Tutto in in week end
Torre del Saracino,
a Seiano Gennaro Esposito È il geniale alfiere del gusto
Ferdinando CAPPUCCIO
La Torre del Saracino è senza ombra di dubbio un punto di riferimento della grande ristorazione italiana. Il proprietario, Gennaro Esposito, è un grande “self-made chef”. La famiglia, infatti, non aveva un esercizio di ristorazione (il padre era metalmeccanico); il suo percorso di successo è frutto dunque di applicazione e di “genio”. Durante l'adolescenza ha lavorato in una gelateria e presso un locale - Mustafà, ancora oggi presente a Seiano - non tralasciando però di concludere la scuola alberghiera. Nel '92, accanto ad un'antica torre del VI secolo, ha aperto il suo ristorante con quella voglia di “sfondare”, tipica di alcuni giovani del Sud. Il bivio era quello di ricercare facili guadagni o realizzare una cucina del tutto diversa e più difficile di quella proposta nella maggior parte dei ristoranti. Con grande determinazione, cercando di anno in anno di migliorarsi con stage e, al contempo, di arricchire il suo locale, si è incamminato sulla via più tortuosa, vincendo la sfida. La base della sua cucina è avere compreso che un piatto complesso deve nascere dall'abilità di saper fare perfettamente il piatto semplice di base, cosa che è la vera difficoltà della ristorazione di oggi. Anche il mio amico Antonio Dipino, grande chef della Caravella, come Gennaro ha sempre affermato che il piatto più difficile è fare un ottimo “spaghetto aglio e olio”. Il territorio, poi, deve comparire nelle elaborazioni come conoscenza di antichi sapori e analisi specifica degli ingredienti di un piatto. La grande cucina dev'essere gustata, secondo me, cercando di capire come nasce un piatto; analizzando questo si scopre “l'anima” dello chef e si va oltre il gusto puro e semplice. Per meglio spiegare questo concetto vorrei esaminare una delle elaborazioni gustate nella mia visita alla Torre del Saracino: le tagliatelle al grano saraceno con alici, broccoli calabresi e polpettine di gamberi e provola. Il piatto di partenza, difficile nella sua semplicità, è la pasta con le alici, pietanza povera dei pescatori della nostra zona costiera. È un'elaborazione tradizionale dove conta la materia prima e il giusto dosaggio degli elementi. La tradizione a questo punto per molti grandi chef può essere una limitazione; ecco allora venir fuori il “genio”. Con la perfetta conoscenza dei prodotti, Gennaro, come quei pochi altri al suo livello, ipotizza inserimenti gustativi che, riprovati più volte, creano un piatto del tutto inedito. È così alla pasta con le alici aggiunge i broccoli calabresi, compatti e dolci, che finiscono per attenuare la forza gustativa delle alici. Il connubio funziona bene, creando amalgama di sapori pur nel rispetto dell'identità dei singoli elementi. Ma non basta! La pasta di grano duro non avrebbe assorbito pienamente il sugo, mentre un'eventuale pasta fresca avrebbe finito per dare un gusto molliccio e farinoso. Ed ecco allora il grande intuito: Gennaro si ricorda del grano saraceno e crea delle tagliatelle nelle quali, per evitare lo “spappolamento”, unisce un po' di farina 00. La pasta che si assembla con i broccoli e con le alici a questo punto è perfetta, drena il sugo ma resta compatta e callosa. Inoltre il grande chef, memore di antichi retaggi, inserisce polpettine di gamberi, che donano al piatto sapore (fritto) e dolcezza (gamberi). L'aggiunta, poi, della provola nell'impasto è il tocco finale. Un grande piatto di un grande chef è frutto di un grande lavoro; troppo spesso però il giudizio di noi commensali si ferma al gusto complessivo non comprendendo, totalmente, lo sforzo compiuto. È un errore in cui dobbiamo evitare di cadere per salvaguardare la professionalità dei protagonisti della cucina della nostra regione e per gustare i magnifici piatti preparati, oltre che con i sensi, anche con il cervello. |