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  Dicembre 2012

Articoli n° 08
OTTObre 2007
 


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IL SEGNALIBRO

Pizzini, veleni e cicoria
La mafia prima e dopo Provenzano


Pietro Grasso, Francesco La Licata
Contributi: Emanuele Macaluso
Collana: Serie Bianca Feltrinelli, Pagine: 176 - Prezzo: Euro 13

Bernardo Provenzano rappresenta l'ultimo padrino del Novecento. La sua cattura, dunque, si presta a una radiografia conclusiva di ciò che è stata la mafia in Italia e in Sicilia negli ultimi cinquant'anni. La caccia al padrino di Corleone, raccontata in presa diretta da Pietro Grasso, può fungere (oltre che da emozionante cronaca di una storica operazione di contrasto a Cosa nostra) da “pretesto” per riaggiornare le famose “lezioni di mafia” a suo tempo scritte da Giovanni Falcone. L'intervista a Grasso affronta i temi più “curiosi” che appassionano l'opinione pubblica: lo stile di vita di un boss che tutti immaginano come un Re Mida e invece vive in una masseria e si nutre di miele e cicoria; la capacità di “governare” una regione intera (e forse di più) da un buco medievale del corleonese servendosi di un ancestrale sistema di comunicazione, quello dei “pizzini” scritti a fatica da un uomo che “ha la seconda elementare non finita”. Interessante il quadro che le indagini offrono sulle scelte operate dal boss per inaugurare la stagione della “mafia invisibile”, dopo la sconfitta della strategia stragista di Riina e della cupola corleonese. I “pizzini” di Provenzano offrono uno spaccato antropologico interessantissimo del “provenzanismo”: il rapporto con Cosa nostra, con gli altri capi, con il mondo esterno, con la famiglia di sangue e con la famiglia mafiosa, con la moglie e i figli. Il rapporto con la politica e con il mondo degli imprenditori: il pizzo, il “governo” degli affari, gli appalti. E, infine, come contraltare alla mafia, uno sguardo allo schieramento opposto: Palermo e il suo ventre molle, l'appello inascoltato di Grasso a non candidare inquisiti o sospettati, il palazzo di giustizia, il passato e il presente, gli errori dell'Antimafia, le disattenzioni dei governi e della politica.


I vizi capitali
e i nuovi vizi


Umberto Galimberti
Collana: Universale Economica Saggi Feltrinelli
Pagine: 132 - Prezzo: Euro 6

«Come al solito non sono mai le virtù ma sempre i vizi a dirci chi è, di volta in volta, l'uomo. E allora guardiamoli da vicino questi vizi», così comincia Umberto Galimberti e prende le mosse dai vizi capitali: Accidia, Avarizia, Gola, Invidia, Ira, Lussuria, Superbia.
Identificati come «abiti del male» da Aristotele, come «opposizione della volontà dell'uomo alla volontà divina» nel Medioevo, come espressione della tipologia umana nell'Età dei lumi appaiono infine come manifestazione psicopatologica nel Novecento. «E così, fuoriescono dal mondo morale per fare il loro ingresso in quello patologico. Non più vizi, ma malattie dello spirito».
Alla luce di questa sequenza storica, Galimberti “ambienta” i vizi nel panorama contemporaneo lasciando emergere significative contraddizioni, un'inedita penetrazione nel conflitto fra la funzionalità (anche del male) nell'età della tecnica e l'urgenza dell'etica. Segue, come un inevitabile complemento, un'ampia ricognizione su quelle tendenze, modalità comportamentali che si potrebbero definire, con la dovuta accortezza, come i “nuovi vizi”: la sociopatia, la spudoratezza, il consumismo, il conformismo, la sessomania, il culto del vuoto. Non si tratta di caratteristiche della personalità (come lo sono i vizi capitali: l'avaro, il goloso, il superbo ecc.), anzi la voluttà dello shopping, la dipendenza dalla merce, per esempio, sono esattamente il contrario: il dissolvimento della personalità. E allora perché parlarne? «Per esserne almeno consapevoli e non scambiare per valori della modernità quelli che invece sono solo i suoi disastrosi inconvenienti».

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