SVILUPPO E LEGALITÀ: Confindustria non abbassa la guardia
La denuncia del presidente degli industriali siciliani Ivanhoe Lo Bello: «Sono ancora troppi i mercati protetti e gli imprenditori che pensano di fare affari stando con la mafia, danneggiando tutto il sistema economico»
«Bisogna reagire e promuovere una nuova sensibilità svincolata dai concetti di sudditanza e indifferenza. E bisogna trasferire i valori della legalità a partire dalle giovani generazioni»
di Raffaella Venerando
Ivanhoe Lo Bello,
Presidente Confindustria Sicilia e Componente Commissione Cultura Confindustria
Presidente Lo Bello, cominciamo dal suo cavallo di battaglia: l'editto contro il pizzo. A tre anni di distanza dal lancio di questa iniziativa quale bilancio è possibile tracciare?
Il bilancio è positivo. Sono ormai più di un centinaio gli imprenditori che hanno denunciato i condizionamenti mafiosi e circa quaranta quelli espulsi. La nostra linea è ormai consolidata e continua ad estendersi, ma non bisogna abbassare la guardia, perché il rischio di infiltrazione mafiosa in alcune aree del mondo economico c'è sempre. Per questo l'azione delle associazioni di categoria deve essere decisa ed incisiva. Siamo in piena corsa.
Di recente, anche le CCIAA hanno aderito al decalogo antiracket. Il muro contro chi viola il codice etico si fa via via più alto…
Il codice etico è un modello importante per tutto il sistema camerale ed è uno strumento cruciale di contrasto all'illegalità. L'osservatorio camerale, cogliendo i segnali sul territorio, fa capire prima di altri cosa accade e dunque come si possano realizzare un'adeguata prevenzione e un'operazione di supporto. Inoltre, sono previsti un sostegno economico concreto a chi denuncia il racket e alle vittime di usura, e una collaborazione economica per lo sviluppo dei territori. L'obiettivo è sempre di coniugare sviluppo e legalità.
Quella contro le mafie è, prima di ogni cosa, una guerra culturale. Quali retaggi malsani vuole debellare? Ritiene che tutti gli attori coinvolti - istituzioni, imprenditori e società civile - stiano facendo la propria parte?
La cultura del mercato, del merito, la capacità di competere con regole certe sono state offuscate da un contesto dominato dal parassitismo clientelare. Per sconfiggere la mafia occorre scardinare questo apparato di connivenze, di omertà e di convenienza. Sono ancora troppi i mercati protetti e gli imprenditori che pensano di fare affari stando con la mafia, danneggiando tutto il sistema economico. Col codice etico noi abbiamo compiuto una svolta nel mondo imprenditoriale siciliano, ma andiamo avanti anche grazie alla collaborazione con lo Stato e con altre componenti della società civile, dalle associazioni antiracket ai ragazzi di "Addiopizzo", costruendo una rete tra forze dell'ordine e soggetti che hanno esperienza nell'assistenza e nell'accompagnamento alla denuncia.
Lei più volte ha rimarcato che uno dei grandi mali del Meridione è la "dimensione pubblica inefficiente e ipertrofica". Colpa di espansionismo eccessivo della proprietà pubblica a livello locale o di cosa altro?
La dimensione pubblica ipertrofica deriva da politiche che nel tempo hanno coltivato una cultura clientelare nel nostro territorio e alimentato un ambiente diametralmente opposto a quello in cui dovrebbe prosperare un sistema economico sano. Basti pensare che in Sicilia le amministrazioni pubbliche pesano complessivamente sul Pil regionale per il 35%; in Lombardia e in Veneto per il 13%. Parti della società e del mondo dell'impresa dipendono ancora dalla cultura parassitaria del sostegno pubblico, ma oggi più che mai occorre ribaltare questa situazione, sopprimendo le politiche assistenziali che hanno l'effetto di far crescere irresponsabilmente l'esposizione debitoria delle amministrazioni regionali e locali.
Il suo collega Antonello Montante ha più di una volta sottolineato che denunciare soprusi e ricatti estorsivi non solo è giusto, ma conviene. Perché?
La convenienza di cui parla Antonello si riferisce al fatto che i sistemi distorti hanno creato danni enormi al Sud in termini di immagine, di capacità di attrarre investimenti, di debito pubblico, di lavoro. Tutto ciò sta portando verso un disastro finanziario che si ripercuote inevitabilmente su cittadini e imprese. Bisogna fare capire alla gente che supportare quei sistemi crea un'ipoteca sulla propria vita e su quella dei propri figli.
Insomma, non conviene proprio.
C'è una parola che ricorre spesso nelle sue dichiarazioni: "radicalità".
Certo, perché sono convinto che nel Sud sia necessario intervenire in maniera radicale. Non si può riformare un sistema se non si sradicano gli elementi di connivenza, i mercati protetti, e non si valorizzano i diritti. Bisogna reagire e promuovere una nuova sensibilità svincolata dai concetti di sudditanza e indifferenza. E bisogna trasferire i valori della legalità a partire dalle giovani generazioni. Senza regole, senza valori, i cittadini restano inermi, in balia di circostanze e interessi che non sono i loro. Perciò continuo a ripetere che questo è il tempo e il luogo della radicalità.
Per le imprese del Sud la crisi ha significato anche prestare il fianco al fenomeno dell'usura. Quali dati si registrano su questo fronte?
Le denunce sono ancora inferiori alla gravità del fenomeno, anche se vi è stato un aumento dal 2008 ad oggi. Purtroppo però avvengono spesso quando è troppo tardi. É essenziale invece che le imprese anticipino la denuncia, rafforzino i contatti con le forze dell'ordine o le collaborazioni con le associazioni industriali.
Crede che il federalismo fiscale per il Mezzogiorno sia un rischio oppure una carta da giocarsi bene?
Molti imprenditori sono convinti che il federalismo serva più al Mezzogiorno
che al Nord, perché implica una maggiore responsabilità della classe politica.
Ciò significa che nessuno pagherà più per l'inefficienza delle classi politiche locali. Il paradigma federalista dice: "Meglio se la periferia tassa e spende, perché così è responsabile delle tasse che chiede e di come le spende". Potrebbe essere una vera svolta, ma bisogna accompagnare questo federalismo con un sistema di sanzioni. La legge delega lo prevede, ma il confronto va approfondito: gli amministratori che non rispettano il patto di stabilità continuando ad alimentare l'assistenzialismo vanno sanzionati con la decadenza dalle cariche politiche e l'ineleggibilità. É l'unico modo per dare una scossa alla classe dirigente.
Un'ultima battuta su di un tema a lei caro: la cultura. La recessione globale è arrivata a lambire anche i settori della cultura, riducendo ulteriormente i consumi culturali degli italiani già piuttosto bassi se paragonati alla media europea. Quali politiche e quali misure ritiene urgenti per identificare la cultura come uno dei fattori di rilancio del Paese?
La spesa pubblica per la cultura continua a ridursi, con esiti noti a tutti; al contempo manca una valida strategia di valorizzazione dei nostri beni. Bisogna rilanciare il ruolo dei privati, che finora sono stati poco coinvolti e promuovere l'aggregazione di imprese. Ricordo anche le proposte Confindustria: no risorse a pioggia a soggetti pubblici "protagonisti dell'offerta culturale inefficiente"; affidare alcuni musei ai privati in totale concessione sperimentale, così come già accade in Francia; estendere il credito d'imposta per la ricerca alle sponsorizzazioni effettuate dai privati in progetti culturali; elevare dall'attuale 19% al 30% l'aliquota da portare in detrazione fiscale, ove le erogazioni culturali siano svolte da persone fisiche. |