Beni aziendali concessi ai soci Il FISCO si fa controllore
L'obiettivo non è solo stanare i disonesti, ma anche mettere in piedi una banca dati complessiva che incroci la titolarità di fatto di un bene con il dato reddituale del beneficiario
Marco Fiorentino
Fiorentino Associati - Synergia Consulting Group marcofiorentino@fiorentinoassociati.it
Allo scopo di contrastare il fenomeno dell'allocazione in ambito "imprenditoriale" di beni, in realtà ad
utilizzo solo privato, il D. L. n. 138/2011 ha introdotto una disciplina fiscale che colpisce i casi di maliziosa concessione in uso ai soci dei beni d'impresa. Tali manovre vengono di solito praticate non solo per generare costi deducibili, ma anche (forse soprattutto), per evitare la riconducibilità di beni, spesso costosi, a persone fisiche.
La norma coinvolge tutti i soggetti di impresa che attribuiscono l'uso di beni aziendali ai soci. Nella nozione di "soci" rientrano le persone fisiche che partecipano al capitale della concedente, ovvero di società dello stesso gruppo della concedente, nonché i loro familiari. Il Fisco ha compreso nella nozione di "soci" anche i soggetti non persone fisiche, ma questa inclusione non appare coerente con la ratio della norma.
I beni sensibili sono: (i) le autovetture e gli altri veicoli; (ii) le unità di diporto; (iii) gli aeromobili; (iv) gli immobili; (v) ogni altro bene, il cui valore non sia superiore ad euro 3.000. In pratica, tutti. La penalizzazione opera solo quando il corrispettivo pagato per il godimento dei beni sia inferiore al valore di mercato (rectius: valore normale ai sensi dell'art.9 TUIR).
In tale caso, il differenziale di corrispettivo va tassato in capo al beneficiario, come reddito diverso (art. 67 TUIR, comma 1, lett. h ter), mentre i costi sostenuti dalla società per l'acquisto e la gestione del bene divengono indeducibili e l'IVA relativa diviene indetraibile. C'è quindi una asimmetria: l'indeducibilità dei costi è totale, nonostante il beneficiario sottoponga a tassazione il sovracorrispettivo. Per logica sistematica, la penalizzazione non dovrebbe operare, qualora l'utilizzo del bene sia qualificato come "fringe benefit", ovvero, qualora il costo del bene sia sottoposto a norme, che già ne limitino la deduzione.
Ma, ad oggi, sulla questione l'Agenzia non si è ancora espressa. Agganciato alla nuova tassazione, c'è però l'obbligo di comunicare all'Amministrazione Finanziaria entro il 31 marzo di ciascun anno tutti i dati relativi ai beneficiari e ai beni concessi in godimento, nel precedente periodo d'imposta. Questo appare il vero tema. Tale comunicazione deve essere effettuata al fine di consentire al Fisco di valutare la capacità contributiva dei beneficiari e procedere, se del caso, all'esecuzione dei controlli fiscali, anche su base sintetica.
E si badi che, pur nel silenzio della legge istitutiva della disciplina, l'Agenzia delle Entrate ha disposto che la comunicazione deve essere effettuata, anche se i corrispettivi pattuiti per l'uso del bene sono in linea o persino superiori a quelli di mercato, e l'informativa deve estendersi anche ai finanziamenti e ai versamenti di denaro effettuati dai soci. In sostanza, la comunicazione determina una mappatura degli utilizzi di beni, a prescindere dal prezzo del loro uso. Il Fisco quindi non vuole solo colpire, giustamente, i rapporti patologici, ma vuole anche disporre di una banca dati complessiva, che incroci la titolarità di fatto di un bene con il dato reddituale del beneficiario.
C'è da rilevare però che, almeno allo stato attuale, nel caso in cui le società (e i beneficiari), pur aderendo al principio del valore di mercato, non rispettino gli obblighi di monitoraggio, sottraendosi al più invasivo dei controlli, rappresentato dall'incrocio tra disponibilità e reddito, la sanzione applicabile è solo quella prevista dall'art. 11, comma a) del D.lgs. n. 471/1997 (da euro 258 a euro 2.065). Cosa vorrà significare?
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