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  Dicembre 2012

Articoli n° 02
MARZO 2008
 


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Modernizzare il Sistema
per essere piÙ competitivi

Ambiente e clima:
il ruolo virtuoso della Chimica

La battaglia per la sicurezza
È al centro dell’impegno dell’ance

di Giorgio Squinzi

Ambiente e clima:
il ruolo virtuoso della Chimica


L’industria chimica ha dimostrato grandi capacità di contribuire
in positivo alla sfida della sostenibilità ambientale

Giorgio Squinzi, Presidente Federchimica
Federazione Nazionale dell’Industria Chimica



La problematica del clima non è che uno dei modi in cui si presenta alla società il tema centrale dello sviluppo sostenibile, cioè come garantire in modo equilibrato le esigenze sociali, ambientali ed economiche. Di conseguenza prima di affrontare direttamente le relazioni tra chimica e clima è necessario approfondire gli aspetti essenziali della relazione tra chimica e ambiente.
La tutela dell’ambiente ci pone, oggi più che mai, di fronte grandi emergenze: le risposte, perché siano valide, devono venire da tutto il sistema e le imprese devono dare il proprio fattivo apporto.
In Italia, come industria chimica, pensiamo di avere le carte in regola per poter contribuire in modo sostanziale ad aiutare il Paese.
L’industria chimica ha infatti dimostrato nei fatti concreti, ormai da anni, risultati significativi nelle performance ambientali e nella trasparenza. Risultati che certamente nascono da normative più restrittive, ma ancor di più da un impegno serio, continuo e diffuso tra le imprese.
Molto eloquente al riguardo è la classifica dell’Inail che ci vede tra i settori più sicuri per gli infortuni e per le malattie professionali; un risultato che ha portato lo stesso Inail a riconoscere uno sconto significativo alle imprese aderenti al nostro programma Responsible Care, proprio perchè ha condiviso il valore sociale dell’atteggiamento responsabile delle imprese: è la prima volta che ciò avviene.
Difendere il pianeta e il clima dalle emergenze ambientali e climatiche costerà tantissimo, tutti ne siamo consci, ma il rischio è che questo “tantissimo” non sia equamente suddiviso e che sia l’industria, in particolare nel nostro Paese, a pagare di più. Per questo chiediamo alle istituzioni nazionali che non ci siano fughe in avanti con inutili iniziative autonome, perchè è l’Europa, se non il Mondo, l’ambito dove si stabiliscono le regole. L’Italia non può risolvere i problemi del Pianeta e rischierebbe soltanto di danneggiare se stessa: meno industria, meno occupazione, meno sviluppo.
Al tempo stesso siamo preoccupati, perchè finora si è sempre spacciato come miglioramento un inutile e demagogico appesantimento delle norme con finalità elettorali o di aumento di peso politico all’interno della maggioranza di turno. Lo stesso rischia di avvenire attualmente con le politiche sul clima.
Molto meglio, invece, cercare insieme soluzioni che spingano verso il cambiamento nei comportamenti, evitando di imporli dirigisticamente, e per giunta senza una solida base scientifica.
L’industria è disponibile – sulla base di analisi serie, scientifiche e obiettive – a individuare cosa fare e come farlo; questa disponibilità nasce dalla consapevolezza che dall’analisi del ciclo di vita dei prodotti la chimica esce vincente, perché la sua missione è proprio quella di sostituire con prodotti innovativi altri prodotti meno efficienti, che siano naturali o sintetici. Ciò è particolarmente vero per quanto riguarda l’efficienza energetica e l’impatto sul clima.
La giusta attenzione per “l’emergenza clima” mette in secondo piano nel nostro Paese una grandissima emergenza domestica con la quale, come sistema industriale, dovremo sempre più fare i conti: l’alta intensità energetica della chimica e l’esplosione del costo del petrolio rendono non più rimandabili interventi che permettano di ridurre il divario diventato insopportabile per il costo dell’energia tra l’Italia e gli altri Paesi. Oltre il 30% di maggiori costi energetici rispetto agli altri Paesi europei significa delocalizzazione, non verso l’India o la Cina, ma in Francia o Spagna; questo purtroppo sta già avvenendo e dobbiamo limitarlo per non cedere quote di mercato a favore dei vicini Paesi europei.
In particolare,per lo specifico tema del clima, occorre esaminare alcuni aspetti fondamentali.
I cambiamenti climatici sono una minaccia rilevante alla sostenibilità. Anche se il nesso di causalità con le attività di origine antropica non si fonda su basi consolidate dal punto di vista scientifico, condividiamo la necessità di un’attenta gestione di tale contributo, per una minimizzazione del suo impatto, insieme ad un’inevitabile azione di adattamento ai cambiamenti in corso, facilitata dallo sviluppo economico.
É bene ricordare che, nonostante i notevoli quantitativi delle emissioni di gas serra generate dall’uomo, quelle di origine naturale sono preponderanti: considerando le concentrazioni complessive di gas serra in atmosfera, il contributo di quelle antropiche è del 3,3%; il contributo antropico in termini di effetto serra è del 5,5%; ciò prescindendo dalla considerazione del vapor d’acqua, il gas serra più potente (contribuisce infatti al 95% dell’effetto serra totale). Le emissioni di gas serra prodotte dall’attività umana possono ridursi in diversi modi, dei quali alcuni positivi, come la disponibilità di nuove tecnologie, i miglioramenti di efficienza, o con altre modalità possibili che sono però meno desiderabili, come la riduzione (o, peggio, l’inversione) dello sviluppo economico o la delocalizzazione dell’industria pesante: per queste ultime, gli effetti controproducenti sono una minore capacità di adattamento, e l’aumento delle emissioni globali indotte dalla delocalizzazione in realtà meno efficienti.
Le emissioni di gas serra sono monitorate e descritte secondo precise regole, basate sul criterio delle emissioni dirette. I dati nazionali registrano una rilevante prestazione dell’industria chimica, le cui emissioni totali di gas serra sono diminuite del 28,2% tra il 1990 e 2005 (in termini di sola CO2, il calo è del 39,3%!). Una prestazione di gran lunga migliore di quella corrispondente all’obiettivo di Kyoto (-6,5%), e del risultato complessivo del Paese. Le emissioni di gas serra in Italia sono cresciute del 12,1% dal 1990 al 2005, anche a seguito di ritardi nella definizione di politiche complessive, soprattutto nel settore dei trasporti e del civile/terziario, mentre l’industria manifatturiera e delle costruzioni registra una buona performance, a riprova di elevati livelli di efficienza, raggiunti anche per i persistenti alti differenziali di prezzi per l’energia, rispetto al resto d’Europa.
I pur notevoli risultati descritti non rendono conto adeguatamente dei meriti dell’industria chimica.
Infatti, essendo i dati basati sulle emissioni dirette, essi non sono in grado di rappresentare i crediti costituiti dai benefici indotti negli altri settori.
Tali tipi di crediti impliciti sono molto importanti e consentono di dimostrare che l’industria chimica non è solo un emettitore di gas serra e un consumatore di energia, ma rappresenta in maniera imprescindibile importanti capacità di contributo positivo alla sfida della sostenibilità ambientale.
Il nostro impegno a partecipare alla risoluzione dei problemi ambientali e climatici è quindi facilmente dimostrabile.
Anche per questo motivo, la chimica rivendica il suo imprescindibile contributo verso la sostenibilità, e si mette a disposizione per confrontarsi con le altre parti attente allo sviluppo sostenibile, al fine di promuovere nel nostro Paese un modello industriale equilibrato, che tenga in giusta considerazione ambiente, competitività e sicurezza.

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