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  Dicembre 2012

Articoli n° 09
NOVEMBRE 2009
 


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RedditivitÀ ed etica, due obiettivi sostenibili

Dopo la crisi, anche le banche dovrebbero tornare alla propria vocazione originaria.

Non solo la ricerca di utili attraverso speculazioni finanziarie “senza regole”, ma la raccolta
dei risparmi e il loro investimento “trasparente”

di Raffaella Venerando

Ormai è risaputo che la crisi economica sta provocando in diversi settori dell'economia nazionale ed internazionale numerose difficoltà con ricadute pesanti in molti settori.
Il Sud Italia, in particolare, sta risentendo degli effetti di due elementi di debolezza in modo particolare: una contrazione della spesa per consumi maggiore che nel resto del Paese, ed una dinamica occupazionale di segno negativo per il secondo anno di seguito.
Trend di bassa crescita, aumento di disoccupazione, cessazione di attività di impresa sono alcune delle voci più preoccupanti per i nostri territori.
Proprio nel tentativo di fare fronte a queste emergenze prima che provocassero danni irreparabili, negli ultimi mesi si sono succeduti piani di intervento pubblico a sostegno delle istituzioni finanziarie e dell’economia reale, con misure volte a ridimensionare gli effetti del restringimento del credito che famiglie e imprese hanno purtroppo fortemente lamentato in un momento in cui forse di “credito” se ne avvertiva maggiormente il bisogno. Oltre al credit crunch, le imprese italiane hanno pagato infatti un conto molto salato per la crisi del credito, derivante dal mancato adeguamento ai tassi di riferimento BCE dei tassi di mercato applicati dalle banche. Non solo lo Stato ha fatto quadrato in difesa del mondo della produzione. Diverse, per numero e tipologia, sono state difatti anche le azioni intraprese da Confindustria nazionale che, attraverso le Associazioni Territoriali, ha cercato di ricucire il rapporto “minato alla base” tra banca e impresa (vedi, ad esempio, l’Accordo con Abi e quello con Banca Intesa Sanpaolo, entrambi tesi a ridare ossigeno alle piccole e medie imprese attraverso la sospensione dei debiti).
In merito al rapporto banca-impresa, in questi mesi di sconvolgimento totale, quello che sembra venuto a mancare è soprattutto quel sentimento di fiducia cui dovrebbe essere naturalmente improntata la relazione tra gli istituti di credito e l’industria, “colpevoli” i primi di aver dato vita a una finanza dalle speculazioni selvagge, una finanza capace di produrre soprattutto ingiustizie e disuguaglianze e di aver mancato di sostenere in modo adeguato le iniziative imprenditoriali.
Da più parti quindi si invoca a gran voce un ritorno al valore sociale del credito, una sorta di ritorno alle origini per gli istituti di credito.
Le banche - come richiesto anche dal presidente di Confindustria Salerno Agostino Gallozzi nel corso della giornata di presentazione dell’Accordo con Intesa-Sanpaolo (vedi scheda a pag. 17) devono in questa delicata fase storica necessariamente riscoprire la loro vocazione originaria, che non è esclusivamente la ricerca di utili attraverso speculazioni finanziarie, ma la raccolta dei risparmi e il loro investimento “trasparente” con la concessione di prestiti a chi ne ha bisogno.
Nel quindicesimo secolo, infatti, la “banca” si presentava come uno dei motori più potenti dello sviluppo socioeconomico del territorio. A mano a mano poi si è andata stabilizzando l’equazione che voleva il credito come valvola in grado di regolare la capacità di “fare lavoro” dell’industria, compendiando le esigenze finanziarie per sostenere tale attività con i propri fini di redditività. La banca quindi offriva strumenti in grado di creare valore tangibile: chi aveva buone idee veniva premiato con la concessione di prestiti in denaro, riconoscendo anche il ruolo sociale del lavoro in contrapposizione a infruttuose logiche assistenzialistiche.
Ma a cosa ci si riferisce quando si afferma che anche le banche dovrebbero creare valore?
Sicuramente esiste un valore economico, strettamente connesso alla crescita della ricchezza. Per le banche, infatti, non si tratta di una semplice questione di utile e di ROE, di ritorno sul capitale. Esistono infatti anche un valore sociale ed un valore ambientale che insieme concorrono a definire la vitalità e la produttività di un’impresa, il suo essere un soggetto “responsabile” all’interno di una comunità, concretamente orientato a incrementare la propria crescita ed, insieme, la crescita del contesto in cui opera, secondo una logica di sviluppo sostenibile: sostenibile perché basato sulla partecipazione e sull’utilizzo lungimirante delle risorse e perciò durevole.
Non esiste quindi valore economico senza valore socio-ambientale. Entrambi i fattori sono l’uno funzione dell’altro e non è possibile creare il primo a detrimento del secondo, o prescindendo da esso.
Le banche quindi dovrebbero approfittare della crisi per fare - come dire - un passo indietro nel tempo, lavorando a un ingente investimento culturale per tornare ad assumersi il rischio insieme agli imprenditori con l’obiettivo sì di crescere, ma soltanto contribuendo a far crescere anche tutti gli altri attori coinvolti. Occorre cioè che le banche si assumano sulle proprie spalle non soltanto la responsabilità di essere competitive sul mercato alla pari delle imprese, ma anche la responsabilità sociale di promuovere uno sviluppo globale di natura economica ma anche civile, a vantaggio del proprio territorio, mettendo al bando tutti quei comportamenti che in un recente passato le hanno tacciate di essere madri di un sistema drogato che spinge i suoi clienti – cittadini e imprenditori - a consumare, indebitarsi e inevitabilmente a crollare sotto il peso della bancarotta se i venti dell’economia smettono di spirare a favore. Le crisi possono risultare anche positive, infatti, perché rappresentano occasioni di concreto cambiamento. Si dovrebbe approfittare di questo momento di difficoltà per chiedere con maggiore forza regole nuove, più trasparenza, più legami con l'economia reale, più valore alle reti di relazioni, più incentivi a forme serie di finanza responsabile. Le banche dovrebbero tornare a farsi carico di una visione di sviluppo orientata alla sostenibilità, intesa come integrazione riuscita e armonica tra convenienza, dimensione ambientale e sociale.
Per dirla con una sola parola, anche la finanza dovrebbe riscoprire il suo volto umano ed etico. Quello socialmente responsabile.


Banca per il Mezzogiorno, ci siamo

Nell’azionariato, oltre allo Stato, promotore e socio di minoranza, figureranno anche Bcc e Poste

Lo scorso 15 ottobre 2009, il Consiglio dei Ministri ha approvato, su proposta del Ministro dell’economia, Giulio Tremonti, un disegno di legge volto a creare la «Banca del Mezzogiorno». Obiettivo precipuo del nuovo istituto sarà quello di fornire credito alle Pmi del Sud.
Come da espressa indicazione del governo, tre saranno le direttrici fondamentali lungo le quali si muoverà l’azione della nuova banca: aumentare la capacità di offerta del sistema bancario e finanziario del Mezzogiorno, incoraggiare e sostenere i progetti imprenditoriali più meritevoli, canalizzare il risparmio verso iniziative economiche capaci di creare occupazione al Sud. Spetterà al Comitato promotore della Banca del Mezzogiorno spa - quindici membri che saranno nominati all’indomani dell’approvazione del disegno di legge da parte del Parlamento - il compito di avviare tutte le iniziative indispensabili per il concretizzarsi dell’intervento e, di rimando, di riferire al Ministro dell’economia circa modi e fattibilità dell’iniziativa.
Oltre al capitale azionario iniziale messo a disposizione dallo Stato (5 milioni di euro) la “nuova banca” sarà finanziata mediante i bond per il Sud ai quali sarà applicata un'aliquota agevolata al 5% contro il 12,5% delle obbligazioni tradizionali. I bond in questione saranno sottoscritti dai risparmiatori e tesi a finanziare le Pmi meridionali. Secondo stime preventive del governo, la richiesta da parte delle imprese potrebbe aggirarsi intorno ai 6,75 miliardi di euro.
A fare nascere l’esigenza di una banca dedicata espressamente al Sud è stata secondo Tremonti la constatazione che le banche attive nel Mezzogiorno «pur facendo raccolta al Sud non fanno impieghi».
Prendono ma non restituiscono al territorio, per dirla in soldoni. Il Ministro dell’economia ha anche precisato che lo Stato si limiterà solo a promuovere l’istituto e ad “avviarlo”, senza ricoprire alcun altro ruolo poiché la banca sarà realizzata interamente dai privati.
Con buona probabilità alle Poste italiane spetterà - insieme ai 600 sportelli delle Banche di Credito Cooperativo - il ruolo di sportello grazie alla capillare rete di circa 4000 uffici ubicati al Sud.

intervista con Alberto Berrini, Economista:

Berrini: «Una finanza trasparente È una finanza democratica»

Professore, la ragione vera della crisi potrebbe essere l’abbandono da parte del mondo del credito del proprio “core business” tradizionale per inseguire l’obiettivo esasperato della crescita del profitto?
Direi che, più che la ragione vera, quella cui lei fa riferimento è stata una delle cause fondamentali. Negli ultimi anni il mondo del credito, anziché finanziare l’economia reale, ha puntato molto sulla speculazione. L’industria bancaria ha così ceduto, trasformandoli in obbligazioni e sofisticati strumenti finanziari, cospicui portafogli di crediti erogati alla clientela, rimettendoli poi sul mercato secondo il modello di business «originate to distribuite» (faccio un prestito cedendone il rischio). Questo castello di carte però a un certo punto è crollato. Il cambiamento di natura del sistema finanziario è però - come dicevo - uno dei motivi della crisi. Esistono almeno altre due cause: una è legata agli squilibri internazionali di tipo valutario - commerciali e di cambio - tra Stati Uniti e Cina; l’altra, alla disomogeneità distributiva che crea uno squilibrio tra domanda e offerta. Già nel 1999 Paul Krugman nel suo “Il ritorno dell’economia della depressione” scriveva: «per la prima volta da due generazioni, la scarsità della domanda - una spesa privata non sufficiente a sfruttare la capacità produttiva che abbiamo a disposizione - è ormai diventata un chiaro ostacolo al benessere di gran parte del mondo». Un libro allora inascoltato, dal sottotitolo oggi significativo: “Stiamo andando verso un nuovo ’29?”.

La crisi stessa può essere un’occasione per tornare indietro?
Più che tornare indietro bisognerebbe capitalizzare al massimo questa opportunità per mettere ordine agli squilibri nei mercati finanziari, attraverso la regolamentazione e l’introduzione di strumenti di vigilanza a livello internazionale. La finanza non è negativa di per sé; è uno strumento che può essere utilizzato bene o male. Nel lungo termine, sarà prioritario ridistribuire la ricchezza, colmare il gap tra domanda e offerta. Nel breve, invece, vanno ridotti gli squilibri finanziari. L’indebolimento del dollaro è pericoloso, poiché causa l’innalzamento del prezzo del petrolio e dunque il rischio inflazione a livello globale. Se ciò avvenisse si comprometterebbero le basi stesse di una solida ripresa.

Da un po’ di tempo si parla sempre di più del ruolo dell’etica nel fare impresa e oggi, anche alla luce della débâcle economica mondiale, nella finanza. Secondo lei quale etica è più adatta alla finanza?
Oggi il concetto di responsabilità sociale di impresa va applicato anche ai mercati finanziari. Le banche - come l’industria - sono diventate delle “Spa” ma dovrebbero muoversi oltre la logica della creazione di valore a breve per l’azionista, dando conto del loro comportamento anche ai propri fornitori, ai propri clienti, ai lavoratori, al territorio in cui sono inserite. In particolare per la finanza diventa dunque centrale un requisito su tutti: la trasparenza. Ciascun risparmiatore dovrebbe conoscere con certezza come verranno utilizzati i soldi che ha depositato, in modo da condividere appieno finalità e usi degli stessi. In Italia, la crisi finanziaria non ha avuto effetti devastanti come altrove proprio grazie alla positiva esperienza delle banche popolari, delle casse rurali artigiane contraddistinte da un forte legame con il territorio.

Lei sostiene che occorre «democratizzare» la finanza. Cosa intende?
L’assunto di base è che i mercati finanziari condizionano gli investimenti e quindi la crescita economica. Alla formazione del risparmio, però, concorrono più attori, per cui la finanza andrebbe democratizzata collegando gli investimenti a tutti i risparmiatori coinvolti. In questo modo ci sarebbe un controllo democratico degli investimenti capace di garantire la massima responsabilizzazione dei soggetti coinvolti e, allo stesso tempo, la trasparenza negli obiettivi degli investimenti stessi. Si pensi ad esempio al ruolo che potrebbero avere i fondi pensione e a quanti importanti investimenti potrebbero realizzarsi nell’interesse condiviso da tutti.
confindustria salerno per il sostegno delle pmi sul territorio Presentato l’Accordo con il Banco di Napoli

Lo scorso 5 ottobre, in Confindustria Salerno, ha avuto luogo l’incontro “Crescere insieme alle imprese. Accordo Intesa Sanpaolo-Piccola Industria Confindustria per il sostegno alle PMI sul territorio”, organizzato dal Comitato P.I. di Confindustria Salerno e dal Banco di Napoli.
Alla giornata di lavori hanno partecipato - oltre a un considerevole numero di aziende socie interessate a saperne di più sui vantaggi derivanti dall’intesa - il presidente degli industriali salernitani Agostino Gallozzi; il presidente del Banco di Napoli Enzo Giustino; il direttore generale del Banco di Napoli Antonio Nucci; il direttore Area Campania Sud, Calabria e Basilicata del Banco di Napoli; il funzionario della direzione Marketing Imprese Intesa Sanpaolo Renato Zanetti e, infine, il presidente del Comitato Piccola Industria di Confindustria Salerno Antonio Ilardi.
Il tema di fondo dell’incontro è stato il razionamento del credito, ormai un “dato” che come tale va affrontato e risolto, soprattutto nel Mezzogiorno e in tutte quelle aree dove la capitalizzazione delle imprese è spesso inferiore alla media. L’effetto di una «stretta creditizia» si ripercuote infatti sull'equilibrio finanziario delle imprese, per cui si mettono in moto una serie di reazioni nel mercato che normalmente possono determinare una riduzione degli investimenti. Va quindi trovato un punto di equilibrio tra banche e imprese, capace di compendiare da un lato l’esigenza delle aziende di avere disponibilità liquide e, dall’altro, quella degli istituti di credito di non incorrere in rischi non sostenibili, al fine di scongiurare un ulteriore aggravamento della crisi.
Il primo a pronunciarsi sull’argomento è stato il “padrone di casa” Agostino Gallozzi, presidente degli industriali salernitani: «l’indagine congiunturale e previsionale del sistema economico e produttivo salernitano di Confindustria Salerno - ha dichiarato il presidente Gallozzi in apertura dell’incontro - ha dedicato quest’anno un approfondimento alle relazioni tra imprese e circuito del credito. Il dato che emerge pone in evidenza un generale inasprimento delle condizioni di erogazione e di gestione dei rapporti tra banche e aziende. Il 63,1% del campione intervistato ha segnalato, infatti, un mutamento in negativo del rapporto. In particolare tale inasprimento si è rivelato attraverso le seguenti azioni: richiesta di maggiori garanzie su nuovi prestiti; richiesta di rientro sui prestiti già concessi; richiesta di maggiori garanzie sui prestiti già concessi; rifiuto di nuovi finanziamenti».
«É il momento quindi - ha proseguito Gallozzi - di ritrovare le ragioni di un’intesa piena ed operativa tra banche ed imprese. Al di là dei rating occorre rimettere al centro il rapporto fiduciario e, soprattutto, una visione progettuale degli investimenti sul territorio. É indispensabile un salto di mentalità: certamente non si può prescindere dalla piena affidabilità delle aziende, ma anche dalla valutazione delle proposte e dei piani industriali. Nell’attuale congiuntura occorre recuperare il senso del “fare banca” che significa assumersi il rischio condivisibile con l’imprenditore».
E proprio in questa direzione va l’Accordo tra il Banco di Napoli e l’Associazione degli Industriali Salernitani che definisce prodotti e iniziative a sostegno del fabbisogno di liquidità della aziende associate, favorendo programmi di ricapitalizzazione.
In questo modo si garantisce alle imprese una maggiore operatività e si rinsalda il rapporto fiduciario che l’ingegneria bancaria legata a Basilea 2 ha messo duramente alla prova.
Anche per il presidente del Comitato Piccola Industria Antonio Ilardi «la tensione finanziaria è oggi uno dei principali problemi per le aziende salernitane». «L’Accordo raggiunto con Intesa Sanpaolo - ha sottolineato Ilardi - è un esempio concreto di sostegno alle aziende nel dialogo con le banche perché grazie al Protocollo si interviene su temi importanti come la capitalizzazione delle imprese e la liquidità - con la gestione agevolata degli insoluti - che garantisce disponibilità immediata alle piccole e medie imprese».
Come sottolineato dal direttore generale del Banco di Napoli Antonio Nucci l’intesa stipulata con la Confindustria salernitana mette a disposizione degli imprenditori della provincia strumenti immediatamente utili per alleggerire la gestione finanziaria in questo frangente, per rinforzare la capacità patrimoniale delle imprese e per prepararle a riprendere con basi più solide lo sviluppo successivo che tutti ci auguriamo. «Il rinvio di un anno delle rate dei mutui in essere, il nuovo polmone finanziario per la gestione del circolante e i finanziamenti per aumentare o rafforzare il patrimonio netto delle aziende - ha concluso Nucci - sono la nostra risposta alle esigenze delle imprese in questo momento, in particolare delle piccole e medie aziende».

sintesi dell’accordo Banco di Napoli-Confindustria Salerno

Soggetti beneficiari: potranno usufruire dei benefici previsti, le piccole e medie imprese così come definite dalla normativa europea, con una situazione economica e finanziaria che possa assicurare la continuità aziendale e che, alla data del 3° settembre 2008, presentavano esclusivamente posizioni classificate dalla Banca “in bonis”.
Operazioni previste:
1) sospensione per 12 mesi del pagamento della quota capitale delle rate dei finanziamenti a medio – lungo termine in essere alla data del 3 Agosto 2009;
2) sospensione per 12 mesi ovvero per 6 mesi del pagamento della quota capitale implicita nei canoni di operazioni di leasing rispettivamente “immobiliare” ovvero “mobiliare” in essere alla data del 3 Agosto 2009;
3) allungamento a 270 giorni delle scadenze del credito a breve termine relativo a linee di credito concesse dalla Banca, ed utilizzabili dall’impresa per l’anticipazione di crediti commerciali certi ed esigibili.
LINEA DI CREDITO “CONTO INSOLUTI” (ulteriori prodotti a disposizione delle imprese): si tratta di un prodotto rivolto alle imprese che dovranno affrontare sfasature di tesoreria a causa di insoluti generati dai loro clienti. La Banca potrà concedere specifiche linee di credito aggiuntive agli affidamenti già in essere.
PROGRAMMI DI RICAPITALIZZAZIONE:
a. “Ricap crescita Programmata”: consiste in un finanziamento rivolto alle PMI costituite in forma di società di capitali che intraprendono processi di rafforzamento patrimoniale;
b. “Ricap Moltiplica”: consiste in un finanziamento rivolto alle PMI costituite sotto forma di società di capitali che intraprendono processi di rafforzamento patrimoniale ed in possesso di adeguato rating secondo criteri adottati dalla Banca a suo insindacabile giudizio.
RINVIO RATA
La Banca acconsentirà alla sospensione per 12 mesi del pagamento della quota capitale delle rate dei finanziamenti a medio - lungo termine o delle operazioni di leasing. Potranno essere accolte le domande di rinvio presentate entro la data del 31 ottobre 2009.

 

intervista

Giustino: «Il Banco di Napoli pronto a crescere insieme alle imprese»


Enzo Giustino
Presidente Banco di Napoli

Presidente, quali ricadute positive potrà avere per l’economia locale l’intesa tra Banco di Napoli e Confindustria Salerno?

L’accordo presentato lo scorso 5 ottobre a Salerno, si propone di effettuare un servizio al gruppo per le piccole e medie imprese, per due tipologie di bisogni: quello ordinario e quello straordinario. Per il superamento delle attuali difficoltà, si è disposto il rinvio del pagamento delle rate di mutui o leasing in corso, fino a 12 mesi dalla data di richiesta. Analogamente per la gestione degli scompensi di tesoreria causati dagli insoluti. Ma l’iniziativa che potrebbe interessare di più gli imprenditori, in un periodo di crisi come questo, è costituita dai prodotti volti alla concessione di linee di credito alle PMI, costituite in forma di società di capitali, che intraprendono processi di rafforzamento patrimoniale. Si cerca così di rispondere a tutti i bisogni dei clienti e di sostenere l’economia locale, specie il tessuto di PMI.

Il Presidente Gallozzi ha invocato un ritorno alla dimensione sociale del credito, esortando le banche a ricostruire un rapporto di fiducia con le imprese fondato non soltanto sulla politica dei rating. Cosa ne pensa e in che modo è possibile valutare l’affidabilità e il valore sociale di un’impresa?
Valutare l’affidabilità e la capacità di un’impresa di creare valore è un dovere per un istituto di credito, oltre che una convenienza. Soprattutto se si instaura un rapporto collaborativo tale da creare valore per l’impresa stessa e per il territorio. Infatti, nella valutazione del merito creditizio da attribuire al cliente, i funzionari operano una vera e propria analisi della strategia delle imprese, con il fine di comprenderne le logiche di gestione e gli orientamenti che muovono le scelte dell’imprenditore. L’analisi quindi non si basa sul mero studio della struttura economico-finanziaria dell’impresa, ma cerca di andare oltre, per la migliore comprensione dei comportamenti d’impresa e delle aree critiche.

Il Ministro Tremonti ha proposto una Banca del Mezzogiorno. Favorevole o contrario e perché?
Come ho già avuto occasione di affermare in un’intervista al Sole 24 Ore in agosto, qualsiasi nuova iniziativa a favore del Mezzogiorno è benvenuta. Per quanto ci riguarda il Banco di Napoli c’è, vivo e vitale. Con la sua autonomia territoriale, finanziaria ed amministrativa. E con il suo radicamento territoriale recuperato per l’impegno dei Presidenti Iozzo e Pontolillo, ma soprattutto per la professionalità e la dedizione del Direttore Generale Nucci e dei suoi collaboratori. Con le strutture del gruppo Intesa Sanpaolo di cui può disporre il Banco di Napoli, si mira alla creazione di un valore stabile e sostenibile in tutto il territorio del Mezzogiorno, attivando leve di sviluppo virtuose quali, ad esempio, l’innovazione, la formazione, la crescita dimensionale e l’internazionalizzazione delle nostre imprese. Così come si desume dal titolo dell’accordo con Piccola Industria di Confindustria, il nostro obiettivo è “crescere insieme alle imprese”. Peraltro assumendo iniziative promozionali per cogliere nuove opportunità. Le potenzialità offerte dall’area Mediterranea sono una di queste.

Lei ha dichiarato che in Campania occorre «una gestione straordinaria dell’amministrazione ordinaria». Cosa intendeva dire?
“La gestione straordinaria dell’amministrazione ordinaria” è il principio secondo il quale non è necessario fare o inventarsi qualcosa di straordinario o di nuovo per la risoluzione dei nostri problemi, ma si deve intendere la possibilità di rivoluzionare i principi in base ai quali l’ordinario va gestito. Tenuto conto delle potenzialità e delle risorse di cui disponiamo.
Utilizzare le risorse e le potenzialità di cui disponiamo per risolvere i problemi è l’autentica questione che si pone alla Campania e all’intero Mezzogiorno. E lo si può fare solo acquisendo cultura di governo, abbandonando quella dell’assistenza. Straordinario non deve essere l’intervento, ma la nostra determinazione. Così come straordinaria deve essere la nostra volontà di perseguire obiettivi di efficienza decisionale, burocratica ed amministrativa, nelle istituzioni e nella società.


intervista

Ilardi: «L’intesa con il Banco di Napoli è un esempio di confronto positivo tra industria e credito»

Antonio Ilardi
Presidente Piccola Industria Confindustria Salerno

Presidente Ilardi, nel nostro Paese sembra che il credito resti il problema numero uno soprattutto per le piccole e medie imprese. A livello provinciale che aria tira?
A Salerno tira la stessa area di Belluno! Forse solo un po’ più calda, per ovvi motivi di latitudine...Possiamo, perciò, ben dire che il problema del credito rappresenta un formidabile fattore di unità nazionale! Nel merito, esiste una diffusa percezione di restrizioni sia sul credito a breve che su quello a medio-lungo termine, anche attraverso un innalzamento dell’equity richiesto agli imprenditori. Il Mezzogiorno sopporta, però, l’ulteriore carico dovuto alle proverbiali incapacità delle sue classi dirigenti (e noi stessi non ne siamo talvolta esenti), e non ha, ad esempio, una funzionale e solida rete di Confidi che possa quantomeno lenire l’attuale situazione.

Accordi però come quello con Intesa Sanpaolo riaprono il flusso del denaro verso le imprese.
L’accordo con il gruppo Intesa San Paolo, presente in alcune regioni del Sud con la “nuova” articolazione del Banco di Napoli, costituisce un esempio di positivo confronto tra sistema del credito e mondo delle imprese. Credo vada ascritto a merito del Presidente di Confindustria Emma Marcegaglia e del Presidente della Piccola Industria Giuseppe Morandini la capacità di avere sempre rappresentato con fermezza le ragioni delle aziende senza, però, indulgere in atteggiamenti guerrafondai. In questo modo è stato possibile raggiungere il risultato di iniettare nuova liquidità per le imprese. Auspico che lo schema dell’accordo possa costituire un riferimento da estendere anche ad altri gruppi bancari.

In concreto, secondo lei, cosa deve fare una banca nel Mezzogiorno? E quanto è importante il contatto diretto con il territorio?
Ho molta stima e considerazione del Ministro Tremonti che ha lanciato l’idea di una Banca del Sud nelle scorse settimane. Al momento, però, l’ipotesi di costituire una Banca del Mezzogiorno resta un po’ indistinta. Provo ad immaginare che tale proposta si prefigga l’obiettivo di indirizzare le risorse dei risparmiatori verso investimenti nel Sud dell’Italia. Credo, però, che questo fine vada perseguito prioritariamente creando le condizioni grazie alle quali un investimento nel Mezzogiorno possa avere parametri di rendimento più accattivanti rispetto a quelli effettuati in altre aree del mondo. Occorre, pertanto, preliminarmente incidere su aspetti quali la sicurezza, la burocrazia (attraverso una massiccia e generale opera di semplificazione amministrativa) e le infrastrutture.

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