La scarsa attrattività delle aree meridionali dipende, tra l’altro,
dalla carenza
di infrastrutture,
ma anche dai tempi lunghissimi
e scoraggianti
della giustizia civile
Negli ultimi sei anni l’Irlanda ha attratto investimenti diretti dall’estero per una media di 1500 euro
ogni abitante.
Il Mezzogiorno solo 13
É dallo scorso luglio che tengono banco i risultati del Rapporto Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno) 2007 sull'economia del Mezzogiorno.
Una fotografia d'estate che ritrae un'Italia squilibrata, divisa in due, con un Nord che emerge e un Sud in apnea.
Paragonate tra loro le due realtà del nostro Paese - storicamente dualista - sono ancora e di nuovo lontane, e la distanza non è solo geografica, ma produttiva e civile.
A dirla tutta, strutturale.
La ripresa economica internazionale interessa il Nord e il Centro del Paese, ma non coinvolge pienamente il Sud dove le difficoltà competitive dell'Italia tutta, comunque presenti, si amplificano.
Stando ai numeri presentati dalla Svimez, l'economia meridionale migliora ma solo se si guarda indietro e allo specchio.
Al Sud il prodotto interno lordo sale dell'1,5% nell'ultimo anno, con un valore quattro volte superiore la crescita registrata negli anni dal 2002 al 2005. La crescita è dovuta principalmente alla ripresa della spesa per consumi delle famiglie (+1,2%) e dal rilancio degli investimenti, saliti del 2,5%, con un incremento più che doppio rispetto al Centro-Nord (+0,6%).
Se da un lato al Sud cresce la quota export (+6,8%, in particolare i comparti ad alto contenuto tecnologico), dall'altro diminuisce il livello di investimenti esteri che non raggiunge l'1% del totale nazionale, con un decremento del 19,4% rispetto al 2005. Inutile dire che i motivi della scarsa attrattività delle aree meridionali, per gli investitori stranieri, sono gli stessi di sempre: carenza di infrastrutture materiali, scarsa diffusione della tecnologia, eccesso di burocrazia per le imprese, cui si sommano - come ha sottolineato il Governatore della Banca d'Italia Mario Draghi - «i tempi lunghissimi e scoraggianti della giustizia civile» e, di rimando, la scarsa tutela della legalità.
Per la Campania poi le cose vanno di male in peggio: se in materia di innovazione e ricerca l'Unione Europea raggiunge quota 100, nella nostra regione la media degli investimenti è di 41,6% (-1,6% rispetto al 2001).
Non va meglio il settore strategico della formazione, con una media del 72,4% più debole di quella (76,8%) registrata nel resto del Paese.
Il punto è che anche quando sono positivi, i numeri del Sud consentono un ottimismo evanescente se paragonati alla crescita totalizzata nel corso dell'anno dal Centro-Nord Italia e, ancor di più, se confrontati con quelli dei mercati d'oltre confine, con cui il nostro Paese e il nostro Mezzogiorno devono fare i conti e, perfino, con quelli degli altri paesi svantaggiati dell'Unione Europea (Ungheria, Slovenia, Estonia e Repubblica Ceca).
Viene da chiedersi il perché l'economia meridionale faccia eccezione, risultando la mosca bianca del Continente o, meglio, la pecora nera.
Mancanza di risorse sufficienti come da qualche parte si lamenta? Oppure risorse spese male, in settori improduttivi o in comparti inefficienti a creare valore, ricchezza e crescita?
Eppure, gli altri Paesi europei ce l'hanno fatta proprio grazie ai fondi comunitari.
Negli ultimi anni, infatti, nell'Unione Europea si è registrato un ampio processo di convergenza che ha colmato i divari esistenti, permettendo una crescita del pil superiore alla media europea, non solo nei nuovi Stati membri (più del 5%) ma anche nelle altre regioni dell'Obiettivo 1 (3,8%).
Convergenza che non ha neanche lambito le regioni meridionali italiane.
Se, infatti, Ungheria, Estonia e Repubblica Ceca sono riuscite a recuperare il gap di sviluppo che le distanziava dal Sud Italia, le altre aree deboli dell'Unione Europea non si sono mostrate da meno. L'economia di Spagna, Irlanda e Grecia è cresciuta, rispettivamente nell'ordine, tre, quattro e cinque volte rispetto a quella del Sud.
Il solo confronto con l'Irlanda la dice lunga: negli ultimi sei anni il piccolo stato ha attirato investimenti diretti dall'estero per una media di 1.500 euro ogni abitante; il Mezzogiorno, invece, solo 13.
Cosa allora continua a non funzionare?
Per la Svimez il problema della poca competitività non è rappresentato solo “dal Sud” e non è una spina nel fianco esclusivamente “del Sud”.
L'economia meridionale frena, non progredisce, ma se il confronto esce dai gangli nazionali e diventa globale, è l'Italia intera che arranca in contrapposizione agli altri paesi della Ue, schiacciata nella morsa del nuovo che avanza.
Il Sud è l'apice negativo di un Paese fermo che ha bisogno di riforme, un Paese che non riesce a consolidare e a rendere stabile il proprio processo di crescita.
Un Paese che si sente spaccato, che pensa diviso.
Al Sud, infondo, serve quello che occorre all'Italia tutta, solo in maniera più massiccia.
Maggiore concorrenza, più ricerca e innovazione, più meritocrazia, infrastrutture, più investimenti pubblici, riqualificazione della spesa, più tecnologia, più capitale umano qualificato.
Ed è per questo che nell'agenda politica nazionale deve fare ritorno la questione meridionale perché l'Italia intera torni a crescere. A tal proposito, netta è la posizione di Confindustria che in un documento a firma del Vice Presidente Ettore Artioli dichiara: «…Il Comitato Mezzogiorno ha pienamente condiviso le priorità indicate da Confindustria al Governo a favore dell'innovazione, dell'internazionalizzazione, della crescita dimensionale e della ricerca. Accanto a queste priorità Confindustria ha opportunamente individuato nel Mezzogiorno la “nuova frontiera” dello sviluppo del Paese, esaltando la necessità di concentrare sforzi e quindi risorse per sviluppare e attrarre investimenti nelle aree che storicamente ne hanno maggior bisogno…Il Comitato si è impegnato, dal canto suo, nella individuazione di meccanismi moderni, agili, snelli, non intermediabili, veloci da utilizzare, sburocratizzati, puntando sullo strumento del credito d'imposta inteso non tanto come meccanismo di compensazione generalizzato, ma volto prioritariamente a favorire nuovi investimenti...Confindustria ritiene che la questione meridionale, intesa come occasione di sviluppo e non di assistenza, non abbia perso di attualità e che non si possa guardare passivamente a iniziative tese a “svuotare” ulteriormente il sostegno a chi investe nel Mezzogiorno».
Direzione e Redazione: Assindustria Salerno Service s.r.l.
Via Madonna di Fatima 194 - 84129 Salerno - Tel. (++39) 089.335408 - Fax (++39) 089.5223007
Partita Iva 03971170653 -
redazione@costozero.it