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  Dicembre 2012

Articoli n° 2
MARZO 2006
 

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Rischio Vesuvio, l’emergenza diventa opportunitÀ


UNIONE INDUSTRIALI
Rischio Vesuvio, l’emergenza diventa opportunitÀ

Il “piano” dell'ingegnere Vincenzo Coronato trasforma l'evacuazione di 600 mila abitanti in un'occasione vantaggiosa per riequilibrare il territorio regionale

Antonio ARRICALE

Come evacuare, in 6 ore, 600 mila abitanti senza farli sentire sradicati (non del tutto, almeno) dal proprio territorio, conservandone il tessuto socio-economico. O, se si preferisce, come trasformare in opportunità un'emergenza catastrofica, realizzando valore aggiunto al Pil regionale. Oppure, come il drenaggio programmatico di una vasta area a rischio può diventare un'occasione di riequilibrio demografico del territorio campano. Comunque lo si legga, il piano studiato da Vincenzo Coronato è a dir poco esplosivo. E non solo per il fatto che esso nasce da un'ipotesi eruttiva, quella appunto del Vesuvio, che ha dato appunto il nome al piano. «Il progetto Vesuvio è una pianificazione del territorio che prevede un drenaggio programmato dalle zone vesuviane della fascia rossa e arancio (i colori con i quali la Regione delinea il pericolo dell'area ai piedi del vulcano, ndr) verso le province di Caserta, Benevento, Avellino e Salerno e di riequilibrio demografico del territorio della Regione Campania», spiega l'autore. Il quale, per sgombrare subito il campo da possibili equivoci accademici, di professione fa l'imprenditore. Certo, in tasca si ritrova un master in direzione d'impresa e una laurea in Philosophy doctor of Management rilasciata dalla Clayton University del Missouri, ma la sua esperienza nel settore - lui che è titolare di due imprese edili - l'ha maturata sul campo, vivendo da vicino la tragedia del terremoto del 1980, quando - ancora semplice geometra e direttore di cantiere dell'ospedale di Bisaccia, in provincia di Avellino - fu costretto ad una fortissima accelerazione dei lavori, per dare modo alla struttura ospedaliera di entrare subito in funzione per prestare soccorso alle vittime del disastro. «Un'esperienza - ricorda - che mi insegna a lavorare nell'emergenza, a moltiplicare e ottimizzare le risorse e, soprattutto, di eccezionale valore dal punto di vista umano».

sdMa non esiste già un piano di evacuazione delle popolazioni dell'area vesuviana previsto nel caso di eruzione del vulcano?
Certamente, è il Piano nazionale dell'emergenza dell'area vesuviana redatto il 25 settembre del 1995, cui sarebbe dovuto seguire la Conferenza Stato-Regione per la definizione degli alloggiamenti degli sfollati, e che al momento non risulta ancora attuata.

E questo le sembra un buon motivo per elaborare un piano alternativo?
E perché no? In fondo, il tempo ci dà la possibilità di riconsiderare l'ipotesi catastrofica di un'eruzione del Vesuvio in chiave imprenditoriale, trasformando l'emergenza in opportunità.

In che cosa consiste il suo piano?
Intanto, le premetto che l'idea è protetta da registrazione, dopo di che le posso dire che oltre gli evidenti scopi di natura umanitaria si propone come obiettivo quello di motivare nuovi investimenti, privati e pubblici, atti ad avere effetti moltiplicatori sul territorio.

D'accordo, con le dovute cautele, entriamo un po' più nello specifico. Perché il suo piano sarebbe migliore?
Tanto per cominciare, le persone coinvolte dal piano non sarebbero costrette a migliaia di chilometri, ma semplicemente spostate verso le aree delle province limitrofe, oltre il limite dei 40 Km, per di più in aree non familiari, per così dire, dal punto di vista socio-economico. Il mio piano prevede, cioè, un drenaggio delle persone e del tessuto economico a raggiera, semplicemente scavalcando l'area di rischio ad altissima densità, verso l'Alto casertano, il Beneventano, le province di Avellino e Salerno. Evacuazione che avverrebbe con mezzi propri, auto e pullman, in un tempo massimo di 6 ore, suscettibile di scendere ulteriormente mediante esercitazioni periodiche. L'attuale piano di evacuazione nazionale, invece, prevede lo spostamento di circa 600 mila persone in 10 giorni, utilizzando bus, treni, navi e 16 mila 500 unità di forze dell'Ordine. Ovviamente, ammesso che le vie di fuga non vengano danneggiate.

sd
Veniamo alle aree ospitanti: non le sembra che i Comuni delle nostre province interne siano impreparate alla bisogna?
Certo. Intanto, il mio è un progetto di medio-lungo termine, è evidente. Per il resto, è fondamentale il ruolo della Regione. La quale, in questa ottica, deve ordinare ai Comuni esterni alla fascia di altissima concentrazione demografica, attraverso le province cui compete il ruolo di pianificazione del territorio, di prevedere delle aree da inserire nei propri piani regolatori che abbiano particolari destinazioni.

Vale a dire?
Un'area da destinare ad edilizia residenziale capace di accogliere un incremento della popolazione esistente dal 15 al 30 per cento, in funzione della superficie del Comune, della morfologia e dell'accessibilità quale destinazione definitiva. Un'altra area da destinare a piccoli insediamenti industriali e commerciali, tenendo presente che l'area interessata dalla fascia rossa è costellata da una miriade di piccole e medie aziende dei settori tessile (San Giuseppe Vesuviano), lavorazione del corallo (Torre del Greco e Torre Annunziata), con grossa vocazione all'esportazione interna e estera, con clientela consolidata, con maestranze qualificate, di cui parte regolarmente inquadrata, parte parzialmente e parte ancora a nero.

Lei parla di un riequilibrio territoriale, ma anche di una riqualificazione produttiva.
è così, pensi alla miriade di piccole e medie aziende che attualmente operano in spazi angusti, le quali senza aiuti suppletivi, ma con la sola facilitazione di un drenaggio programmato verso maggiori spazi e una migliore informazione sull'accesso a diritti di contribuzione nazionale ed europea troverebbero più che sufficienti motivazioni imprenditoriali per sposarsi verso aree più sicure, con conseguente funzione di trascinamento per le maestranze operanti, e incoraggiati dalla maggiore sicurezza delle aree di accoglienza ad intraprendere nuovi insediamenti.

Affascinante, come ipotesi. La ritiene davvero possibile?
Il piano ha una base logico-matematica, peraltro adattabile a tutte le situazioni. Certamente, una cosa è la programmazione da farsi adesso, altra è quella a catastrofe avvenuta. Nel primo caso, mi sembra del tutto evidente il contenimento del danno e la trasformazione in opportunità di quest'ultimo. Così come elaborato, il piano presenta molti vantaggi di non poco conto, a cominciare dalla prevenzione che il territorio in oggetto diventi campo di incursioni malavitose organizzate; evita smembramenti radicali di persone, economie e identità; e soprattutto problemi di rigetto da parte delle popolazioni di altre aree del Paese, e via discorrendo.

sd
Vantaggi per i Comuni ospitanti?
Diversi: dall'occupazione che si accompagna ai nuovi insediamenti produttivi, alle provvidenze e risorse statali e comunitarie. Ma non mi faccia entrare molto nei dettagli. Il piano, per quel che mi riguarda, è a disposizione del vaglio di esperti del settore e delle istituzioni preposte a decidere.

Un'ultima domanda, cortesemente: con i cittadini vesuviani come la mettiamo? Andrebbero considerate anche le loro esigenze, non crede?
Sicuro, e il mio piano lo prevede e le posso assicurare che anche per loro i vantaggi non sarebbero pochi. E uno, in assoluto, più importante di tutti: il mio piano eviterebbe loro di trasformarsi in profughi.

Bè, che si aspetta, allora? Regione, Protezione civile, istituzioni, se c'è qualcuno in ascolto batta pure un colpo.


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