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  Dicembre 2012

Articoli n° 2
MARZO 2006
 

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Tra malinconia civile e “partito dei no”



Andrea PRETE

Siamo fermi, e quel poco che si muove non cammina speditamente, ineluttabilmente "perso" in giochi di veti incrociati




E' davvero curioso dovere constatare in questa strana Italia che si sia riusciti a riformare in pochissimo tempo niente di meno che il sistema elettorale, ma che da anni si sia praticamente fermi rispetto ad una serie di problematiche di assoluto rilievo per il nostro futuro.
Non è questione di "retorica del declino", dibattito ormai usurato che certamente è giusto tenere in considerazione, ma per quanto mi riguarda siamo alla "malinconia civile". Non è uno stato emotivo, è semplicemente la presa di coscienza di trovarsi di fronte all'incapacità di rimuovere antiche incrostazioni burocratiche, alla ricerca frenetica e perenne del consenso.
Il risultato è "straordinario": le scadenze elettorali - praticamente una ogni dodici mesi - diventano il riferimento primario per cadenzare le "non scelte". La paura di scontentare qualcuno; di subire emorragie di voti; di collocarsi troppo a destra, a sinistra o a centro; di apparire qualcosa di diverso da quello che si è o non è: sono questi i fattori che determinano una "sindrome paralizzante".
Siamo, quindi, fermi e quel poco che si muove non cammina speditamente, "perso" in giochi di veti incrociati, strumentali, funzionali alla gestione del potere, agli equilibri di partito o di coalizione, a vere e proprie alchimie difficilmente comprensibili ad occhi profani.
È un "clima" che induce alla "prudenza", a valutare i "pro e i contro". Un "clima" che frena un po' tutto. E, allora, si assiste alla ritirata silenziosa di tante energie positive che scelgono consapevolmente di non esporsi più di tanto.
Saltano in questo modo i meccanismi di selezione virtuosa della classe dirigente.
È il tema, questo, che segna appunto il passaggio dalla "passione" alla "malinconia" civile; da un sistema-Paese che crede nel proprio futuro ad un'Italia che si ferma perplessa e si guarda intorno, magari ripensando ad una "filosofia difensiva" che si può riassumere in un drammatico "io speriamo che me la cavo", o nell'attesa del fatidico "stellone".
Ma c'è di più. Purtroppo di più. Anche quando l'evidenza impone di fare qualcosa, si palesa una nuova entità che assume - malgrado gli stessi protagonisti - una soggettività politica, fino a diventare un'entità che condiziona, indirizza e magari addirittura "contro-propone". Sto parlando di quelli che una volta erano più "partiti", ma che oggi sono diventati un solo, grande "partito": il "partito dei no", il partito del "non fare", senza "se" e senza "ma". "No" come scelta strategica che di volta in volta assume una sua identità specifica: dall'ambiente alla salute; dal turismo all'economia; dalle infrastrutture all'energia e via dicendo.
Non conta affatto avere una competenza o un fondamento scientifico. Diventa importante sollevare dubbi, alzare polveroni, innescare dietrologie più o meno credibili. E, alla fine, quando si conquista la scena - soprattutto mediatica - scatta il meccanismo di attribuzione di una rappresentanza auto-referenziale. Il gioco è fatto.
Parte il grande "barnum" di una protesta che non si pone l'angoscia della risoluzione del problema. Con buona pace dell'etica della responsabilità che diventa "etica dell'irresponsabilità".
Per tutte queste motivazioni la "malinconia civile" può prendere il sopravvento sugli eroi di tutti i giorni, quelli che, nonostante tutto, affrontano la quotidianità con la speranza di un futuro migliore. È per questo esercito silenzioso - che regge le sorti dell'Italia - che occorre mobilitarsi. Non c'è più tempo per la "retorica del declino", è il tempo dei fatti, delle responsabilità vere.

*Presidente Confindustria Salerno

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