Una buona idea
per fare impresa
Crisi di impresa,
una legge per non fallire
Rischio Vesuvio, l’emergenza
diventa opportunitÀ
UNIONE INDUSTRIALI
Rischio Vesuvio, l’emergenza diventa opportunitÀ
Il “piano” dell'ingegnere Vincenzo
Coronato trasforma l'evacuazione di 600 mila abitanti in un'occasione vantaggiosa
per riequilibrare il territorio regionale
Antonio ARRICALE
Come evacuare, in 6 ore, 600 mila abitanti senza farli sentire sradicati
(non del tutto, almeno) dal proprio territorio, conservandone il tessuto
socio-economico. O, se si preferisce, come trasformare in opportunità un'emergenza
catastrofica, realizzando valore aggiunto al Pil regionale. Oppure,
come il drenaggio programmatico di una vasta area a rischio può diventare
un'occasione di riequilibrio demografico del territorio campano. Comunque
lo si legga, il piano studiato da Vincenzo Coronato è a dir poco esplosivo.
E non solo per il fatto che esso nasce da un'ipotesi eruttiva, quella
appunto del Vesuvio, che ha dato appunto il nome al piano. «Il progetto
Vesuvio è una
pianificazione del territorio che prevede un drenaggio programmato
dalle zone vesuviane della fascia rossa e arancio (i colori con i quali la
Regione delinea il pericolo dell'area ai piedi del vulcano, ndr) verso le
province di Caserta, Benevento, Avellino e Salerno e di riequilibrio demografico
del territorio della Regione Campania», spiega l'autore. Il quale,
per sgombrare subito il campo da possibili equivoci accademici, di professione
fa l'imprenditore. Certo, in tasca si ritrova un master in direzione
d'impresa e una laurea in Philosophy doctor of Management rilasciata dalla
Clayton University del Missouri, ma la sua esperienza nel settore - lui che è titolare
di due imprese edili - l'ha maturata sul campo, vivendo da vicino la
tragedia del terremoto del 1980, quando - ancora semplice geometra e direttore
di cantiere dell'ospedale di Bisaccia, in provincia di Avellino - fu costretto
ad una fortissima accelerazione dei lavori, per dare modo alla struttura
ospedaliera di entrare subito in funzione per prestare soccorso alle
vittime del disastro. «Un'esperienza - ricorda - che mi insegna a lavorare
nell'emergenza, a moltiplicare e ottimizzare le risorse e, soprattutto,
di eccezionale valore dal punto di vista umano».
Ma non esiste già un piano di evacuazione delle
popolazioni dell'area vesuviana previsto nel caso di eruzione del vulcano?
Certamente, è il Piano nazionale dell'emergenza dell'area vesuviana
redatto il 25 settembre del 1995, cui sarebbe dovuto seguire la Conferenza
Stato-Regione per la definizione degli alloggiamenti degli sfollati, e che
al momento non risulta ancora attuata.
E questo le sembra un buon motivo per elaborare un piano alternativo?
E perché no? In fondo, il tempo ci dà la possibilità di
riconsiderare l'ipotesi catastrofica di un'eruzione del Vesuvio in chiave
imprenditoriale, trasformando l'emergenza in opportunità.
In che cosa consiste il suo piano?
Intanto, le premetto che l'idea è protetta da registrazione, dopo
di che le posso dire che oltre gli evidenti scopi di natura umanitaria si
propone come obiettivo quello di motivare nuovi investimenti, privati e pubblici,
atti ad avere effetti moltiplicatori sul territorio.
D'accordo, con le dovute cautele, entriamo un po' più nello specifico.
Perché il suo piano sarebbe migliore?
Tanto per cominciare, le persone coinvolte dal piano non sarebbero
costrette a migliaia di chilometri, ma semplicemente spostate verso le aree
delle province limitrofe, oltre il limite dei 40 Km, per di più in
aree non familiari, per così dire, dal punto di vista socio-economico.
Il mio piano prevede, cioè, un drenaggio delle persone e del tessuto
economico a raggiera, semplicemente scavalcando l'area di rischio ad altissima
densità, verso l'Alto casertano, il Beneventano, le province di Avellino
e Salerno. Evacuazione che avverrebbe con mezzi propri, auto e pullman, in
un tempo massimo di 6 ore, suscettibile di scendere ulteriormente mediante
esercitazioni periodiche. L'attuale piano di evacuazione nazionale, invece,
prevede lo spostamento di circa 600 mila persone in 10 giorni, utilizzando
bus, treni, navi e 16 mila 500 unità di forze dell'Ordine. Ovviamente,
ammesso che le vie di fuga non vengano danneggiate.
![sd](images/case05.jpg)
Veniamo alle aree ospitanti: non le sembra che i Comuni delle nostre
province interne siano impreparate alla bisogna?
Certo. Intanto, il mio è un progetto di medio-lungo termine, è evidente.
Per il resto, è fondamentale il ruolo della Regione. La quale, in
questa ottica, deve ordinare ai Comuni esterni alla fascia di altissima concentrazione
demografica, attraverso le province cui compete il ruolo di pianificazione
del territorio, di prevedere delle aree da inserire nei propri piani regolatori
che abbiano particolari destinazioni.
Vale a dire?
Un'area da destinare ad edilizia residenziale capace di accogliere
un incremento della popolazione esistente dal 15 al 30 per cento, in funzione
della superficie del Comune, della morfologia e dell'accessibilità quale
destinazione definitiva. Un'altra area da destinare a piccoli insediamenti
industriali e commerciali, tenendo presente che l'area interessata dalla
fascia rossa è costellata da una miriade di piccole e medie aziende
dei settori tessile (San Giuseppe Vesuviano), lavorazione del corallo (Torre
del Greco e Torre Annunziata), con grossa vocazione all'esportazione interna
e estera, con clientela consolidata, con maestranze qualificate, di cui parte
regolarmente inquadrata, parte parzialmente e parte ancora a nero.
Lei parla di un riequilibrio territoriale, ma anche di una riqualificazione
produttiva.
è così, pensi alla miriade di piccole e medie aziende che attualmente
operano in spazi angusti, le quali senza aiuti suppletivi, ma con la sola
facilitazione di un drenaggio programmato verso maggiori spazi e una migliore
informazione sull'accesso a diritti di contribuzione nazionale ed europea
troverebbero più che sufficienti motivazioni imprenditoriali per sposarsi
verso aree più sicure, con conseguente funzione di trascinamento per
le maestranze operanti, e incoraggiati dalla maggiore sicurezza delle aree
di accoglienza ad intraprendere nuovi insediamenti.
Affascinante, come ipotesi. La ritiene davvero possibile?
Il piano ha una base logico-matematica, peraltro adattabile a tutte
le situazioni. Certamente, una cosa è la programmazione da farsi adesso,
altra è quella a catastrofe avvenuta. Nel primo caso, mi sembra del
tutto evidente il contenimento del danno e la trasformazione in opportunità di
quest'ultimo. Così come elaborato, il piano presenta molti vantaggi
di non poco conto, a cominciare dalla prevenzione che il territorio in oggetto
diventi campo di incursioni malavitose organizzate; evita smembramenti radicali
di persone, economie e identità; e soprattutto problemi di rigetto
da parte delle popolazioni di altre aree del Paese, e via discorrendo.
![sd](images/case06.jpg)
Vantaggi per i Comuni ospitanti?
Diversi: dall'occupazione che si accompagna ai nuovi insediamenti produttivi,
alle provvidenze e risorse statali e comunitarie. Ma non mi faccia entrare
molto nei dettagli. Il piano, per quel che mi riguarda, è a disposizione
del vaglio di esperti del settore e delle istituzioni preposte a decidere.
Un'ultima domanda, cortesemente: con i cittadini vesuviani come la
mettiamo? Andrebbero considerate anche le loro esigenze, non crede?
Sicuro, e il mio piano lo prevede e le posso assicurare che anche per
loro i vantaggi non sarebbero pochi. E uno, in assoluto, più importante
di tutti: il mio piano eviterebbe loro di trasformarsi in profughi.
Bè, che si aspetta, allora? Regione, Protezione civile, istituzioni,
se c'è qualcuno in ascolto batta pure un colpo.
|