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Il livello istituzionale regionale, secondo Antonio Ferraioli, è quello che riveste oggi fondamentale importanza per le imprese e l’economia locale
di Raffaella Venerando
Antonio Ferraioli, AD La Doria spa
Per lei è arrivato di recente un nuovo incarico in Giunta regionale. Che valore ha questo ulteriore riconoscimento in ambito associativo?
La mia nomina alla Vicepresidenza di Confindustria Campania rappresenta un riconoscimento al ruolo e all’importanza dell’imprenditoria salernitana a livello regionale. Ritengo che l’azione di Confindustria Campania vada significativamente rilanciata. Il livello istituzionale regionale è quello che riveste oggi - e ancor maggiormente lo sarà in futuro - fondamentale importanza per le nostre imprese e per l’economia locale.
Occorre un’azione incalzante che consenta di sentire più vicine le Istituzioni e far sì che le stesse adempiano alla loro funzione che è quella di favorire lo sviluppo economico del territorio regionale, rimuovendo gli ostacoli burocratici, contenendo il gap infrastrutturale che ci caratterizza nei confronti dei territori più avanzati, varando politiche di sostegno alle imprese. Molto di più sarebbe possibile fare con un uso più mirato e veloce dei fondi europei. Va anche affrontato con maggiore decisione l’annoso problema della Sanità pubblica, la cui inefficace gestione grava in termini di maggiori oneri su tutti i contribuenti, rendendo anche estremamente difficoltosa l’operatività dell’imprenditoria privata in questo settore.
In momenti in cui si fa un gran parlare di sicurezza alimentare, un’azienda come la sua come riesce a mantenere alta la fiducia della clientela? Come giudica quindi le norme su sicurezza e tracciabilità?
L’Italia è in questo campo un paese assolutamente all’avanguardia. Esistono norme molto stringenti relative a tali materie che, ritengo, assolutamente prioritarie. Nella recente relazione 2008 del Piano Nazionale Integrato, stilato dal Ministero della Sanità, emerge che sono stati realizzati circa 1.5 milioni di ispezioni da parte di ASL, Nas, Agenzia Dogane, Ispettorato Centrale per il controllo della qualità dei prodotti agroalimentari per difendere la sicurezza alimentare. La rete di sorveglianza e di controlli porta l’Italia al primo posto nell’invio di “alert” all’Unione Europea.
La nostra azienda, operante prevalentemente nel settore delle private labels, ha come interlocutori principali la Grande Distribuzione Organizzata italiana e, soprattutto, straniera che hanno capitolati e controlli molto rigidi. Pertanto, su questo tema siamo estremamente attenti ad adottare i più moderni sistemi volti a garantire la sicurezza alimentare dei consumatori.
La sua azienda è quotata nel segmento Star. Quali valutazioni l’hanno spinta a decidere per la quotazione? Ritiene che quotarsi in Borsa oggi possa essere una strada per uscire dalla crisi?
La nostra quotazione in Borsa risale al 1995. Le risorse reperite hanno consentito un’accentuata politica di investimenti e di acquisizioni a sostegno dell’orientamento strategico del gruppo, volto a crescere sia per linee interne che esterne.
Nel 1995 la Doria aveva un fatturato di 207 miliardi di lire ed un solo stabilimento, oggi registra un fatturato consolidato di circa 440 milioni di euro, ha 5 stabilimenti produttivi e 2 società controllate.
Credo che, al di là dell’attuale situazione di crisi economica, la quotazione in Borsa possa rappresentare un efficace sostegno finanziario dei piani di sviluppo aziendale e possa essere utile per migliorare la struttura organizzativa e di controllo gestionale. Ritengo, inoltre, che in un Paese come il nostro, dove la proprietà delle imprese fa molto spesso capo alle famiglie, la quotazione in Borsa possa essere utile per preservare nel lungo periodo la continuità aziendale. Credo che l’apporto ed il coinvolgimento della famiglia siano fondamentali per assicurare una strategia di lungo periodo, ma è altrettanto importante che l’Azienda, al di là delle vicende anche personali dell’imprenditore, possa avere un suo sviluppo e una sua continuità per ciò che essa rappresenta, non solo per i propri azionisti, ma per tutta l’economia del territorio e per i portatori d’interesse.
Investire in innovazione tecnologica è un importante fattore di competitività; la sua azienda come si comporta al riguardo?
L’innovazione, sia di processo che di prodotto, è fondamentale per garantire lo sviluppo tecnologico nel medio-lungo periodo. Nel caso della nostra azienda, l’innovazione di processo è continua. Per l’innovazione di prodotto, pur lavorando prevalentemente con private label, ci attiviamo sia per far fronte alle richieste dei nostri clienti, sia per essere propositivi con l’offerta di possibili alternative agli attuali articoli sia in termini di contenuto che di packaging. A tal proposito, abbiamo di recente effettuato un investimento per la produzione di derivati del pomodoro e legumi in contenitori di cartone poliaccoppiato. Tali articoli si distinguono tra l’altro per una maggiore facilità di apertura, di trasporto e di conservazione.
In tema di internazionalizzazione, invece, quali sono i mercati esteri di riferimento?
Il tema dell’internazionalizzazione è fondamentale per lo sviluppo dell’impresa italiana. Il nostro mercato interno è stabile da molti anni, è obbligatorio quindi espandersi sui mercati esteri e diffondere i nostri prodotti che rappresentano l’eccellenza in molti campi.
La nostra azienda ha da sempre avuto un forte orientamento all’internazionalizzazione. I nostri mercati di punta sono il Nord Europa, con in primis il Regno Unito, dove controlliamo una società di trading, il Giappone, l’Australia e la Nuova Zelanda. Credo che il tema dell’internazionalizzazione non sia scindibile da quello della crescita. Per competere, in mercati sempre più globalizzati, la dimensione è spesso un fattore discriminante. Credo che le imprese italiane debbano trovare forme di aggregazione che accrescano la loro competitività nel medio-lungo periodo.
Un’ultima domanda: ritiene soddisfacenti i rapporti con il sistema creditizio o pensa che le banche potrebbero fare maggiori sforzi per sostenere la crescita del tessuto imprenditoriale meridionale?
Il tema dei rapporti con il mondo bancario presenta, indubbiamente, elementi di criticità. La mancata presenza al Sud di banche locali, che per vocazione sono più vicine al territorio, costituisce di certo un handicap.
D’altro canto, le aggregazioni avvenute nel sistema bancario italiano erano obbligatorie, né vale la pena rimpiangere le vicende che portarono al declino del vecchio Banco di Napoli che, credo, rappresenti uno spaccato di storia molto istruttivo delle inefficienze della classe politica, ma anche imprenditoriale, meridionale. É auspicabile una maggiore attenzione verso il Sud da parte dei grandi gruppi bancari italiani. Quanto alla Banca del Mezzogiorno, credo che ci si potrà più compiutamente esprimere allorché ne saranno ufficialmente rese note: modalità operative, finalità, composizione dell’azionariato. É essenziale che riesca a garantire un miglioramento del flusso del credito soprattutto verso le piccole e medie imprese. É, comunque, assolutamente necessario che tale nascente istituto possa operare senza alcuna interferenza di tipo politico.
Da un punto di vista tecnico, credo sia necessaria una revisione dei criteri di Basilea 2 che consenta una valutazione del merito creditizio non basata esclusivamente sui ratios economico-patrimoniali.
Sul tema del credito, infine, penso che anche gli imprenditori debbano attrezzarsi in termini di maggiore trasparenza delle informazioni economiche, di maggiore attenzione alla pianificazione economica e finanziaria e nell’elaborazione di strategie e obiettivi di lungo periodo. |