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  Dicembre 2012

Articoli n° 08
OTTOBRE 2009
 


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Dopo la crisi c’È la ricapitalizzazione

Occorre aggiornare il rapporto tra legge, capitale e imprenditori, proponendo innovativi modelli
di impiego e gestione delle masse monetarie nell’impresa

All’indomani della crisi l’impoverimento dell’impresa potrebbe risultare più elevato
di quanto la flessione subita dal Pil possa far ritenere a causa della diminuzione dei patrimoni netti, delle perdite dei posti di lavoro e del forte calo della propensione al rischio

Sarebbe necessario ampliare la gamma di investimento da proporre al mercato, attraverso, ad esempio, l’eliminazione dei vincoli previsti per le emissioni di titoli di debito e delle azioni di risparmio




Marco Fiorentino
Dottore Commercialista
marcofiorentino@studiofiorentino.com


Le principali Istituzioni finanziarie, i Governi e connessi esperti stanno dichiarando, con più o meno prudenza, che la più grande crisi economico-finanziaria del dopoguerra ha raggiunto il suo livello massimo prima dell’estate e che, da oggi in sostanza, si può cominciare a guardare al futuro del sistema con qualche ottimismo in più.
Alcuni segnali, come i corsi di Borsa dei titoli, la ripresa della domanda immobiliare USA e le quotazioni delle materie prime, vanno effettivamente in questa direzione, ma forse appare ancora un po’ prematuro tirare il fatidico sospiro di sollievo. Non possiamo ancora dire che si sia sedimentato, storicizzato un nuovo trend di crescita.
Mancano all’appello gli esiti finali, concreti e definitivi sui risultati economici delle PMI, che sono il motore dell’Italia, e quelli sull’occupazione. Insomma, la guerra pare finita, ma non è per niente finita la conta delle perdite.
E fondato è il timore di molti che, da tale conta, possa emergere un impoverimento dell’impresa più elevato di quanto la flessione subita dal PIL possa far ritenere. E ciò per effetto della sommatoria di tre elementi negativi: la diminuzione dei patrimoni netti (a causa delle perdite di esercizio), l’impoverimento del capitale umano (a causa delle perdite dei posti di lavoro) e il forte calo della propensione al rischio.
Con l’ulteriore corollario rappresentato dalla perdita di rating verso il sistema creditizio, meno disposto, a crisi superata, ad assistere imprese con problemi.
Ad oggi non è dato sapere quanto possa essere fosco tale scenario, ma non credo sia prudente attendere la chiusura dei conti 2009 per misurarlo, ed è condivisibile la riflessione di coloro che ritengono al contrario necessario insistere, con maggiore aggressività, verso un piano complessivo di interventi coordinati, ulteriori rispetto a quelli sin qui adottati.
Centrale è sempre l’incremento del capitale a disposizione delle imprese ed in particolar modo delle PMI, inteso, sia sotto il profilo della massa monetaria utilizzabile per il rilancio delle attività (già oggi a disposizione sul mercato ma investita su prodotti a contenuto essenzialmente finanziario), sia sotto il profilo della sua articolazione qualitativa.
Molti provvedimenti nel corso dell’ultimo anno solare, sicuramente sono andati verso questa direzione, tuttavia essi, anche per le ben note problematiche del debito pubblico altissimo, nel concreto, o hanno avuto natura interna, difensiva (la rivalutazione degli immobili, le deroghe al fair value, il patto per il riscadenzamento dei debiti e così via), ovvero determinano miglioramenti marginali indiretti (i risparmi di imposta dalla Tremonti Ter, dall’agevolazione del 3% sugli apporti di capitale e così via), che, per essere realizzati, presuppongono a loro volta trend di crescita e questo non è scontato, almeno nel breve.
In buona sostanza, interventi certamente opportuni, ma che forse appaiono concepiti nell’ottica del breve termine, un po’ timidi per accattivare le masse di denaro dei mercati finanziari, e che probabilmente non mirano, se non in modo mediato, al recupero del patrimonio organizzativo perduto con le riduzioni della forza lavoro.
Per attrarre masse monetarie nelle PMI ed in genere per accrescerne il loro patrimonio, in modo effettivo e duraturo nel tempo, ritengo che servano interventi pensati per il lungo periodo, mirati essenzialmente a ridurre gli ostacoli (formali, sostanziali, nonché più propriamente psicologici dell’imprenditore), che oggi si frappongono agli investitori, ed al contempo ad introdurre strumenti di stimolo.
Nel concreto, sempre nel rispetto dell’integrità del capitale e della tutela dei terzi, sarebbe necessario ampliare la gamma di investimento da proporre al mercato, attraverso, ad esempio, l’eliminazione dei vincoli previsti per le emissioni di titoli di debito e delle azioni di risparmio, nonché delle complessità regolamentari ed organizzative all’accesso ai Mercati Ufficiali, a vantaggio di un approccio più snello e possibilmente a gradi successivi.
Come pure, sentitissima appare l’esigenza di ridurre drasticamente il costing complessivo di un processo di quotazione (su qualunque mercato), nonché per la generale compliance di una small cap alle normative CONSOB, attraverso opportuni accordi con gli organismi rappresentativi del mondo professionale e della revisione, così da far cadere le condivisibili perplessità delle imprese verso la Borsa, preoccupate di non bruciare ricchezza in meri adempimenti. Né va dimenticata l’urgenza di riformare il sistema del controllo interno, suddiviso oggi, in modo confuso e costoso, tra una moltitudine di organismi, che determinano costi insostenibili ed una paradossale predominanza delle attività di controllo, rispetto a quelle da controllare.
Opportuno sarebbe pure prevedere una liquidazione più veloce dei frutti dell’investimento, attraverso, ad esempio, la distribuibilità dei dividendi su base infrannuale anche per le società non quotate e per le quotate, invece, prevederne la distribuzione su base trimestrale.
Per altro verso, sarebbe molto apprezzato, soprattutto dagli investitori esteri, dare vita a provvedimenti tendenti a migliorare la conoscibilità dell’impresa e dei suoi risultati, attraverso, per ipotesi, l’istituzione a cura del Registro delle Imprese di un organismo indipendente di informazione e rating, che fornisca al mercato, su base almeno semestrale, un outlook sull’andamento di ogni PMI che ne faccia richiesta. è noto infatti che oggi tutto il sistema di rating, essenziale per valutare la convenienza ad un investimento di capitale, sia per i costi che per lo standing richiesto, coinvolge solo un numero limitatissimo di imprese.
Né va trascurata la necessità di eliminare ogni penalizzazione fiscale alle aggregazioni tra imprese indipendenti, attraverso un totale riconoscimento fiscale dei plusvalori emergenti dai rapporti di concambio.
Da ultimo, altro tema che frena la capitalizzazione è la naturale indisponibilità dell’imprenditore a rendere contendibile la propria impresa. Punto di vista legittimo, ma che a lungo andare finisce per penalizzare la crescita. Per cercare di mediare entrambe le esigenze sarebbe utile, anche in via temporanea, quale step intermedio di un processo evolutivo delle dimensioni aziendali: (1) introdurre sistemi di governance che prevedano l’interferenza dei soci di capitale solo su specifiche operazioni straordinarie ed a prescindere dalla porzione di capitale posseduta; (2) ovvero, aumentare la quota di capitale sociale (oggi pari al 50% del capitale sociale complessivo) destinabile ad emissioni di azioni “privilegiate” sugli utili, ma con diritti affievoliti sulla gestione; (3) ovvero ancora, consentire la partecipazione al capitale delle PMI meritevoli, di specifici veicoli societari aperti ad investitori, di cui sia assicurata una contrattazione in mercati dedicati.
Insomma, appare evidente come tutto quanto ipotizzato, al di là della relativa cifra tecnica, rappresenti in realtà una esortazione a non pensare di risolvere il tema del rafforzamento patrimoniale delle PMI con provvedimenti dal profilo breve, o eccezionali (come, magari, il reinvestimento delle somme rimpatriate dallo scudo fiscale) sicuramente utili ma non risolutivi, non di ampia gittata.
Qui occorre, in conclusione, aggiornare il rapporto tra legge, capitale ed imprenditori, liberarlo dai soliti schemi degli interessi contrapposti, e proporre più aggiornati ed innovativi modelli di impiego e gestione delle masse monetarie nell’impresa. Se il sistema è semplice i soldi arrivano.

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