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La visione differente
di Mahfuz
di Alfonso Amendola, Docente di linguaggi audiovisivi - Università di Salerno
La visione differente
di Mahfuz
Poco più di un anno fa moriva Naghib Mahfuz (lo ricordiamo nel segno forte del suo legame con il nostro territorio regionale e lo ricordiamo come grande riferimento d’unità dei popoli mediterranei).
È stretto il rapporto che lega Naghib Mahfuz (nato al Cairo nel 1912) alla Campania. Il suo primo lavoro pubblicato in Italia fu edito nel 1988 dalle salernitane edizioni Ripostes (Il caffè degli intrighi del 1974). E proprio nel 1988 gli veniva
assegnato il Nobel. La motivazione in pieno sintetizza il procedere espressivo di Mahfuz: «perché attraverso opere ricche di sfumature - ora chiaramente realistiche ora ambiguamente evocative - ha creato un’arte narrativa araba che può applicarsi a tutta l’umanità».
Ma è stato soprattutto l’editore napoletano Pironti a far conoscere ai lettori italiani l’opera dello scrittore egiziano. E nel leggere le ricche pagine di questo scrittore (che ha lavorato tantissimo anche nel cinema, come soggettista e sceneggiatore) spesso gli echi, le voci, le strade, le contraddizioni, i sogni, le amarezze, l’estremo e la dolcezza del suo Egitto sembrano esser eco di una cultura mediterranea a noi molto vicina.
Penso in particolar modo alla Trilogia del Cairo. La poderosa trilogia che comprende i romanzi “Tra due palazzi”, “Il palazzo del desiderio” e “La via dello zucchero” - tutti editi da Pironti. Un affascinante affresco di un nucleo familiare che è dentro la Storia (proprio quella con la esse maiuscola). Una saga familiare pienamente araba ma che nasce, anche, dalla lettura di Tolstoj e Mann e dove il “piccolo” e il “grande” perfettamente dialogano e tra loro si amalgamano. Più volte Mahfuz (il cui nome nella sua interezza è Naghib Mahfuz Abd el-Aziz El Basha) ha voluto sottolineare la tenacia che non lo ha mai abbandonato. Il suo impegno di scrivere ogni giorno per “non perdere l’abitudine”.
La sua ansia, il suo desiderio, la sua volontà di attraversarla, tra romanzi e novelle, per intero la letteratura. Toccando, negli anni del suo lavoro intellettuale, i più svariati nastri stilistici e contenutistici. Il simbolismo e il realismo, il tessuto biografico e la storia sociale, la psicologia e la frantumazione del ritmo.
E poi c’è una differente visione della religione e della dimensione spirituale. Ed è stata questa “visione differente” a far subire a Mahfuz un forte ostracismo da parte di molti paesi mussulmani verso la sua opera. Fino a farlo cadere nel mirino del fondamentalismo islamico (con l’attentato del 14 ottobre del 1994, e dalla cui esperienza Mahfuz maturò un’ulteriore traccia letteraria con gli scritti Storie del periodo della guarigione).
Per poter coglierla in pieno questa “visione differente” di Mahfuz, così densa ed innovativa, rimando almeno a Il rione dei ragazzi. Una tensione al dialogo e al cambiamento, quella di Mahfuz, che nonostante tutto, non ha mai voluto dimenticare la splendente forza dell’ottimismo.
Quando l’8 dicembre del 1988 nella sede dell’Accademia di Svezia nell’occasione del Nobel, lo scrittore e giornalista Mohammad Salmawy lesse il testo di ringraziamento del suo fraterno amico Mahfuz (troppo discreto lui, troppo poco amante dei viaggi, troppo riservato per entrare nel clamore delle celebrità) colpirono molto le parole conclusive del neo-Nobel egiziano.
Un vero credo: «Signore e signori, malgrado tutto ciò che accade nel mondo io sono ottimista fino alla fine».
E con queste lucide e potenti parole ricordiamo Mahfuz e non dimentichiamo la sua piena voce, la sua scrittura imponente, la sua “visione” del mondo…oggi più che mai necessaria.
Malgrado tutto. |