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  Dicembre 2012

Articoli n° 05
GIUGNO 2010
 
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La “riservatezza” nel procedimento di conciliazione delle liti

Una opportunità strategica per il contenzioso delle imprese

Avvocato Cassazionista - Conciliatore
Professore a contratto di Metodi di risoluzione delle controversie alternativi alla giurisdizione, Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali dell’Università di Salerno
www.studiolegalemarinaro.it

Sono trascorse alcune settimane dall’entrata in vigore del D.Lgs. 4 marzo 2010 n. 28 e nel mentre si attende l’emanazione dei nuovi decreti ministeriali attuativi, in vista della obbligatorietà del tentativo di mediazione la cui vigenza è fissata al 20 marzo 2011, i commentatori e gli operatori si confrontano sui tanti aspetti innovativi e talora problematici di questo profondo mutamento politico-legislativo nel sistema della giustizia civile.
E così, tra dubbi interpretativi, critiche e consensi al nuovo impianto normativo, si propongono agli utenti, e in particolare alle imprese, i possibili vantaggi nella soluzione del contenzioso in essere e di quello potenziale derivanti dall’applicazione del decreto citato. Vantaggi che occorrerà comunque valutare anche in considerazione del fatto che dal prossimo anno in molteplici materie (condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari) sarà obbligatorio avviare il procedimento conciliativo.
Si potrà fare dunque di necessità virtù, scoprendo e apprezzando la rapidità e la flessibilità del procedimento, la professionalità degli Organismi preposti, l’equilibrio e le capacità dei mediatori designati; ma gli incentivi fiscali potranno risultare davvero interessanti (esenzione dall’imposta di registro fino al valore di euro 50.000, esenzione totale dall’imposta di bollo e da ogni altra spesa tassa o diritto, possibilità di credito d’imposta fino ad euro 500), come anche la predeterminazione e la economicità delle indennità da versare agli Organismi di mediazione.
Se tutti questi vantaggi sono sicuramente interessanti e utili ad avvicinare ad un nuovo modo di affrontare le liti, quello che probabilmente potrà destare un particolare interesse soprattutto da parte delle imprese è la riservatezza del procedimento di mediazione. Ed infatti, il legislatore all’art. 5, comma 1, ha precisato che «Chiunque presta la propria opera o il proprio servizio nell’organismo o comunque nell’ambito del procedimento di mediazione è tenuto all’obbligo di riservatezza rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite durante il procedimento medesimo». Ma anche «Rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite nel corso delle sessioni separate e salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni, il mediatore è altresì tenuto alla riservatezza nei confronti delle altre parti (art. 5, comma 2)».
In questa norma sono contenuti due princìpi fondamentali del procedimento in base al quale le attività svolte durante lo stesso sono “coperte” dal più assoluto riserbo (riservatezza c.d. esterna) ed anche quando il mediatore dovesse acquisire in sessioni separate informazioni riservate le stesse resteranno tali anche nei confronti delle controparti (riservatezza c.d. interna).
L’attività conciliativa infatti si esplica nell’ambito della autonomia privata e non postula per tale ragione l’applicazione di regole e princìpi essenziali allo svolgimento del processo (ad es. principio del contradditorio) che si conclude con una sentenza che si impone alle parti. La soluzione della lite in sede conciliativa sarà sempre un contratto costituendo esplicazione della volontà delle parti “assistite” dal mediatore.
E la tutela della riservatezza è sì avanzata che «Le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione non possono essere utilizzate nel giudizio avente il medesimo oggetto anche parziale, iniziato, riassunto o proseguito dopo l’insuccesso della mediazione, salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni. Sul contenuto delle stesse dichiarazioni e informazioni non è ammessa prova testimoniale e non può essere deferito giuramento decisorio (art. 10, comma 1)».
Si applicheranno al mediatore le garanzie previste per il segreto professionale dell’avvocato (art. 200 cod. proc. pen.) e quelle per il difensore nel processo penale (art. 103 cod. proc. pen.), per cui non potrà essere tenuto a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite nel procedimento di mediazione, né davanti all’autorità giudiziaria né davanti ad altra autorità (art. 10, comma 2).
Una tutela rigida per garantire alle parti un sereno e approfondito confronto senza il timore di pregiudicare eventuali possibili strategie difensive in sede processuale in difetto di conciliazione.
La riservatezza diviene quindi centrale e forse dominante nella valutazione circa le opportunità che la sede conciliativa offre ex lege. Opportunità che possono trovare un’attenzione particolare proprio nei rapporti tra le imprese e tra le imprese e i consumatori. Rapporti commerciali duraturi, in mercati ristretti, soluzione di conflitti derivanti da disservizi isolati o diffusi, etc., postulano il più delle volte, quale esigenza prevalente, l’opportunità del riserbo.
Appare quindi ragionevole ritenere che una sempre più approfondita conoscenza da parte delle imprese della mediazione disciplinata dal D.Lgs. 28/2010 avrà l’effetto di valorizzarne sempre più le potenzialità offrendo quegli incentivi e quelle tutele che spesso sono strategicamente essenziali alla proficua gestione del contenzioso.

I rapporti tra mediazione e processo civile

Laura Salvaneschi
Professore ordinario di Diritto processuale civile nell'Università di Milano
Avvocato in Milano


In base al D.Lgs. 28/2010, qualunque controversia vertente su diritti disponibili può essere oggetto di mediazione (cd. “mediazione facoltativa”). Il ricorso alla mediazione è invece obbligatorio con riguardo alle controversie relative alle materie elencate dal primo comma dell’art. 5, rispetto alle quali l’esperimento della mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Le conseguenze dell’improcedibilità - rilevabile ex officio o su istanza di parte entro la prima udienza - si risolvono nell’assegnazione, da parte del giudice, di un termine di 15 giorni per la presentazione della domanda di mediazione, con fissazione della successiva udienza in data posteriore allo spirare del termine di durata massima della mediazione (quattro mesi). Allo stesso rinvio il giudice deve procedere nel caso in cui la mediazione sia stata avviata ma non si sia conclusa anteriormente alla prima udienza.
Lo slittamento delle attività processuali per il tempo necessario a consentire lo svolgimento della mediazione è previsto anche laddove, pur non vertendosi in ipotesi di mediazione obbligatoria, le parti si siano impegnate (in un contratto, atto costitutivo o statuto) a fare ricorso alla mediazione quale metodo di risoluzione delle loro potenziali controversie. In tal caso, l’eccezione riguardante il mancato esperimento della mediazione si configura quale eccezione in senso stretto ed è soggetta al più stringente termine preclusivo della “prima difesa” (art. 5, comma 5).
Accanto alla mediazione obbligatoria e a quella spontanea, il D.Lgs. 28/2010 prevede la possibilità di una mediazione demandata dal giudice: si prevede infatti che in qualunque fase del processo (anche in appello) e fino alla precisazione delle conclusioni, il giudice possa “invitare” le parti a procedere alla mediazione.
Ulteriori interferenze tra la mediazione ed il processo civile sono date dalla previsione dell’art. 13 - che attribuisce rilievo al comportamento tenuto dalle parti nel procedimento di mediazione ai fini della condanna alle spese del processo - e dall’ultimo comma dell’art. 8, secondo il quale il giudice può trarre argomenti di prova dalla mancata partecipazione della parte al procedimento di mediazione avvenuta senza giustificato motivo. É poi da ricordare che l’art. 10 introduce alcuni limiti all’ammissibilità delle prove formatesi durante il procedimento di mediazione.


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