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  Dicembre 2012

Articoli n° 05
GIUGNO 2010
 
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È ancora CRISI, ma È tempo di contare i danni”

L'INTERVISTA - Bianchi: «Necessari i fondi per il riequilibrio territoriale nel nostro Paese»


L'INTERVISTA - Meldolesi: «La Campania ha bisogno di un’alleanza tra le sue forze sane»


L'INTERVISTA -Lanza: «Occorre una svolta strumentale nella condotta delle Regioni meridionali»

L'INTERVISTA

Lanza: «Occorre una svolta strumentalE nella condotta delle Regioni meridionali»

di Raffaella Venerando



Andrea Lanza
Ordinario di Strategie d’Impresa
Università della Calabria e SDA Bocconi

Professore, gli ultimi dati Istat sull’occupazione per il 2009 hanno confermato la gravità dell’impatto di oltre un anno di crisi economica sul nostro mercato del lavoro: sono andati persi 380mila posti di lavoro. Eppure, secondo il Governo, il nostro Paese ha tenuto meglio di altri…

Il nostro Paese, come peraltro Francia e Germania, è dotato di sistemi di tutela che consentono, in momenti particolarmente critici, di contenere gli effetti negativi della congiuntura sfavorevole. Tuttavia, nel caso del nostro Paese, il problema non è “tenere”, il vero problema è costituito dal fatto che in Italia la crescita è asfittica da ormai troppo tempo, circa venti anni. Sono le imprese di successo in “nuovi mercati” e settori a creare la crescita necessaria allo sviluppo dell’occupazione. Nuovi business creano nuovi lavori che assorbono occupazione a maggior valore aggiunto. Ciò rimette in moto la crescita, i consumi e il risparmio, e quindi gli investimenti, in un circolo virtuoso. Anche perché i nuovi mercati sono quasi sempre caratterizzati da maggiori tassi di produttività, il che consente anche di remunerare meglio il lavoro. In Italia, dal governo centrale in giù, stentiamo purtroppo ad incoraggiare questo tipo di crescita, complice l’orientamento familistico che pervade il nostro Paese e la presenza di una burocrazia (specie a livello di enti periferici) non ancora adeguata alle dinamiche competitive dei nostri giorni.

Dalle ultime rilevazioni Istat, ancora allarmanti sono le cifre relativa al lavoro nero. Come si combatte il sommerso?
Bisognerebbe chiedersi pure alcune cose: perché c’è il sommerso? Quali meccanismi sociali lo consentono? Sono stati attuati strumenti efficaci per ridurlo?
In altri termini, ragionerei in termini di incentivi e leve all’interno di un piano strutturale di riduzione del debito pubblico. Non vorrei banalizzare la questione, ma a volte mi sembra che in Italia anche le questioni serie divengano oggetto di tormentoni. La questione diventa allora molto più semplice: occorre ridurre la spesa pubblica in modo strutturale, intervenendo su quella clientelare e improduttiva, e tagliare significativamente le aliquote fiscali. Buoni incentivi producono buoni comportamenti, a patto di saperli apprezzare pragmaticamente da liberali, e non voler fare battaglie moraleggianti.

Permangono inoltre notevoli le differenze di genere: le donne occupate sono il 47,2%, gli uomini il 70.3%. C’era da aspettarselo che la crisi avrebbe colpito di più giovani e donne?
Sono in assoluto le categorie con meno “anzianità” nella storia recente del lavoro, e siccome questo non è...un Paese per giovani, come tutti dicono, ebbene sì, me lo aspettavo. D’altra parte in tutto questo va scontato il sommerso, e anche in questo caso giovani e donne sono le categorie maggiormente colpite, anche se la ragione spesso addotta, ossia la flessibilità, a mio avviso costituisce spesso un alibi tanto per il datore di lavoro, quanto per un certo tipo di lavoratori, che mi piace chiamare occulti, che possono così cumulare fino a tre redditi rimanendo ufficialmente disoccupati e quindi godendo di tutti i benefici sociali (sanità, assistenza, trasporti, edilizia popolare, eccetera). É anche così che si forma uno stock di debito pubblico quale quello italiano.

Cosa ne pensa invece delle dichiarazioni del vice segretario del Pd Enrico Letta secondo cui la Campania - sotto il profilo economico - è una zavorra per l’intero Paese?
Non ho ascoltato, né letto le dichiarazioni di Letta cui lei fa riferimento. Tuttavia, da meridionale liberale, non posso non rilevare che in tutto il Sud, salvo lodevoli eccezioni, abbiamo smarrito da troppo tempo la fiducia nelle istituzioni, il che ci ha portato ad adottare comportamenti di miope e fantozziano vassallaggio verso una classe dirigente che, di suo, ha fatto ben poco per meritare rispetto. É questo il circolo vizioso del Sud: moltissimi cittadini confidano di poter ottenere anche solo qualche briciola dell’enorme torta di spreco che viene fatto dalle Regioni in giù. E quindi nessuno protesta per la cattiva prestazione istituzionale delle classi dirigenti ai diversi livelli, anzi ne incoraggia spesso la condotta scorretta votando per amministratori palesemente incapaci. Per fortuna ogni cinque anni si vota. Ma come popolazioni meridionali, ammesso che questa espressione abbia senso, non meritiamo molto di meglio, se non abbiamo il coraggio di rinnovare le istituzioni, ossia la classe dirigente, in modo più incisivo. Quindi io estenderei il concetto a tutto il Sud e lo prenderei come occasione per smetterla con i piagnistei e i comportamenti accattoni e ne approfitterei per lanciare un appello per una svolta strutturale nella condotta delle Regioni meridionali.

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