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  Dicembre 2012

Articoli
n° 6 Luglio 2004
 




     INSERTO ASSEMBLEA DEI SOCI GENERALE 2004 RELAZIONE DEL PRESIDENTE ANDREA PRETE
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STRATEGIE VINCENTI DI CRESCITA
LA STAGIONE DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

MATERIE PRIME IN ETICHETTA
NON E' L’ORIGINE A GARANTIRE LA SICUREZZA

MATERIE PRIME IN ETICHETTA
NON E' L’ORIGINE A GARANTIRE LA SICUREZZA

L’industria alimentare difende la competitività del made in Italy sui mercati esteri

di Raffaella Venerando

Nello scorso numero di Costozero, Gaia Sigismondi, Junior Consult del Centro Studi Parlamentari Nomos, nella rubrica “Lobbying” ha illustrato il provvedimento promosso dalla Coldiretti sul tema “l’origine delle materie prime in etichetta”. Al Presidente Luigi Salvati abbiamo chiesto di presentarci la posizione dell’Anicav e di Federalimentare sull’argomento.

Luigi Salvati
Presidente Anicav

info@anicav.it

Perché "no" al provvedimento attualmente in corso di esame presso la Commissione Agricoltura del Senato della Repubblica, denominato "Indicazione obbligatoria nell'etichettatura dell'origine dei prodotti alimentari"?
Si tratta di un problema delicato che implica una serie di considerazioni che l'industria alimentare italiana, attraverso Federalimentare, ha posto con forza nel dibattito. Innanzitutto va sgombrato il campo da un equivoco di fondo. Indicare l'origine delle materie prime in etichetta non equivale a garantire la sicurezza e la qualità dei prodotti per il consumatore, tanto meno a tutelare il made in Italy. In più non tiene conto delle esigenze delle industrie. L'Italia, infatti, è un grande paese trasformatore, la cui vera capacità sta nell'utilizzare il meglio disponibile sul mercato, che si concretizza, laddove è possibile, nella materia prima nazionale, e di coniugarlo con capacità produttive, tradizione, gusto e cultura tutte italiane. Questo è il vero made in Italy. C'è poi un altro aspetto cui riservare la dovuta attenzione: l'Italia, che ha una tradizione culinaria di altissimo livello, è deficitaria di una serie di materie prime. Poniamo l'esempio del caffè. Siamo famosi nel mondo per il caffè che produciamo ma, in realtà, in Italia non c'è un solo “chicco nero” perché, come noto, questa è una materia prima proveniente da altri paesi con caratteristiche climatiche molto diverse dalle nostre. Lo stesso discorso vale per la pasta, da sempre riconosciuta come un prodotto tipico italiano. Infatti, oltre il 30% del grano duro utilizzato per la produzione è di provenienza estera in quanto l'Italia non produce grano duro in quantità sufficiente a coprire il fabbisogno dell'industria pastaia italiana. Inoltre, bisogna tener conto della complessità dei prodotti presenti sul mercato. Basti pensare che ve ne sono alcuni che contengono una grande varietà di materie prime (anche 30-40 tipi diversi). Prevedere un'etichetta con la provenienza di tutte le materie prime utilizzate significherebbe stendere un elenco infinito, che di certo non fa capire al consumatore cosa porta in tavola. Gli è di aiuto invece sapere che quel prodotto è frutto della sapienza italiana, vera garanzia di qualità. Non si esclude che le aziende possano decidere di valorizzare in etichetta l'origine delle materie prime, ma questa deve essere una scelta volontaria delle singole realtà, frutto di valutazioni tecniche, produttive e commerciali.

Autocontrollo, controlli pubblici e tracciabilità. Questi gli aspetti essenziali per la sicurezza dei prodotti?
La sicurezza alimentare merita un discorso a parte. Essa è garantita dai sistemi di autocontrollo interni alle aziende, dall'HACCP obbligatoria per legge, e da soggetti terzi esterni, Asl e altri enti diversi. In questo contesto si inserisce la questione della rintracciabilità. Il regolamento comunitario, in vigore dal 1° gennaio 2005, prevede, in sintesi, che ogni operatore della filiera alimentare sia in grado di documentare, in qualsiasi momento, "chi è il fornitore e cosa ha fornito" e, di rimando, specificare "cosa ha fornito e a chi". È l'intero processo, quindi, a garantire sicurezza. L'industria alimentare italiana segue con attenzione e contribuisce allo sviluppo di un sistema armonizzato di regole per la rintracciabilità obbligatoria ed è in prima linea affinché i consumatori siano garantiti sulla sicurezza dei cibi. Ai fini della rintracciabilità, accanto agli adempimenti obbligatori, le aziende possono su base volontaria fornire una serie ulteriore di informazioni sui loro prodotti. In tale ottica, come ANICAV abbiamo elaborato delle linee guida sulla rintracciabilità nella filiera dei derivati del pomodoro per la realizzazione di un sistema che potrà essere implementato, in sede aziendale, sulla base delle specifiche esigenze.

Una provocazione: meglio il prodotto “pensato in Italy"?
Il made in Italy non è soltanto un fatto concettuale ma una questione di stile, se vogliamo di "stile di vita italiano" che domina diversi ambiti, tra cui è compresa anche l'alimentazione. Si tratta di un saper fare che affonda le sue radici nella tradizione, nella cultura, nelle abitudini alimentari, nel territorio. Un prodotto alimentare è la sintesi sapiente di tutto ciò. Le aziende, in un mix di tradizione e storia, intercettano il gusto dei consumatori dando vita a prodotti al di sopra di ogni possibilità di plagio. Il made in Italy è il nostro vessillo e intendiamo difenderlo.
Il discorso cambia se si tratta di quei prodotti frutto inimitabile di un territorio circoscritto.
Un percorso ben distinto, è vero, riguarda i prodotti DOC, DOP e IGP perché questi hanno una caratterizzazione e una tipicizzazione ben precisa. Soggetti a norme ad hoc, devono essere prodotti in un determinato territorio nel rispetto di procedure e tecniche altrettanto predefinite. In questo caso, e solo allora, si giustifica un sistema particolare di definizione perché è proprio nella natura del prodotto essere diverso dagli altri. Il pomodoro San Marzano, per fare un esempio noto di un prodotto tipico della nostra terra, rispetta un disciplinare che individua il territorio di produzione della materia prima e le tecniche di coltivazione e di trasformazione, tutti elementi che lo rendono unico e perciò meritevole della DOP. Non solo la produzione agricola ma anche la trasformazione industriale segue, in questo caso, parametri chiari.

Ci sarebbero danni all'immagine e alle esportazioni del made in Italy alimentare, qualora passasse il provvedimento in esame?
A nostro avviso è una strategia perdente. A muoverla potrebbero esserci idee protezionistiche volte a una tutela presunta dell'agricoltura italiana. L'industria alimentare paventa che, se dovesse passare la proposta di non poter definire "made in Italy" un prodotto fatto in Italia solo perché non tutte le materie prime che lo compongono provengono dal nostro Paese, le aziende scelgano di investire altrove, con danni immaginabili per l'intero sistema economico.


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