Tutto in in week end
Note in pasta
Quando Alexandre Dumas nella sua Seconda lettera a un sedicente buongustaio napoletano, del 1864, scrisse: «Se conoscete la mia ricetta di maccheroni, è come se conosceste la musica di Porpora, Paisiello, Pergolesi e Cimarosa, senza suonarla» forse non immaginava che qualcuno del suo tempo addirittura giocasse con le parole sulla pasta mettendole in musica.
Alcune di queste arie e canzoni, quasi tutte composte tra la metà del '700 e la fine dell'800, sono raccolte in “Note in Pasta. Quante Arie per i Maccheroni”, un cd realizzato dal Museo di Pulcinella con gli artisti del Complesso Musicale “G.B. Pinna” di Acerra (Na).
Il disco propone quei brani che celebrano, la fame e l'arguzia di un Pulcinella inventor dei maccheroni, le glorie gastronomiche di questo cibo, la sua capacità di generare gioia e beatitudine in chi ne mangia. Molte di queste musiche sono inedite e sono state composte da un insigne bolognese, musicologo e religioso settecentesco, Giovanni Battista Martini, maestro di Mozart e Jommelli; da un anonimo cantore popolare napoletano; da un famoso scrittore di canzoni partenopee, Pietro Labriola; da un dimenticato cantante lirico umbro, Venceslao Agretti; da due noti musicisti, il parmense Giusto Dacci e il veronese Vincenzo Mela, tutti vissuti tra l'inizio del 1800 e il 1900. Il disco è corredato da un piccolo volume in cui è descritta una breve storia della pasta e tutte le notizie sulle arie e sugli autori delle musiche, con illustrazioni originali esposte nel Museo di Pulcinella.
Il sorriso
di Maria Teresa d’Austria
Si racconta che Maria Teresa D'Austria, moglie del re Ferdinando II di Borbone, fosse soprannominata dai soldati “la Regina che non sorride mai”.
Ma il volto le si illuminò quando, tentata dal goloso marito, assaggiò una fetta di pastiera.
Pare che a questo punto il Re avesse esclamato: «Per far sorridere mia moglie ci voleva la pastiera, ora dovrò aspettare la prossima Pasqua per vederla sorridere di nuovo».
Dicerie
e facezie sul caffè
Tante sono le storie intorno il caffè. Tra queste, particolare è quella del famoso medico napoletano Giovan Battista Amati che, in una sua memoria alla Real Società d'incoraggiamento alle scienze naturali in Napoli, affermò di aver ottenuto utili risultati a curare le malattie degli occhi con i vapori del caffè.
Nota è poi la leggenda che vuole l'Arcangelo Gabriele andare in soccorso a Maometto, stremato per le prolungate preghiere, con una tazza di caffè fumante. Bastarono pochi sorsi perchè il profeta si sentisse talmente in forza da «disarcionare 40 uomini e rendere felici 40 donne». Da allora, anche perchè il Corano bandirà per sempre le bevande alcoliche, lo scuro nettare diventa la bevanda più amata dagli arabi.
Infine, si mormora che Voltaire ne bevesse addirittura 50 tazzine al giorno.
Il destino tutto
in un cognome
Il cognome “Esposito” è uno dei più diffusi nel napoletano.
Esso si rifà ad esposto, cioè lasciato: è il cognome che veniva imposto in passato ai bambini abbandonati dai genitori (“esposti”, appunto, a Napoli nella ruota dell'Annunziata).
È curioso notare che a Esposito corrispondono altri cognomi sinonimici, tipici di regioni differenti: ad esempio Casadei, diffuso in Emilia Romagna, il cui significato è “casa di dio”; specifico emiliano, è anche il cognome “Incerti”, dalla forma latina medioevale Incertis Patris, “di padre ignoto. Comunissimo nel Lazio il cognome Proietto o Proietti, originato dall'italianizzazione del termine proiectus, participio passato del verbo latino proicere: il bambino che lo portava era “gettato avanti, abbandonato, lasciato”.
Il cognome Ignoti è diffuso, invece, nella Sicilia orientale e in Piemonte, e si rifà all'espressione corrente “Figlio d'Ignoti”; in Toscana e in Umbria troviamo “Diotiguardi” e “Diotiallevi”; infine diffuso soprattutto in Toscana e in Lombardia il cognome “Innocenti”, benaugurante per il trovatello, che veniva così assolto dalle colpe dei suoi genitori. |