ARCHIVIO COSTOZERO

 
Cerca nel sito



Vai al numero in corso


  Dicembre 2012

Articoli n° 03
APRILE 2010
 


Inserto


a cura di M. Marinaro

La mediazione delle liti civili e commerciali

Un nuovo strumento al servizio delle imprese

scarica - 84 Kb

dossier ECONOMIA - Home Page
stampa l'articolo stampa l'articolo

reti di impresa La nuova frontiera del business

L'INTERVISTA - Bianchi: «Il contratto di rete consente di realizzare progetti strategici di crescita»

L'INTERVISTA - Palmieri: «Fare rete si puÒ ed È anche facile se si conoscono i percorsi»
L'INTERVENTO - La rete È un ponte verso il futuro, che va costruito insieme ad altri

L'INTERVENTO - L’innovazione si fa in “rete”

L'Intervento


La rete È un ponte verso il futuro, che va costruito insieme ad altri




Enzo Rullani
Direttore del t.Lab, CFMT (Milano)

In Italia, si è tanto parlato di piccola impresa, nel bene e nel male. Se oggi si parla di reti è perché ci si è resi conto che la piccola impresa isolata - che opera da sola - non esiste, in realtà, o, se esiste, è una sopravvivenza pre-moderna, destinata a scomparire.
La piccola impresa, in realtà, lavora in filiera con altre imprese, grandi e piccole: è un operatore specializzato che co-produce valore sommando il proprio apporto a quello di altri specialisti, che presidiano tutto quello che la singola impresa non sa o non fa.
La filiera è l’organismo produttivo, e a questo andrebbero riferiti tutti i discorsi che riguardano la competitività, l’export, il valore prodotto e il profitto risultante, per i vari partecipanti. Purtroppo, tanti anni di fordismo ci hanno in passato abituati a ragionare per singole imprese, cosa che andava bene prima del 1970, quando effettivamente la grande impresa fordista cercava di essere autosufficiente, di integrare verticalmente tutte le fasi del ciclo, di controllare nel suo spazio proprietario tutte le funzioni e i saperi rilevanti, da usare nella produzione e nella vendita. Anche quando si accende il dibattito tra i sostenitori della grande e quelli della piccola impresa non ci si accorge che si sta parlando di niente, o meglio di categorie rese obsolete dall’evoluzione postfordista del modo di produrre. Le piccole infatti lavorano in distretti o in catene di subfornitura, dunque in filiera che consentono loro di fare economie di specializzazione e di scala (nel ri-uso della conoscenza) commisurate all’ampiezza della filiera e non della singola impresa.
Le grandi hanno imparato la lezione da tempo e si sono sviluppate fino ad essere aziende capo filiera, che organizzano una vasta quota di produzione esterna, affidata alle aziende minori. Si pensi che le 4.000 medie aziende, che sono l’asse portante del capitalismo industriale italiano, acquistano fuori - da altri produttori - più dell’80% di quanto fatturano. Ossia, per ogni 20 dipendenti che lavorano nei loro spazi proprietari, direttamente controllati dal management, ce ne sono altri 80 distribuiti nella filiera esterna, in aziende - in genere piccole - che forniscono al committente lavorazioni conto terzi, componenti, materiali, servizi, conoscenze. Queste filiere di outsourcing - rispetto a quanto auto-produce la singola impresa al suo interno - sono qualche volta affidate al mercato, ossia ad un rapporto in cui ognuno fa per sé e Dio per tutti.
Ma il mercato, in cui nessuno si lega con altri perché sta attento a tenere sempre le mani libere, espone l’azienda che acquista da terzi ad un rischio elevato di dipendenza da decisioni altrui, che non controlla e non può influenzare. In tutti i casi in cui la filiera crea una condizione di interdipendenza abbastanza rischiosa, le imprese hanno convenienza a rendere stabili i loro rapporti, passando dal mercato a qualche forma di rete: si selezionano bene i fornitori con cui avere un rapporto continuativo, dando vita ad una collaborazione che va oltre il puro rapporto di scambio, in quando implica elementi di reciproca affidabilità e responsabilizzazione tra le parti. Le reti informali sono nate così, da questa prassi di divisione del lavoro tra imprese che sono troppo piccole per fare tutto e che cercano del rapporto con altre la possibilità di specializzare le proprie competenze, di condividere una base estesa di conoscenza e di collaborare nell’innovazione, quando questa implica risorse e saperi che non sono già disponibili, di allargare il bacino degli usi possibili. Per diverso tempo queste reti sono rimaste informali e ancorate alla prossimità, come accade nei distretti industriali e in molte delle catene locali di subfornitura (l’indotto delle grandi aziende).
Da qualche tempo, però, queste due condizioni sono cambiate. Prima di tutto, le reti che oggi devono fronteggiare la concorrenza nel capitalismo globale della conoscenza devono diventare necessariamente reti lunghe. Reti che attraversano i territori per andare a cercare il fornitore più conveniente nel mondo - magari in un paese low cost - e per cercare clienti potenziali collocati in paesi lontani, quelli dove la domanda cresce di più. Dunque le reti locali di prossimità non bastano più, e in ogni distretto stanno crescendo le reti lunghe che intrecciano gli specialisti locali con quelli globali.
D’altra parte, queste reti costano molto (in marchi, brevetti, comunicazione, servizi al cliente, canali esclusivi per la commercializzazione e l’approvvigionamento) e non possono perciò nascere spontaneamente da tante micro-decisioni indipendenti, come in passato, quando conoscenze e relazioni erano ottenute gratuitamente dall’esperienza fatta nel territorio o via imitazione. Per costruire le reti di tipo nuovo, ricche di conoscenza originale e aperte a bacini ampi di acquisto e di vendita, bisogna investire e assumersi rischi non indifferenti. Le imprese che non possono farlo da sole, devono farlo insieme. Ma se ciascuna di esse deve investire e rischiare, bisogna che gli impegni reciproci e gli interessi comuni assumano una forma impegnativa, giuridicamente riconosciuta. Il contratto di rete (di recente istituzione) o altre forme di regolazione giuridica del rapporto (consorzi, joint ventures, ATI, contratti con impegni espliciti di collaborazione), servono per avere una struttura di garanzia reciproca e di governance dei rapporti, in modo da avere la possibilità di gestire i conflitti che maturano strada facendo.
La piccola impresa e i distretti stanno dunque cambiando, grazie alle reti. Difendere il vecchio contro il nuovo non è possibile: dobbiamo infatti sganciarci prima possibile dalla concorrenza di costo con i paesi emergenti e fare prodotti e servizi più ricchi, per segmenti di mercato diversi. Ma non riusciremo a cavare il ragno dal buco se le imprese non andranno oltre le competenze e le capacità ereditate dal passato. Il loro futuro può essere di qualità solo se imparano ad usare massicciamente le reti, associando altre imprese ai loro progetti di innovazione.
É difficile ma necessario: prima si comincia e meglio è.

Download PDF
Costozero: scarica la rivista in formato .pdf
Aprile - 2.070 Mb
 

Cheap oakleys sunglassesReplica Watcheswholesale soccer jerseyswholesale jerseysnike free 3.0nike free runautocadtrx suspension trainingbuy backlinks
Direzione e Redazione: Assindustria Salerno Service s.r.l.
Via Madonna di Fatima 194 - 84129 Salerno - Tel. (++39) 089.335408 - Fax (++39) 089.5223007
Partita Iva 03971170653 - redazione@costozero.it