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  Dicembre 2012

Articoli n° 04
Maggio 2007
 


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La continuitÀ nelle piccole e medie imprese

Distretti industriali e politiche regionali

La continuitÀ nelle piccole e medie imprese

Oscar DE FRANCISCIS
Vice Presidente Ordine dei Dottori Commercialisti di Salerno
oscar@defranciscisassociati.it

Il passaggio generazionale va esaminato e affrontato in un’ottica strategica

Nel passaggio generazionale la ridotta sensibilità al cambiamento è l’elemento di maggior rischio

L’imprenditore uscente deve essere coadiuvato da un gruppo di lavoro competente per pianificare il passaggio del testimone

In un sistema industriale come quello italiano, caratterizzato della presenza quantitativamente rilevante di imprese familiari, la letteratura sul Family Business pone l'accento su come il passaggio generazionale resti una delle principali cause di dissolvimento delle aziende e in particolare delle PMI. Numerosi studi, infatti, hanno rilevato come il tasso di mortalità sia pari al 75% nel passaggio dalla 1a alla 2a generazione, per raggiungere anche il 90% in quello dalla 2a alla 3a. L'errore più frequente è quello di non pianificare il passaggio generazionale, iniziandolo, se possibile, in periodi in cui il binomio mercato/organizzazione è adeguato e i risultati aziendali normali. Spesso il turnover (i cui tempi non sono brevi) si verifica in momenti di difficoltà dell'impresa dovuti a stagnazione dei mercati di riferimento o ad una generalizzata maggiore competizione. In tali circostanze i vantaggi storici dell'impresa familiare (conoscenza del business, leadership dell'imprenditore, rapidità decisionale, flessibilità dei comportamenti a tutti i livelli) possono iniziare una fase di involuzione: si stenta a riconoscere i cambiamenti esterni e l'esigenza di delegare ruoli e funzioni, si implementano analisi strategiche senza il dovuto distacco giustificando le difficoltà o le minacce più che operare per il loro superamento, con il rischio di avvitarsi in una inconscia cultura della ineluttabilità del destino aziendale.
La ridotta sensibilità al cambiamento è l'elemento di maggiore rischio, in quanto non fa cogliere l'opportunità che anche il passaggio generazionale, da minaccia, può trasformarsi in occasione di crescita. Gli errori più frequenti in fase di transizione sono: 1) credere che il figlio sia capace di gestire l'azienda, spesso non valutando che i fattori di successo del passato stanno inesorabilmente modificandosi;
2) confondere il ruolo azionista/manager;
3) evitare di sceglier manager validi;
4) insistere nel mantenere il controllo familiare dell'azienda, rinviando l'apertura del capitale a terzi;
5) strutturare un rapporto fra proprietà e management non orientato alla creazione di valore.
In merito al primo aspetto va detto che spesso non si è nel caso di “inesistenza di eredi interni” ma di “assenza di eredi interni pronti alla successione” o, ancora meglio, di “eredi interni mai investiti ufficialmente del ruolo di successori, né preparati in modo strutturato a tale compito”.
Tale situazione, sempre più frequente, è quella in cui il successore “over 40” vive il problema della convivenza imprenditoriale più che del passaggio e la definizione della governance aziendale viene rinviata a scapito della competitività.
E allora appare opportuno richiamare, in sintesi, le cinque fasi in cui solitamente si articola un corretto processo di successione in azienda, fasi (alcune) spesso temporalmente sovrapponibili.
La prima fase: pianificazione della successione. Inizia quando l'imprenditore prende coscienza che nel medio termine intende ritirarsi, o comunque modificare sostanzialmente il suo ruolo guida. Tale fase consiste nella stesura di un piano di successione realizzato da un team costituito da professionisti esterni, integrato da familiari.
La seconda fase: formazione e valutazione dei candidati alla successione. Si conclude in una stima delle capacità e inclinazioni di ciascun partecipante, in modo da scegliere non solo il possibile leader, ma anche il più efficace inserimento di altri familiari nella struttura organizzativa dell'azienda, in modo da costituire una squadra ben equilibrata e integrata a figure.
La terza fase: scelta del successore (leader) tesa a formalizzare la designazione, con la ufficializzazione della scelta stessa a tutti i livelli.
La quarta fase: trasferimento della leadership con la progressiva sostituzione del predecessore con il successore, sia nel management sia nell'azionariato. Questa fase termina con il ritiro effettivo del vecchio leader dal business.
La quinta fase: riorganizzazione aziendale, che generalmente è contestuale alla scelta del successore (terza fase). Consiste nel realizzare quel processo di ristrutturazione societaria e organizzativa teso a favorire non solo il buon esito del processo successorio, ma anche le finalità indicate nella seconda fase, onde conseguire una rinvigorita e innovativa cultura imprenditoriale atta a realizzare la crescita aziendale in senso lato.
In caso di “assenza di eredi interni” il processo successorio sopra individuato viene a modificarsi nelle fasi della pianificazione, del trasferimento della leadership e della riorganizzazione aziendale.
A questo punto un richiamo va fatto al compito degli attori che circondano il soggetto imprenditoriale - lo assistono (vedi dottori commercialisti), sostengono e rappresentano - affinché contribuiscano all'elaborazione e diffusione di strumenti teorici e pratici necessari a favorire una adeguata successione aziendale. In particolare, le pubbliche autorità, le organizzazioni di rappresentanza degli interessi imprenditoriali, professionali o dei lavoratori, le istituzioni bancarie e le università dovrebbero giocare un ruolo maggiormente propositivo e di supporto all'imprenditore uscente.
Sotto un profilo strettamente microeconomico (azienda singola) si evidenzia come l'imprenditore uscente abbia bisogno di pianificare il “passaggio del testimone” - trasferendo conoscenze tacite e non - coadiuvato da un gruppo di lavoro che favorisca il successo di un processo che si avvia ad essere sempre più complesso e oggetto di valutazione da parte di chi è preposto ad assicurare capitale (sia di rischio che di finanziamento) alle aziende. Se una “cabina di regia” (Studi a cura della Fondazione Nordest con il comitato locale di Vicenza di Unicredit; Fondazione Trentino Università con il Centro Studi sull'Impresa di Famiglia) va costituita per ciascuna azienda, il dottore commercialista - che assiste storicamente l'impresa - ha ben titolo per esserne il coordinatore, o uno dei principali attori, soprattutto nella nostra realtà costituita da piccole o microaziende.

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