NOTIFICA ATTI TRIBUTARI: È inesistente quella fatta per posta da Equitalia
CUNEO FISCALE, previsto un taglio troppo esiguo
CUNEO FISCALE, previsto un taglio troppo esiguo
SABINO DE BLASI Giuslavorista Patrocinante in Cassazione
«Le imprese italiane stanno morendo di fisco» ha dichiarato al Convegno dei Giovani Industriali, tenutosi a Capri nello scorso ottobre, il Presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi. L'affermazione, che può sembrare "ad effetto" per i non addetti ai lavori, trova invece, purtroppo, puntuale riscontro e fondamento nella crudezza dei dati reali.
Tanto per rimanere ai soli rilievi attinenti il cuneo fiscale (in parole povere: lo spread tra il salario netto percepito dai lavoratori e il costo di tasse e contributi sociali pagati dal datore di lavoro) registriamo che, secondo i dati OCSE 2011, il cuneo fiscale in Italia è pari al 47,6% e ha subito un'impennata del 4,2% nei soli dodici mesi ricompresi tra il 2010 e l'anno successivo. Raffrontando i dati nazionali con quelli degli altri Paesi europei, l'Italia risulta al sesto posto – per tale incidenza – dopo Belgio, Germania, Francia, Ungheria e Austria, ma è – invece – al secondo posto valutando la percentuale a carico dell'impresa.
Il risultato finale, pertanto, ci dice che la sola Francia pone a carico delle aziende oneri fiscali e contributivi superiori a quelle italiane, ciò – però – in un contesto dove il costo dell'energia è inferiore al 40% rispetto al resto d'Europa (fonte Corriere della Sera). Con cadenza ciclica i vari Governi sono stati chiamati a misurarsi con la "questione cuneo" e, se si fa eccezione della Finanziaria Prodi 2007 (con una riduzione del 5%, ripartito in 3% per le imprese e 2% per i lavoratori), la voce è – nel tempo - inesorabilmente cresciuta da quel lontano anno 1974, allorquando l'incidenza era del 3,6% (!!!).
Per coerenza "temporale", perciò, si è parlato, negli ultimi giorni, anche di una manovra Monti che dovrebbe comportare (il condizionale è d'obbligo, of course) un taglio del cuneo fiscale da realizzare attraverso una riduzione dello 0,50% nel 2013 e dell'1% nel 2014. Le risorse deriverebbero dal mancato taglio delle aliquote IRPEF e, nel 2014, potrebbe arrivarsi anche ad una detassazione della quota IRAP che, parimenti, pesa sul costo del lavoro; nel frattempo, è stata già approvata, per il 2013, la detassazione dei salari di produttività, da sottoporre a tassazione separata al 10%. I predetti correttivi e "sforzi" del Governo ci sembrano, francamente, "pannicelli caldi", se è vero – come è vero – che i conseguenti benefici comporterebbero un risparmio annuo stimato tra i 50 e i 100 euro per i dipendenti e poco più per le aziende, tra l'altro impegnate a districarsi contemporaneamente anche su altri fronti ( la difficoltà di accesso al credito con le Banche, i tempi lunghissimi dei pagamenti da parte degli Enti Pubblici, la spietata efficienza di Equitalia) e a combattere la competitività illecita dei grandi evasori e degli utilizzatori abituali di lavoro a nero. Diverso è il caso di quegli imprenditori – sempre più numerosi – che alimentano il fenomeno del dumping, stabilendo - cioè – la propria azienda all'estero, dove godono di condizioni complessive di gran lunga più convenienti del Paese di origine, così potendo tornare competitivi, tenuto conto che il costo del lavoro per unità di prodotto (ovvero quella frazione dei ricavi che deve essere spesa per compensare la forza lavoro) in Irlanda è pari al 33%, in Finlandia al 51%, in Spagna al 67%, in Germania al 71% e in Italia al 74% ( fonte Luigi Zingales – L'Espresso).
Di certo, però, la "fuga all'estero"(indotta) non può essere la vera alternativa, nel mentre – nell'ultimo periodo – invero, anche le OOSS dei lavoratori (ovviamente critiche verso il dumping) sembrano, infine, essersi rese conto del progressivo impoverimento degi imprenditori e, con gli Accordi Interconfederali del 2009 e del 201, anche alla luce dell'art. 8 del D.L. 138/2011 – convertito in legge 148/2011 - hanno concordato la introduzione di taluni aggiustamenti (non ultima la possibilità di derogare in peius il CCNL di categoria e di agganciare una parte dei salari alla produttività), così da favorire una maggiore flessibilità nella gestione dei rapporti di lavoro e una riduzione dei costi. L'impressione generale che si ricava, però, da questi interventi spot è che si proceda con una sorta di "navigazione a vista", in primis da parte del Governo. Nel 1990, in sede di Relazione consuntiva di fine anno, l'allora Governatore della Banca d'Italia, Carlo Azeglio Ciampi, ebbe modo di affermare: «I livelli fiscali e contributivi più elevati di quelli dei principali Paesi europei si giustificherebbero solo se vi corrispondessero servizi pubblici che, per qualità e costi, compensassero l'onere arrecato alla competitività dei produttori nazionali».
Non sarebbe, perciò, disdicevole – a distanza di oltre venti anni dalla relazione Ciampi - cominciare ad orientare specifiche risorse (magari attingendo alla spending review) anche per migliorare finalmente i servizi pubblici, snellire le procedure, facilitare l'accesso al credito agevolato e, perchè no, allentare progressivamente la gravosissima pressione fiscale, nonchè consentire la compensazione (per chi lavora per la Pubblica Amministrazione) tra crediti non riscossi e debito contributivo. La possibilità di "fare impresa" (o di continuare a "farla") impone un'accelerazione in questa direzione.
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