Atletica italiana:
quale futuro?
A Berlino il medagliere azzurro è rimasto vuoto. Mai così male nella storia dei mondiali
di Marcella Piegari, Moreplus srl - info@moreplus.it
Si dice che l’Italia sia un paese di santi, poeti e navigatori. Probabilmente, vista l’enorme produzione letteraria del nostro paese è vero, come è vero che la scoperta dell’America viene attribuita al navigatore genovese Colombo. I santi poi abbondano. Con queste premesse sappiamo in che modo il Bel Paese appare agli occhi del resto del mondo. Quel che è certo è che i recenti mondiali di atletica di Berlino non ci faranno certo ricordare come un popolo di atleti.
Il medagliere vuoto di quest’edizione non ha precedenti. Non era mai capitato fino ad oggi che gli azzurri facessero ritorno a mani vuote.
Le premesse in realtà non permettevano di sognare più di tanto. In particolare l’abbandono del saltatore Andrew Howe, che ha rinunciato poco prima che la spedizione italiana partisse alla volta di Berlino per problemi al tendine, aveva già colpito duramente le speranze di successi azzurri.
Lo stesso Gibilisco, già campione del mondo nell’edizione parigina del 2003, e colpito dal sospetto del doping nel 2007- poi assolto completamente l’anno successivo - non è riuscito ad andare oltre un settimo posto nella finale di salto con l’asta (vinta dall’australiano Hooker). Le speranze dello sport campano, ed in particolare della provincia di Salerno, si sono fermate al quarto posto di Antonietta Di Martino. La campionessa di Cava de’ Tirreni ha mancato di poco l’appuntamento con la gloria piazzandosi appena fuori dal podio nella finale di salto in alto. Chi invece ha deluso più di ogni altro, nonostante non gli si possa imputare alcuna mancanza, è stato Alex Schwazer, l’altoatesino campione olimpico in carica nella 50 km di marcia.
L’azzurro, famoso anche per la sua relazione con un’altra campionessa, la pattinatrice Carolina Kostner, è stato costretto ad abbandonare la gara dopo circa un’ora e mezzo a causa di forti dolori di stomaco. Il rammarico aumenta se si pensa che era lui il favorito per la vittoria finale, in virtù del precedente successo alle Olimpiadi di Pechino, e di sicuro l’atleta italiano sul quale si nutrivano maggiori speranze di soddisfazioni.
La delusione tra gli addetti ai lavori è stata grande, ma va comunque ricordato che in media, considerando tutte e dodici le edizioni cui l’Italia ha partecipato, le medaglie conquistate in ciascun mondiale sono state circa tre. Tanto per dare un’idea della pochezza di tale risultato, basti pensare che il Kenya, non certo il primo paese al mondo per infrastrutture sportive, nella corrente edizione ha collezionato ben undici piazzamenti tra oro, argento e bronzo.
Per quanto cocente sia la delusione per questo insuccesso, il problema più grande sta nel futuro dell’atletica italiana. La mancanza di vittorie di spessore riduce il numero di appassionati ma cosa ancor più grande non spinge i giovani ad avvicinarsi a questi sport. Il calcio si sa, la fa da padrone, ma oltre il calcio c’è il vuoto. Se la bravissima Federica Pellegrini riesce con le sue imprese a rendere il nuoto uno sport appetibile alle nuove generazioni, non esiste un altro protagonista in grado di far crescere l’attenzione intorno all’atletica. Sono lontani i tempi in cui Fiona May faceva impazzire gli sportivi italiani con i suoi salti in lungo. La campionessa inglese, naturalizzata in seguito al matrimonio con un italiano, è ancor oggi la sportiva che detiene il maggior numero di podi in gare mondiali con un rispettabile palmares di due ori, un argento e un bronzo.
Forse chiedere di avere in squadra un certo Bolt, capace di far impallidire perfino Flash per quanto è veloce, sarebbe eccessivo. Gareggiare senza poter sperare di vincere neanche una medaglia lo è allo stesso modo.
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