Infrastrutture,
passaggio obbligato
per lo sviluppo del Sud
Confindustria individua 27 opere da realizzare subito.
Tra gli interventi interregionali, risulta strategica la nuova linea Alta Capacità Napoli-Bari
per i collegamenti dell’intera area a sud della penisola
di Raffaella Venerando
La situazione di crisi che in termini di sistema vive attualmente il nostro Paese, rende molto più caldi i temi legati ai grandi nodi strutturali irrisolti. Uno di questi, forse quello che emerge sugli altri, è quello legato alle infrastrutture materiali, alla loro realizzazione e ad alcuni storici ritardi.
È noto infatti che ultimare grandi infrastrutture in Italia sia complicato. I tempi di realizzazione infatti sono più lunghi d'Europa, con costi oltretutto più alti, anche in termini di perdita di competitività complessiva.
La situazione poi si fa maggiormente critica se si guarda alle opere incomplete - o peggio mai realizzate - del Mezzogiorno, già provato da enormi problemi che la recessione sembra stia ulteriormente aggravando. Sul piano infrastrutturale, infatti, il Paese è ancora spaccato in due: è una forbice larga trenta punti quella che divide l'Italia a metà.
Secondo la Confindustria - come si legge nel Rapporto “I Progetti Infrastrutturali prioritari per il Mezzogiorno” curato dall’Area Mezzogiorno di Confindustria insieme con i Direttori delle Confindustrie regionali meridionali - è proprio il divario nella dotazione infrastrutturale materiale la priorità da risolvere per rimettere il Sud al passo con lo sviluppo, intervenendo sul completamento di poche e condivise opere da realizzare subito, ora che la ripresa pare si stia affacciando sullo scenario economico globale.
Due sono i criteri guida che hanno permesso di scegliere alcune determinate opere piuttosto che altre: la capacità di contribuire al processo di sviluppo di imprese e territori e la rapidità di “completamento” (opere da portare a termine o la cui realizzazione è più rapida). Secondo questi parametri di strategicità e rapidità di attuazione, Confindustria ha selezionato fino a un massimo di 3 opere per ciascuna delle 8 regioni meridionali e 6 opere interregionali condivise, queste ultime privilegiate perché capaci di agevolare i collegamenti commerciali con i mercati del nord (dorsale adriatica e tirrenica). Nell’elenco compaiono progetti che interessano strade, autostrade, hub portuali, interporti e ferrovie: si va dalla Salerno-Reggio Calabria - la famigerata Autostrada in-finita - alle linee ferroviarie Bologna-Bari e Battipaglia-Reggio Calabria, fino alla statale Ionica 106, alla statale Sassari-Olbia e alla ferrovia ad Alta capacità Napoli-Bari. E poi ancora l'hub di Gioia Tauro, il porto di Bari e la Termoli-San Vittore.
Nel novero delle opere indicate da Confindustria fa rumore una grande assenza: quella del Ponte sullo Stretto di Messina, escluso perché non rispondente in pieno ai criteri di selezione fondati su strategicità, fattibilità e copertura finanziaria.
Su questi progetti classificati come urgenti la Confindustria chiede di concentrare tutte le risorse disponibili, di fonte comunitaria e nazionale, impiegandole al meglio stimando che si possa alzare così il Prodotto Interno Lordo meridionale del 3% annuo a valere sui prossimi cinque anni.
Il totale delle opere segnalate nello studio del Comitato Mezzogiorno di Confindustria ne comprende 27, di cui 21 progetti per le 8 regioni meridionali e 6 di valenza interregionale. Per quanto attiene alla spesa c’è da dire che l'investimento previsto per infrastrutture a carattere regionale è di 9,979 miliardi di euro (la copertura finanziaria è pari al 22,7%, 2,26 miliardi). Molto superiore è il valore delle infrastrutture interregionali per un investimento pari a 40 miliardi di euro e una copertura finanziaria di poco superiore al 22% (11,22 miliardi).
Va segnalato che la progettazione esecutiva e definitiva ricorre soltanto nel 38% delle opere, compresa la Salerno-Reggio Calabria.
Concentrare le risorse in pochi interventi infrastrutturali strategici, al Sud ha una valenza ulteriore: significherebbe anche evitare di ricadere negli errori del passato, nelle fallimentari modalità di spesa della precedente programmazione comunitaria che ha lasciato dietro sé buchi e frammentazioni.
Su questa stessa priorità - si legge nel Rapporto del Comitato Mezzogiorno - «Confindustria Campania ha redatto uno studio dal titolo “Progetto Mezzogiorno. Infrastrutture strategiche della rete dei trasporti: interventi di prima fase” nel giugno 2006». Ed è da lì che si è partiti nell’elaborazione delle priorità di oggi. In continuità quindi con quanto fatto in passato a livello regionale, l’allegato G del DPEF 2008-2012 funziona da elenco base delle opere prese in considerazione dal documento “La selezione dei progetti infrastrutturali prioritari per il Mezzogiorno da finanziare nell’ambito della programmazione unitaria 2007-2013”. Rispetto alle “emergenze” che in esso sono contemplate, una preferenza smaccata spetta agli interventi relativi alla rete stradale e autostradale insieme ai grandi sistemi urbani, a scapito di tutte quelle opere destinate invece alla rete ferroviaria del Paese. Inoltre, si registra un aumento di nuovi nodi - costituiti da aeroporti, porti e interporti - con la conseguenza necessaria di una razionalizzazione tra le infrastrutture già esistenti e quelle ipotizzate, le quali potrebbero in molti casi anche sostituire quelle già esistenti ma non funzionanti in modo soddisfacente.
Per quanto concerne invece le priorità, individuate in un massimo di 3 opere, tra gli interventi interregionali, assume importanza strategica la nuova linea Alta Capacità Napoli-Bari, nesso cruciale per i collegamenti di tutta l’area a sud della penisola e non soltanto per la nostra regione.
Passando agli interventi di esclusivo interesse regionale, va sottolineato come dal Rapporto emerga l’esigenza di puntare al completamento dei grandi sistemi urbani con gli interventi già previsti negli atti di programmazione regionale. Nessun interevento ex-novo quindi, quanto piuttosto l’ultimazione di quelli già avviati in passato.
Per la Campania - come per altre regioni del Sud Italia - lo strumento finanziario più efficace viene individuato nel project financing, nella convinzione che l’attrazione e il coinvolgimento di risorse private sia determinante nella realizzazione delle opere prioritarie poiché capace di garantire certezza del costo nel tempo, unita ad un’ottimizzazione dei tempi di realizzazione e alla convergenza delle fasi di progettazione, esecuzione e gestione nell’unico interesse di perseguire la miglior qualità.
Quello messo a punto dalla Confindustria sembra un progetto dalle indicazioni forti, credibili, condivisibili, un piano che propone soluzioni operative tali da mettere d’accordo tutti e non essere suscettibili di riproposizioni.
Anche se l’autunno è carico di incognite e la selezione “naturale” indotta dalla crisi probabilmente continuerà a lasciare caduti sul campo, puntare sulle infrastrutture può significare davvero compiere quel salto in avanti indispensabile al Sud, ma a tutto il Paese, per ripartire.
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intervista
La ripresa passa dal rilancio delle infrastrutture
Cesare TrevisaniVice presidente per le Infrastrutture e la mobilità di Confindustria
Da più parti si invoca un grande piano di rilancio delle infrastrutture per reagire al momento di forte crisi che stiamo vivendo. Confindustria ha presentato di recente un elenco di progetti per il Sud. Di che si tratta?
Il Comitato Mezzogiorno di Confindustria ha elaborato un Rapporto ad hoc, nel quale sono stati individuati pochi progetti prioritari, condivisi e suscettibili di avere ricadute positive sulla crescita del Sud. In questo contesto è stato riconosciuto un peso maggiore ai progetti interregionali che possono agevolare i collegamenti con i mercati del Nord (dorsale adriatica e tirrenica). È noto, infatti, che il divario nella dotazione infastrutturale del Mezzogiorno è inferiore di quasi 30 punti percentuali rispetto al Centro Nord. Questo è un deficit strutturale che ci portiamo dietro da decenni e che ancora non siamo stati in grado di risolvere, penalizzando così la competitività e la crescita di un’area fondamentale per lo sviluppo dell’intero Paese. Per questo è stata avviata una ricognizione mettendo al centro la “strategicità” delle opere, cioè la loro capacità di promuovere e sostenere i processi di sviluppo delle imprese e dei territori, il loro grado di avanzamento e i tempi di realizzazione. Il nostro ragionamento muove dalla convinzione, inoltre, che la crisi economica rappresenti un’occasione da non perdere, per il Mezzogiorno e per il Paese. Abbiamo espresso il nostro apprezzamento alle recenti norme di accelerazione degli investimenti, ma siamo convinti si possa fare di più. Occorre infatti guardare al “dopo recessione” ed intervenire anche sul piano strutturale, cioè su quello delle procedure decisionali e attuative, sulle opportunità e modalità di coinvolgimento della finanza privata e sulla qualificazione del mercato e delle imprese. Su questo fronte, sarà necessario l’impegno di tutti - Governo, Regioni, Enti locali e imprese - per far sì che davvero il rilancio del Paese possa partire dal rilancio delle infrastrutture. A questo specifico fine, il lavoro del Comitato Mezzogiorno si ricollega direttamente all’azione che abbiamo svolto col sistema associativo per individuare le criticità e le proposte di miglioramento della filiera realizzativa delle infrastrutture, una vera e propria “riforma infrastrutturale”, che stiamo lanciando da fine settembre.
Può dirci nello specifico quali sono i progetti selezionati?
Sono state selezionate opere per ciascuna delle 8 regioni meridionali, con un limite massimo di 3 opere per regione e di 6 opere interregionali condivise, ovvero incluse nella programmazione di tutte le regioni coinvolte, ciascuna per i tratti di propria competenza. Parliamo, tanto per intenderci, della Sa-Rc, della SS 106, dell’alta capacità Napoli-Bari e della SS Sassari Olbia, per un investimento totale pari a 40 miliardi di euro. L’elemento interessante da sottolineare è che queste opere costituiscono un vero e proprio reticolo capace di connettere il Mezzogiorno in un sistema infrastrutturale integrato.
Destinare risorse a pochi e specifici progetti crede che possa anche evitare sprechi o mancati utilizzi dei fondi nazionali e comunitari?
Certamente, riteniamo opportuno concentrare le risorse disponibili - comunitarie e nazionali - sui progetti infrastrutturali giudicati prioritari per il Mezzogiorno dal sistema associativo meridionale, ma anche operare una profonda riprogrammazione dei fondi strutturali 2007-2013. Dobbiamo acquisire la consapevolezza che al Sud, come nel resto del Paese, le risorse destinate agli investimenti infrastrutturali devono prescindere da logiche meramente localistiche e redistributive tra territori - cosa che finora ha minato nel profondo l’efficacia degli interventi - e che occorre effettuare un serrato processo di riallocazione che assicuri un impiego ottimale delle risorse, in particolare nel Mezzogiorno. Questa è forse la sfida più rilevante davanti a cui la classe dirigente meridionale, intesa nel suo senso più ampio, si trova oggi di fronte: riuscire a superare i rigidi steccati dei piccoli campanili per guardare in chiave regionale o interregionale agli obiettivi della ripresa economica e della competitività. Solo puntando sulle opere già avviate e sui cantieri già aperti, garantendo al tempo stesso il finanziamento di quelli attivabili nel breve periodo, sarà possibile limitare gli effetti perversi della recessione. Ma sarà così possibile anche prepararsi al day after, quando il superamento della crisi riattiverà la domanda mondiale e il nostro sistema produttivo dovrà farsi trovare pronto a reggere l’urto di una nuova competizione globale.
È davvero possibile un ruolo da protagonista per l’Italia come ponte per lo sviluppo dei paesi del Mediterraneo?
Sì, è possibile. La sfida per il nostro Paese è esattamente questa. Puntare ad avere un ruolo chiave nelle rete di trasporto transeuropea e, in particolare, mediterranea. Bisogna ricordare che i porti di quest’area drenano oltre un terzo del commercio mondiale, parliamo quindi di un’area che non va più vista solo come il cosiddetto “mare nostrum”: il Mediterraneo è oggi molto di più del naturale ponte geografico tra Vecchio Continente, Africa e Medio Oriente. La parte non europea di quest’area produce una ricchezza pari a quella del Brasile, superiore a quella dell’India e, pur in un periodo di congiuntura economica negativa, ha continuato ad avere tassi di crescita positivi. Un’area che attira più investimenti diretti esteri dell’intero Mercosur e alla quale i nostri stessi imprenditori stanno guardando con rinnovato interesse.
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