di Antonello Tolve
Critico d’arte
L'elogio della pittura.
Un dialogo con Alessandro Sarra
Alessandro Sarra
Formulando un personalissimo abbecedario linguistico che recupera in profondità il linguaggio della pittura, Alessandro Sarra (Roma, 1966) mette in crisi quello che sfugge alla ragione per sottolineare un panorama estetico legato a quell'insieme di impulsi, dati e istinti che caratterizzano le smagliature del sistema contemporaneo. Il suo è un miocinetismo che fa i conti con la disritmia e la confusione temporale per bypassare ogni forma di automatismo psichico puro e virare, con intelligenza, tra le linee più feconde di un Bildhafte Denken (pensiero per immagini) veloce.
Progetto Juliette (2000-2001), Diapason (2002), Mario's dance floor (2004), The Big Life (2006), il favoloso Ritrattodifamiglia (I don’t want to sleep alone) del 2007 o il successivo Ritrattotutto. Per non dimenticare, poi, Sarravisor. Set da passeggio per collezionisti (2008) e Seven Days (2009). Sono alcuni dei progetti realizzati nel corso dell'ultimo decennio in cui è possibile notare un atteggiamento antropologico - il fatto di vivere per un anno con una gallina (Juliette) nel tuo studio o quello di sperimentare dell'oppio e realizzare delle opere in seven days, richiama alla memoria alcune imprese beuysiane -, ma anche un forte tracciato analitico in cui sposti i procedimenti da un piano immediatamente espressivo o rappresentativo, per dirla con Filiberto Menna, a uno riflessivo. Ti andrebbe di spiegare, in linea di massima, questa tua vena antropologico-analitica?
Ho un'inclinazione particolare per l'analisi temporale. In Ritrattodifamiglia, ad esempio, ho lavorato con i tracciati cardiaci di una famiglia intera. Il battito cardiaco mi ha permesso di riflettere da una parte sulla storia del ritratto e sui suoi ruoli nel tempo, dall'altra di ritrovare un incontro tra pittura e scrittura in senso ritmico.
Il tuo vocabolario estetico coniuga materiali e tecniche di matrice innovativa e tradizionale. Il preambolo tecnico-materico è premessa indispensabile dell'opera o escamotage produttivo?
Ho sempre avuto una forte attenzione per i materiali, ma sempre funzionale al lavoro. In una serie di lavori che sto elaborando dal 2008 (Contenitori per Ombre), il tempo è un materiale privilegiato. In questi lavori metto ad ossidare delle foglie d'argento en plain air per ribaltare l’idea stessa di tecnica e materiale. Praticamente sottopongo la pratica ad un vincolo temporale mediamente variabile ma costante.
L'idioma antico della pittura è punto fermo e isola felice in tutto il tuo percorso artistico. Da quale urgenza nasce questo tuo atteggiamento di recuperare la pittura e di renderla Zundkerze di tutta la tua produzione?
Penso che la pittura incarni perfettamente una delle funzioni primarie dell’arte, quella di non dare delle risposte ma di porre delle domande. La pittura a volte riesce a scatenare attraverso qualcosa di intimamente personale qualcosa di intimamente collettivo.
Con Sarravisor crei un'opera portatile che, se da una parte richiama alla memoria il museo portatile di Duchamp, dall'altra mira a scansire il mondo del collezionismo contemporaneo. Da quale riflessione prende le mosse questa analisi?
Assistiamo ad un momento abbastanza piatto, dove la latitanza di un pensiero critico forte è molto sentita. Ho visto alcune mostre negli ultimi tempi dove si potevano tranquillamente invertire le didascalie, senza che nessuno se ne accorgesse. Mi sembra che ci sia, oggi, un affanno a confezionare tutti la stessa mostra. Così, con Sarravisor, ho impacchettato una collezione e ho avanzato la possibilità di una collezione mobile per un collezionista mainstream che vola continuamente da un continente all’altro.
Ritrattodifamiglia (I don’t want to sleep alone), wall painting 2007, cm. 620 x 270, pigmenti e tempere su muro, casa Panni Roma, courtesy dell'artista.
Untitled #8, 2009, olio su tela, cm. 100 x 80, courtesy dell’artista
|