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 STRATEGIE VINCENTI DI CRESCITA  
  LA STAGIONE DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE 
		  MATERIE PRIME IN ETICHETTA 
		    NON E' L’ORIGINE A GARANTIRE LA SICUREZZA  
		  MATERIE PRIME IN ETICHETTA 
NON E' L’ORIGINE A GARANTIRE LA SICUREZZA 
	        L’industria alimentare difende
	        la competitività del made in Italy sui mercati esteri 
	         
	        	              di Raffaella Venerando 
	              
                   
                  Nello scorso numero di Costozero, Gaia Sigismondi, Junior Consult
                  del Centro Studi Parlamentari Nomos, nella rubrica “Lobbying” ha
                  illustrato il provvedimento promosso dalla Coldiretti sul tema “l’origine
                  delle materie prime in etichetta”. Al Presidente Luigi
                  Salvati abbiamo chiesto di 
                  presentarci la posizione dell’Anicav e di Federalimentare
                  sull’argomento. 
                    
                   Luigi
                  Salvati 
Presidente Anicav  
info@anicav.it 
 
		   
	      Perché "no" al provvedimento attualmente in corso
	        di esame presso la Commissione Agricoltura del Senato della Repubblica,
	        denominato "Indicazione obbligatoria nell'etichettatura dell'origine
	        dei prodotti alimentari"? 
	      	        Si tratta di un problema delicato che implica una serie di considerazioni
	        che l'industria alimentare italiana, attraverso Federalimentare, ha
	        posto con forza nel dibattito. Innanzitutto va sgombrato il campo da
	        un equivoco di fondo. Indicare l'origine delle materie prime in etichetta
	        non equivale a garantire la sicurezza e la qualità dei prodotti
	        per il consumatore, tanto meno a tutelare il made in Italy. In più non
	        tiene conto delle esigenze delle industrie. L'Italia, infatti, è un
	        grande paese trasformatore, la cui vera capacità sta nell'utilizzare
	        il meglio disponibile sul mercato, che si concretizza, laddove è possibile,
	        nella materia prima nazionale, e di coniugarlo con capacità produttive,
	        tradizione, gusto e cultura tutte italiane. Questo è il vero
	        made in Italy. C'è poi un altro aspetto cui riservare la dovuta
	        attenzione: l'Italia, che ha una tradizione culinaria di altissimo livello, è deficitaria
	        di una serie di materie prime. Poniamo l'esempio del caffè. Siamo
	        famosi nel mondo per il caffè che produciamo ma, in realtà,
	        in Italia non c'è un solo “chicco nero” perché,
	        come noto, questa è una materia prima proveniente da altri paesi
	        con caratteristiche climatiche molto diverse dalle nostre. Lo stesso
	        discorso vale per la pasta, da sempre riconosciuta come un prodotto
	        tipico italiano. Infatti, oltre il 30% del grano duro utilizzato per
	        la produzione è di provenienza estera in quanto l'Italia non
	        produce grano duro in quantità sufficiente a coprire il fabbisogno
	        dell'industria pastaia italiana. Inoltre, bisogna tener conto della
	        complessità dei prodotti presenti sul mercato. Basti pensare
	        che ve ne sono alcuni che contengono una grande varietà di materie
	        prime (anche 30-40 tipi diversi). Prevedere un'etichetta con la provenienza
	        di tutte le materie prime utilizzate significherebbe stendere un elenco
	        infinito, che di certo non fa capire al consumatore cosa porta in tavola.
	        Gli è di aiuto invece sapere che quel prodotto è frutto
	        della sapienza italiana, vera garanzia di qualità. Non si esclude
	        che le aziende possano decidere di valorizzare in etichetta l'origine
	        delle materie prime, ma questa deve essere una scelta volontaria delle
	        singole realtà, frutto di valutazioni tecniche, produttive e
	        commerciali. 
             	        
            Autocontrollo, controlli pubblici e tracciabilità.
            Questi gli aspetti essenziali per la sicurezza dei prodotti? 
	          La sicurezza alimentare merita un discorso a parte. Essa è garantita
	          dai sistemi di autocontrollo interni alle aziende, dall'HACCP obbligatoria
	          per legge, e da soggetti terzi esterni, Asl e altri enti diversi. In
	          questo contesto si inserisce la questione della rintracciabilità.
	          Il regolamento comunitario, in vigore dal 1° gennaio 2005, prevede,
	          in sintesi, che ogni operatore della filiera alimentare sia in grado
	          di documentare, in qualsiasi momento, "chi è il fornitore
	          e cosa ha fornito" e, di rimando, specificare "cosa ha fornito
	          e a chi". È l'intero processo, quindi, a garantire sicurezza.
	          L'industria alimentare italiana segue con attenzione e contribuisce
	          allo sviluppo di un sistema armonizzato di regole per la rintracciabilità obbligatoria
	          ed è in prima linea affinché i consumatori siano garantiti
	          sulla sicurezza dei cibi. Ai fini della rintracciabilità, accanto
	          agli adempimenti obbligatori, le aziende possono su base volontaria
	          fornire una serie ulteriore di informazioni sui loro prodotti. In tale
	          ottica, come ANICAV abbiamo elaborato delle linee guida sulla rintracciabilità nella
	          filiera dei derivati del pomodoro per la realizzazione di un sistema
	          che potrà essere implementato, in sede aziendale, sulla base
	          delle specifiche esigenze. 
	           
	          Una provocazione: meglio il prodotto “pensato in Italy"? 
	          	          Il made in Italy non è soltanto un fatto concettuale ma una questione
	          di stile, se vogliamo di "stile di vita italiano" che domina
	          diversi ambiti, tra cui è compresa anche l'alimentazione. Si
	          tratta di un saper fare che affonda le sue radici nella tradizione,
	          nella cultura, nelle abitudini alimentari, nel territorio. Un prodotto
	          alimentare è la sintesi sapiente di tutto ciò. Le aziende,
	          in un mix di tradizione e storia, intercettano il gusto dei consumatori
	          dando vita a prodotti al di sopra di ogni possibilità di plagio.
	          Il made in Italy è il nostro vessillo e intendiamo difenderlo. 
	          Il discorso cambia se si tratta di quei prodotti frutto inimitabile
	          di un territorio circoscritto. 
	          Un percorso ben distinto, è vero, riguarda i prodotti DOC, DOP
	          e IGP perché questi hanno una caratterizzazione e una tipicizzazione
	          ben precisa. Soggetti a norme ad hoc, devono essere prodotti in un determinato
	          territorio nel rispetto di procedure e tecniche altrettanto predefinite.
	          In questo caso, e solo allora, si giustifica un sistema particolare
	          di definizione perché è proprio nella natura del prodotto
	          essere diverso dagli altri. Il pomodoro San Marzano, per fare un esempio
	          noto di un prodotto tipico della nostra terra, rispetta un disciplinare
	          che individua il territorio di produzione della materia prima e le tecniche
	          di coltivazione e di trasformazione, tutti elementi che lo rendono unico
	          e perciò meritevole della DOP. Non solo la produzione agricola
	          ma anche la trasformazione industriale segue, in questo caso, parametri
	          chiari.  
	           
	          Ci sarebbero danni all'immagine e alle esportazioni del made in Italy
	          alimentare, qualora passasse il provvedimento in esame?  
	          	          A nostro avviso è una strategia perdente. A muoverla potrebbero
	          esserci idee protezionistiche volte a una tutela presunta dell'agricoltura
	          italiana. L'industria alimentare paventa che, se dovesse passare la
	          proposta di non poter definire "made in Italy" un prodotto
	          fatto in Italia solo perché non tutte le materie prime che
	          lo compongono provengono dal nostro Paese, le aziende scelgano
	          di investire altrove, con danni immaginabili per l'intero sistema
	          economico.  
	      
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