territorio. Il nome Caveja poi è ricavato dal pendaglio acustico messo ai cavalli, che con il suo tintinnio indica la loro presenza anche al buio. In quanto poi all'attuale carta del vino, essa era frutto di un cambio d'indirizzo derivato anche dalle richieste dei clienti, poco sensibili a prodotti vinicoli non espressione del territorio. Ai vini attualmente proposti, mi è stato detto dal proprietario, se ne stanno aggiungendo altri, dopo un'attenta ricerca tra i produttori della zona, in maniera da lasciare comunque inalterata la qualità alla base dell'offerta. Dopo aver dato un’occhiata all'albergo che completa il ristorante - anch'esso semplice e funzionale - ho ripreso il mio viaggio verso casa, ripromettendomi di ritornare a Pietravairano fra qualche mese per poter gustare le specialità del menù invernale, tra le quali il famoso e intrigante maialino nero. Andateci anche voi!
Cultore di Enogastronomia - ferdinando.cappuccio@banca.mps.it
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