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  Dicembre 2012

Articoli n° 10
DICEMBRE 2012
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LA MEDIAZIONE OLTRE L'OBBLIGO



Marco Marinaro Avvocato
Avvocato Cassazionista Professore a contratto SSPL Univ. Federico II Napoli, SSPL Univ. Salerno, SSPL Univ. Molise Conciliatore e Arbitro della Camera Consob, Membro Arbitro Bancario Finanziario Collegio di Roma

Il notevole clamore suscitato dall'acceso dibattito sulla mediazione obbligatoria e i suoi epiloghi giudiziari e politici ancora in divenire hanno reso trasparente e tangibile un alto tasso di conf littualità tra gli operatori del settore e, ancor di più, una persistente cultura remediale nell'approccio agli antichi problemi della giustizia civile italiana. La discussione sui temi della mediazione e sulla sua obbligatorietà, quale esteso filtro preventivo alla domanda giudiziale, a volte dai toni molto accesi e spesso condotta senza distinguere i diversi piani, ha generato confusione e preoccupazione, con il rischio di disorientare l'opinione pubblica che con difficoltà si avvicinava ad una riforma legislativa che tra luci e ombre aveva aperto la strada alla cultura della conciliazione.
La domanda più frequente che si rincorre dopo la notizia della incostituzionalità per eccesso di delega della mediazione obbligatoria riguarda il futuro della mediazione, confondendo lo strumento conciliativo con la previsione della sua obbligatorietà, ma ancor di più il futuro della giustizia civile, ormai allo stremo, le cui sorti sembravano affidate proprio al nuovo procedimento di composizione delle liti civili introdotto dal legislatore con dichiarati intenti def lattivi. Invero il difficile percorso culturale avviato verso nuove modalità di risoluzione dei conf litti postula una diversa chiave di accesso al circuito conf litto/ rimedio secondo una prospettiva che viene definita di "riequilibro ecologico".

La cover dell'ultimo libro di Marco Marinaro

La sempre più avvertita inadeguatezza strutturale e funzionale del sistema giudiziale di risoluzione delle liti in una prospettiva monopolistica costituisce il primo passo verso una acquisita consapevolezza dell'esigenza ormai ineludibile di affrontare i temi della giustizia abbandonando la prospettiva culturale del rimedio. I sistemi alternativi di composizione dei conf litti e - tra questi ovviamente appare in prima fila la mediazione quale strumento di pacificazione sociale - costituiscono non una semplice esigenza di diversificazione necessaria a supplire ad un apparato giudiziario che non riesce a fronteggiare la crescente domanda di giustizia, ma una esigenza culturale da percorrere per la sostenibilità del più complesso sistema giustizia.
Risolvere così i cronici ritardi dei processi civili non può significare ragionare solo in termini di risorse, ma ridefinire i limiti della giurisdizione, di una giurisdizione onnivora per via della delega in bianco resa da una società sempre più litigiosa e incapace di ripensare alle soluzioni senza limitarsi a prospettare rimedi e rimedi ai rimedi inefficaci.
La pur importante analisi dei dati statistici spesso accentra l'attenzione sui profili quantitativi delle disfunzioni, lasciando sullo sfondo le molteplici cause endogene ed esogene che riguardano anche la qualità delle controversie. Una riconsiderazione ecologica del rapporto tra giustizia e società, secondo quanto prospettato da autorevoli studiosi, induce ad affrontare i gravi problemi della giustizia analizzandone prioritariamente la cause (tra le variabili esogene si pensi all'assenza di culture solidaristiche della sfera pubblica, ad una marginale interiorizzazione del concetto di legalità, etc.).
L'esplosione della litigiosità che affonda le sue profonde radici in sovrapposte stratificazioni culturali appare il nodo cruciale di una rif lessione che si ponga quale obiettivo non l'ennesima e sterile riforma della riforma, l'aumento indiscriminato delle risorse (qualora ve ne fossero disponibili), ma una rif lessione approfondita in ordine alle sue cause. Peraltro pare acclarato che l'aumento costante e abnorme della legislazione, oltre che la crescita di una classe di operatori formati al diritto inteso quale cultura del conf litto, non può che aggravare e ritardare l'adozione di sistemi complementari di composizione delle liti utili a condurre in equilibrio il tasso litigiosità. Domanda e offerta di giustizia devono trovare il fisiologico punto di equilibrio nella consapevolezza che lo stesso non potrà essere raggiunto mediante una rincorsa continua dell'offerta verso una domanda che cresce a dismisura e si riempie anche di quella componente patologica determinata dalla lentezza e inefficienza del meccanismo. I diversi sistemi attraverso i quali una società regola i conf litti nascono all'interno della stessa e variano profondamente nel tempo e nello spazio.
E questi sistemi che sicuramente dipendono dal modo in cui si conf ligge, condizionano a loro volta i medesimi strumenti risolutivi. E questa rif lessione di un autorevole filosofo svela come «il modo in cui si litiga e si conf ligge dipende dal modo in cui esistono sbocchi del conf litto e sono predisposti culturalmente e socialmente rimedi». Come dire che il circuito conf litto/rimedio può essere condizionato e condizionante i modi adottati in un dato luogo e in un dato tempo per la composizione delle controversie.
A ciò consegue la possibile interrelazione tra i sistemi adottati e resi quindi disponibili in un dato ordinamento e l'andamento del tasso di litigiosità nella società. Insomma uno stretto rapporto nel quale è difficile stabilire il rapporto causa/effetto, nella certezza di una reciproca inf luenza tra i diversi fattori. Se nell'offerta di giustizia in un dato paese restano marginali i sistemi autonomi di composizione delle liti e quelli eteronomi restano quasi del tutto affidati alla giurisdizione dello Stato, anche le modalità attraverso le quali si estrinsecheranno e si evolveranno i conf litti non potranno che esserne orientate, sino a subirne effetti tali - qualora il sistema risultasse scarsamente idoneo a ricucire i rapporti sociali e soprattutto inefficiente nella risposta di giustizia - da inf lazionare decisamente la litigiosità in quella società.
Si radica in tal modo stratificandosi la cultura del conf litto in una prospettiva antagonista strutturalmente indirizzata a recidere ma non a conciliare, con effetti profondi in grado di alterare nel lungo periodo anche le dinamiche sociali. Diviene così ineludibile l'esigenza di avviare la costruzione di una diversa cultura nell'approccio ai conf litti mediante l'adozione e la promozione di strumenti non antagonisti di componimento delle liti e non quale alternativa ad una giurisdizione resa inefficiente, ma quale sistema complementare a quello giudiziale reso efficace attraverso meccanismi procedurali e organizzativi.
La pacificazione sociale deve quindi essere perseguita offrendo nuovi e diversi percorsi radicati nell'autonomia dei privati mediante una progressiva responsabilizzazione di utenti e operatori, e rendendo la giurisdizione minima e sostenibile, e per ciò stesso efficace, in grado di offrire tutela a chi la richiede e non solo di professarla.

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