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  Dicembre 2012

Articoli n° 10
DICEMBRE 2010
 
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Confindustria Caserta punta ai mercati del NORD AFRICA

Il rischio VESUVIO tra emergenza e coesione sociale

Rimodulare l'onere fiscale per incentivare gli INVESTIMENTI


Rimodulare l'onere fiscale per incentivare gli INVESTIMENTI

Lo spostamento del prelievo dalle imposte sul lavoro a quelle sui consumi può avere effetti positivi sull'occupazione e sullo sviluppo

«In Italia anche le aliquote effettive sul reddito delle imprese sono relativamente elevate e l'IRAP colpisce entrambi i fattori produttivi, lavoro e capitale»

«Per alcuni settori produttivi, in particolare e per molte pmi, l'emersione del "sommerso fiscale" deve essere accompagnata da contestuali riduzioni delle aliquote e da contestuali avvii dei programmi di incentivazione e sostegno agli investimenti e alla competitività»


Irene Bertucci Titolare di contributo di ricerca alla cattedra di Scienza delle Finanze
Facoltà di Economia LUISS Guido Carli di Roma

Oggi la principale sfida che i Paesi tradizionalmente sviluppati devono affrontare è la concorrenza dei paesi di nuova industrializzazione.
É cruciale il tasso degli investimenti, motore dello sviluppo e mezzo di infusione e diffusione del progresso tecnologico, quindi della crescita della produttività nel sistema. Questo implica una riconsiderazione degli strumenti di intervento pubblico che possono influire sulle decisioni imprenditoriali di investimento. Tra essi hanno particolare importanza per l'Italia, dal lato delle spese pubbliche quelle di promozione e sostegno alla ricerca scientifica, all'innovazione di processi e di prodotti, alla commercializzazione.
L'esperienze recenti mostrano che non mancano idee e progettualità specifiche e interessanti, anche mutuando da esperienze di altri paesi. Vi sono tuttavia ostacoli alla loro attuazione che provengono dalla molteplicità dei centri di ricerca non sufficientemente coordinati, dalle complessità spesso non giustificabili dalle procedure, e dalle sovrapposizioni e interferenze tra enti pubblici e tra programmi; e da antiche e consolidate tradizioni di "autonomia" dell'istruzione e della ricerca che non sono ancora state opportunamente adattate alla sempre più pressante urgenza di raccordo con le esigenze nel mondo del lavoro. Poiché l'istruzione, la formazione e in gran parte la ricerca sono di sostanziale competenza del settorepubblico, il coordinamento all'interno e con il mondo del lavoro è un problema di efficienza dell'azione pubblica.
L'altro maggiore vincolo al sostegno pubblico all'innovazione, nel senso lato sopra chiarito, viene dai vincoli ai saldi del bilancio delle amministrazioni pubbliche. In presenza di tali vincoli e delle rigidità delle più importanti voci di spesa pubblica (personale, pensioni, interessi sul debito) Governi e legislatori hanno mostrato difficoltà crescenti a trovare nei bilanci gli spazi per finanziare in misura significativa politiche di spesa pubblica mirate all'innovazione produttiva nel sistema italiano.
Tale vincolo di finanza pubblica condiziona anche le possibilità di ridare competitività e slancio alle produzioni italiane attraverso opportune manovre di politica tributaria. Infatti, dal lato delle entrate fiscali, un fattore di minore competitività dell'impresa italiana è causato dagli elevati cunei fiscali nel costo del lavoro e del capitale che appesantiscono le condizioni di produzione delle nostre imprese, come risulta dai confronti internazionali e anche nell'ambito dell'UE.
Invero, il problema non è solo tanto italiano ma dell'intera Unione Europea nei confronti delle altre grandi aree geo-economiche, in particolare dei paesi cosiddetti emergenti. Nel rapporto della Commissione Europea 2009 si annota che «l'onere fiscale (e parafiscale) sul lavoro è in media molto alto in Europa», deducono che questa pesante tassazione «è uno dei fattori che sta dietro all'insoddisfacente andamento dell'occupazione in Europa degli anni recenti, nella forma di alti tassi di disoccupazione, bassi tassi di partecipazione e bassi numeri di ore lavorate»; peraltro aggiungendo che altri fattori significativi possono essere il salario minimo e la bassa flessibilità del mercato del lavoro. In Italia anche le aliquote effettive sul reddito delle imprese sono relativamente elevate e l'IRAP colpisce entrambi i fattori produttivi, lavoro e capitale. Sembra immediata la conclusione che una politica di riduzione dell'impatto fiscale e parafiscale (le contribuzioni sociali sul costo del lavoro e del capitale) sia urgente e necessaria per ridare slancio alla competitività e agli investimenti che sono la vera garanzia dello sviluppo dell'economia anche negli anni avvenire.
Di nuovo, come sopra sottolineato per le possibilità di incentivazione degli investimenti e di sostegno alla competitività attraverso la politica della spesa pubblica, anche per tali politiche di riduzione dei cunei fiscali si prospetta l'ostacolo, finora ritenuto dalle Autorità quasi insormontabile, della copertura finanziaria al minor gettito derivante da tali riduzioni di imposta. Naturalmente, la strada all'apparenza più immediata sembrerebbe quella della riduzione delle spese inefficienti o non prioritarie.
Questa è sicuramente una strada da percorrere, anche se non facile come l'esperienza dimostra data la rigidità dei bilanci pubblici e data l'esistenza di interessi consolidati a difesa dei benefici particolari arrecati da tali spese. Peraltro, si vuole sottolineare che vi sono margini di manovra anche della composizione delle entrate tributarie, tali da consentire una riduzione dei cunei fiscali almeno in parte finanziata da aumenti di altre entrate. Da tempo si discute in Italia ed anche in altri Paesi delle ampie possibilità di recupero di entrate dalle evasioni ed elusioni fiscali.
Questo implica capacità e volontà di riorganizzare gli uffici addetti della pubblica amministrazione; il federalismo fiscale quando assegnasse effettiva maggiore autonomia tributaria agli enti territoriali, più vicini alle attività dei contribuenti può essere un'occasione nuova allo scopo. Occorre però avvertire che per alcuni settori produttivi, in particolare e per molte pmi, l'emersione del "sommerso fiscale" deve essere accompagnata da contestuali riduzioni delle aliquote e da contestuali avvii dei programmi di incentivazione e sostegno agli investimenti e alla competitività; altrimenti si creerebbero situazioni critiche di liquidità, mentre già il credito è notoriamente soggetto a nuove restrizioni. Tuttavia, tale linea di politica tributaria non potrebbe produrre risultati se non nel medio periodo; anche perché essa richiede un'efficace armonizzazione tributaria e coordinamento dell'azione di accertamento tra stati, almeno nel UE. Vi è d'altra parte un'altra strada, da percorrere anch'essa, e che può produrre risultati positivi in più breve tempo. Come riconosciuto anche dal citato rapporto della Commissione Europea e come si argomenta nell'articolo «lo spostamento del prelievo dalle imposte sul lavoro alle imposte sui consumi può avere effetti positivi sull'occupazione e sullo sviluppo».
A fronte delle possibili obiezioni, si può rispondere che non mancano ormai strumenti ed esperienze per minimizzare le temute conseguenze di regressività e inflazionistiche di tali manovre. Maggiore affidamento alla tassazione ambientale, e alla tassazione commisurata al principio del beneficio (imposte di scopo e simili) potrebbe risultare utile complemento a tale manovra.

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