Ritardo dei PAGAMENTI: ITALIA maglia nera in Europa
Decreto LIBERA-ITALIA «L'efficienza prima di tutto»
Le POLITICHE possibili per il rilancio della crescita in Italia
Le POLITICHE possibili per il rilancio della crescita in Italia
Bisognerebbe andare oltre le liberalizzazioni, ridimensionando gli abusi di posizione dominante delle imprese monopolistiche e dei grani impianti a rete
Massimo Lo Cicero
Economista
Non possiamo dire che il nostro Paese ha agganciato il treno della crescita ma possiamo dire
che, in un mondo che non ha ancora trovato un equilibrio ragionevole, l'Italia comincia ritrovare nel giudizio degli interlocutori, siano essi altri Governi o il mercato globale e i suoi attori una reputazione e una affidabilità che, nei mesi alle nostre spalle, sembravano assolutamente fuori delle nostre possibilità.
L'ultimo trimestre del 2011 è stato oggettivamente negativo per le sue conseguenze sul 2012. Questa negatività si può spiegare con due elementi.
In primo luogo abbiamo accusato una ulteriore stretta fiscale sui redditi dei produttori e delle famiglie consumatrici. Dopo un anno, che aveva scontato altre manovre deflattive, questa aggiunta finale ha letteralmente compresso la capacità di spesa sul mercato interno. Le imprese hanno ridotto gli investimenti e alleggerito le scorte.
C'è per le imprese un problema ulteriore: la scarsezza di fondi liquidi, generata dal ritardo dei pagamenti dello Stato e delle grandi imprese, raziona la moneta in circolazione nel sistema. É scarsa la fiducia ed è abbondante la moneta emessa dalle banche centrali.
Sarebbe meglio il contrario: più fiducia e meno moneta. Ma quando c'è incertezza prevale la trappola in cui siamo oggi: molta moneta e poca liquidità.
E le banche non concedono nuovi crediti e tengono molto stretti i perimetridei fidi esistenti. In queste condizioni si alleggeriscono le scorte e non si parla di investimenti, ovviamente. A questo punto la domanda interna viene chiusa tra due lame, come quando le forbici tagliano nel loro punto di incrocio.
Da una parte non c'è capacità di spesa delle famiglie, dall'altra non ci sono risorse da investire e, stretto dai crediti che non vengono onorati, il sistema delle medie e piccole imprese non investe e non riesce a soddisfare i propri debiti. La recessione del 2012 è anche l'effetto di queste forbici che stanno tagliando il futuro prossimo del Paese in maniera marcata.
Le imprese esportatrici potrebbero allargare le proprie quote sul mercato internazionale ma, anche in questo caso, il problema di una domanda fiacca genera una modesta possibilità di espandere la quarta e ultima voce della domanda aggregata: le esportazioni.
Essendo fermi i consumi, gli investimenti e la spesa pubblica: le altre tre voci della domanda effettiva complessiva che si presenta al sistema dell'offerta, all'insieme delle imprese del paese.
Le imprese esportatrici avrebbero sia la forza, sia la capacità di esportare, ma le dimensioni del commercio internazionale sono inferiori a quelle degli anni alle nostre spalle e, dunque, anche la voce esportazioni non si presenta vivace come dovrebbe essere.
Sul terreno macroeconomico, insomma, non essendoci domanda sul mercato sconteremo l'effetto recessivo che il Fondo Monetario Internazionale ha previsto per il 2012: un ‑2% del Pil.
Oltre due volte l'effetto recessivo per l'area Euro nel suo complesso: che dovrebbe essere compreso tra zero ed uno per cento. Se la macroeconomia non ci aiuta, e determinerà comunque una recessione con effetti negativi anche sul terreno dell'occupazione, anche il profilo delle regole e delle istituzioni non sembra di grande aiuto.
Si parla molto di liberalizzazioni: che cosa si intende con questa parola? Una cosa necessaria: che ogni mercato deve essere aperto a chi vuole partecipare; che ogni impresa e ogni individuo devono poter provare la propria capacità di produrre e vendere senza subire la morsa di lacci ed impedimenti.
Ma basta la libertà dai lacci e dagli impedimenti per avere spazio sul mercato?
Basta avere la possibilità di vendere ad un prezzo competitivo con quello delle altre imprese se, anche per quel prezzo competitivo, non c'è domanda effettiva sul mercato?
Non basta, evidentemente: la libertà di ingresso è necessaria ma una larga domanda effettiva, sul mercato interno e internazionale, è la vera condizione sufficiente che chiude l'equazione della crescita. Bisognerebbe andare oltre le liberalizzazioni, dunque, e promuovere una maggiore competizione ridimensionando gli abusi di posizione dominante delle imprese monopolistiche e dei grani impianti a rete: regolamentati dallo Stato ma ancora capaci di catturare la rendita del consumatore, perché il costo marginale, generato dalla esigenza di produrre per l'ultimo utente che si allaccia alla rete, è sistematicamente più basso del costo medio dell'impresa che gestisce la rete.
É naturale che le grandi reti italiane siano un monopolio: nessuno può fare loro concorrenza se non altre reti. Dunque serve una politica della repressione dell'abuso di posizione dominante, e non solo una politica delle liberalizzazioni. Se esiste un profilo troppo recessivo della domanda effettiva, la libertà di ingresso sul mercato non si traduce in ricavi.
E se il mercato è illiquido quei ricavi diventano crediti, e non entrate di cassa. Insomma il bicchiere è davvero mezzo vuoto, per certi versi. Ma questo Governo che, faticosamente, si sta aprendo una strada, tratta oggi alla pari con Francia e Germania.
Se questo riconoscimento della nostra voglia e capacità di fare sul serio si affermasse definitivamente, allora il Governo avrebbe la forza di muovere passi ulteriori; di agire più sulla riduzione delle spese inutili che sull'aumento delle tasse e delle tariffe. Avrebbe la forza politica di reprimere gli abusi di posizione dominante sui mercati e di promuovere le liberalizzazioni: cominciando dalle grandi reti e non solo dai taxi e dalle farmacie. Siamo in un guado ma ce la possiamo fare. Anche perché le agenzie internazionali di rating, i presunti "maestri" del mercato, si sono accorti solo ora del fatto che l'Italia andava peggiorando.
Proprio mentre, al contrario, abbiamo cominciato a risalire nella stima dei mercati e dei governi del mondo. Manteniamo ferma la barra del timone in questa direzione e la mantenga anche il Governo. Ora è il momento di spendere per tutto il Paese e per il benessere di tutti gli italiani la reputazione che stiamo ricostruendo.
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