Made in Italy, tell in Arab!
L’importanza della comunicazione mirata in un mercato così affascinante ma tanto diverso dal nostro
Gli Arabi sanno di essere
una parte del mondo
considerata secondaria
nelle strategie tradizionali
di internazionalizzazione
delle imprese europee.
Ciò li condiziona soprattutto quando giudicano le aziende italiane
Occorre avere la massima attenzione per la diversa
sensibilità che la cultura araba ha nei confronti di alcuni temi.
Una sensibilità maggiore,
figlia delle tradizioni religiose
e della diversa evoluzione sociale delle comunità locali
Franco Pomilio
Amministratore Delegato Pomilio Blumm
Lavorare sui mercati emergenti sudmediterranei e in quelli del Medio Oriente significa convincere consumatori che hanno codici di comportamento basati su abitudini e norme sociali spesso differenti da quelle europee. Per farlo occorrono quindi nuovi strumenti, che a loro volta richiedono nuove competenze e sensibilità. Internazionalizzare l’attività aziendale significa tener conto anche di questo. Per questo Assafrica & Mediterraneo ha dedicato a questi temi un’intera giornata di approfondimento l’8 ottobre 2009, nell’ambito degli InfoDays dell’Associazione, il ciclo di incontri periodici dedicati a costruire capacità e strumenti che rendano le imprese italiane performanti e competitive sui mercati dell’Africa mediterranea e sub sahariana e del Medio Oriente.
L’esperto del settore è stato Franco Pomilio, l’imprenditore che, all’interno dell’Associazione, conosce più da vicino, per la sua esperienza, le azioni di comunicazioni da portare avanti nei Paesi arabi.
Se la comunicazione, nella sua essenza, è arte dell’efficacia potremmo liquidare il tema in una battuta. Coglieremmo forse l’essenza dell’argomento, sintetizzandolo in modo coerente. Ma faremmo torto alla ricchezza di spunti che il tema della comunicazione offre a coloro che si avvicinano al mondo arabo.
Una ricchezza che affonda le sue radici non solo nella affascinante e poliedrica realtà locale, ma anche - e per certi versi soprattutto - nel modo con cui tradizionalmente le imprese italiane affrontano i mercati internazionali.
Perché parlare di comunicazione aziendale in fondo significa parlare delle imprese e del loro stesso modo di essere e di apparire. Affermazione semplice, persino banale in apparenza che rivela però tutta la sua (insospettabile) complessità proprio quando si affrontano un mercato ed una cultura straniere.
L’esperienza che stiamo maturando a Dubai, e quella vissuta in Arabia Saudita e in Marocco, ci hanno insegnato infatti che prima di impattare con le regole del Paese in cui intendono espandersi, le imprese italiane, quando agiscono in campo internazionale, sembrano pagare dazio piuttosto ad alcuni limiti propri. Di cultura ed atteggiamento, più che di capacità. Primo tra i quali quello di agire senza scegliere. Affrontando cioè un mercato straniero con la logica, spesso improvvisata, tipica dell’esportatore e non dell’azienda che intende internazionalizzarsi. La comunicazione, ovunque la si pratichi, è fatta prima di tutto di segnali. É il frutto, non necessariamente compiuto e coerente, di una serie di comportamenti concludenti che i destinatari raccolgono e rielaborano. Perché uno sforzo di comunicazione abbia successo nel mondo arabo è necessario che le aziende italiane “dimostrino” la loro volontà precisa di operare laggiù. Aprendo sedi locali con personale locale, adattando i loro prodotti alle caratteristiche locali, inserendosi nella comunità locale con azioni concrete e sistematiche.
Gli Arabi sanno di essere una parte del mondo considerata residuale o secondaria nelle strategie tradizionali di internazionalizzazione delle imprese europee. A torto o a ragione è ciò che li condiziona soprattutto quando giudicano le imprese italiane. Dimostrare che così non è attraverso comportamenti ed azioni concrete è il primo fattore di successo della comunicazione d’impresa in un luogo, come gli Emirati Arabi, che oggi è oggettivamente uno dei sistemi economici più dinamici e attraenti del mondo intero. E con una certa insofferenza accettano ancora di sentirsi considerare una “seconda scelta”, peggio un ripiego.
Al contrario. Oggi l’economia del mondo, vista dai grattacieli e dagli immensi mall di Dubai, appare davvero rovesciata. Con gli Arabi a fare da driver dello sviluppo. Non più, come in passato, dei semplici compratori danarosi e un po’ eccentrici, buoni per acquistare le Ferrari e la pelletteria di extra lusso. Ma investitori illuminati che attraggono le migliori intelligenze internazionali.
E Dubai assomiglia sempre più ad una “mela” araba, alla versione mediterranea di quel caleidoscopico laboratorio del fare e del pensare che è stata New York nel ventesimo secolo, cui le imprese italiane devono rivolgersi pensando di esportare innanzitutto idee, la propria inesauribile vena innovatrice e di originalità, comunicando soprattutto la nostra ineguagliabile creatività. Elemento di esclusività intellettiva ed emotiva, prima che produttiva, che affascina e seduce un popolo costretto dalla storia ad essere mentalmente pigro.
E questo ci conduce ad un altro pilastro della comunicazione mirata: la semplicità. Non esiste un solo mercato arabo e un’impresa che voglia davvero entrare in quel mondo deve agire in modo mirato, scegliendo in modo preciso dove e con quale offerta farlo. Semplificando al massimo la propria strategia e la comunicazione conseguente.
Tunisi è diversa da Jedda e se lo sviluppo economico di Dubai è fortemente orientato alla diversificazione ed al pleasure, a Rabat si pensa all’economia dei trasporti e alla posizione strategica dei porti commerciali marocchini. Alle imprese italiane che vogliono sviluppare il proprio business sull’altra sponda del Mediterraneo occorre uno sforzo di concentrazione e di mira. Comunicando, per la gioia di Rosser Reeves, una sola proposta commerciale, un’offerta che deve essere esclusiva e non proponibile da altri.
Ma ciò su cui occorre avere la massima attenzione è la diversa sensibilità che la cultura ed il mondo arabo in generale hanno nei confronti di alcuni temi che la comunicazione commerciale tratta frequentemente e disinvoltamente. Una sensibilità maggiore e più specifica, figlia certamente delle tradizioni religiose, peraltro molto più pervasive e tenaci che da noi, ma anche della diversa evoluzione sociale delle comunità locali.
É essenziale in tal senso che le imprese italiane capiscano quale diverso e più complesso ruolo abbiano ad esempio (ma non solo) nella società araba le donne, affatto secondario, come talvolta siamo superficialmente indotti a credere, e per nulla mercificato. Dimostrando, con la comunicazione, un rispetto estremo per la figura femminile e un trattamento della stessa totalmente privo di quelle tendenze ad oggettivizzarla cui noi sembriamo assuefatti. Analogamente può dirsi dei bambini e del rapporto tra genitori e figli che, in una società ancora profondamente patriarcale, si ispira a modelli educativi più rigidi e meno inclini a riconoscere quell’autonomia e quella disinvolta “conquista” del mondo che nella nostra comunicazione commerciale i bambini tendono sovente ad acquisire.
Essere globali pensando locale, cioè restare italiani pensando arabo. Questa in soldoni la filosofia che dovrebbe ispirare le nostre imprese che si rivolgono al mercato dell’altra sponda del Mediterraneo.
E che detta gli elementi basilari su cui costruire una comunicazione vincente.
Che valorizzi cioè quello che noi italiani, agli occhi degli Arabi, siamo e rappresentiamo da sempre: uno “status state”. Un luogo, l’unico luogo al mondo che ha saputo eleggere il well living a pietra angolare del proprio edificio sociale e ad elemento ispiratore della propria filosofia produttiva. E che, agli occhi degli Arabi, rappresenta l’elemento di attrazione maggiore del made in Italy.
Raccontandolo in modo semplice e diretto, esprimendo col tono, le immagini e con le parole, nei loro luoghi di aggregazione sociale e culturale, la giusta sensibilità ai loro valori e tradizioni. Comunicando in definitiva di credere in loro. Restando fedeli a noi stessi. |