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  Dicembre 2012

Articoli n° 04
Maggio 2007
 


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«Le Pmi sanno ancora
investire e rischiare»

di Raffaella VENERANDO

Morandini chiede alla politica poche misure: semplificazione, energia, fisco per la crescita e lavoro straordinario



Si è tenuto a Genova, lo scorso 30 e 31 marzo, il Convegno Biennale Piccola Industria di Confindustria “Fare impresa in Italia: cosa cambiare, come vincere”. Due giorni di dibattito, nella splendida cornice del Teatro Carlo Felice, per sottolineare alla politica quali ostacoli occorre ancora superare per fare impresa nel nostro paese e presentare dodici emblematici casi di “piccole eccellenze” che ce l'hanno fatta, riuscendo a vincere “nonostante”. Di questo parliamo con il presidente della Piccola Industria di Confindustria, Giuseppe Morandini.

Allora Presidente, che bilancio possiamo fare della due giorni genovese?
Assolutamente positivo. Per la risposta e la disponibilità con cui i nostri imprenditori si sono messi a servizio del sistema e anche per aver saputo risvegliare nella politica un “sano” interesse per la piccola impresa. Abbiamo definito la prima giornata quella dell'orgoglio e della rabbia. Orgoglio, per una ripresa sulla quale nessuno avrebbe scommesso e che è soprattutto merito dei sacrifici dei nostri lavoratori e delle nostre imprese.
Negli ultimi difficilissimi cinque anni abbiamo dimostrato forte capacità di continuare a fare quello che i tanti “tifosi del declino” ci imputavano di non saper più fare: innovare e rischiare. Abbiamo tenuto, in certi casi addirittura ampliato, le posizioni del made in Italy sui mercati del mondo: il saldo della bilancia commerciale per i prodotti di punta del nostro manifatturiero ha superato nel 2005 i 100 miliardi di dollari, secondo al mondo solo alla Cina. Ci siamo fortemente riorganizzati spostando l'ago della competizione sul piano della crescita, dell'internazionalizzazione, dell'innovazione, puntando alla qualità assoluta di prodotti e servizi, pensati e realizzati quasi a “misura di cliente”. E questo spiega la “rabbia” per il disinteresse della politica, che non sembra comprendere il valore delle nostre imprese. Né tanto meno l'importanza di puntare su di noi.

Per rimanere nella metafora calcistica che lei ha usato a Genova, quali sono gli assist che la politica dovrebbe servirvi?
Pochissimi. Vogliamo solo essere messi in condizione di esprimere la nostra grande capacità di fare risultato. Alla politica chiediamo con forza, e non da ieri, poche misure che vengano incontro alle nostre emergenze quotidiane: semplificazione, energia, fisco per la crescita, lavoro straordinario.

Come si può continuare a fare impresa in un paese in cui un piccolo imprenditore impiega 4 anni - fatti di costi mostruosi e di stop burocratici - per aprire un nuovo stabilimento? Come si fa a dire di voler modernizzare l'apparato burocratico rinnovando i contratti al contrario: prima ti do i soldi, tanti, poi vediamo gli obiettivi?
Come si fa a fare impresa pagando l'energia a prezzi che, in cinque anni di mercato diciamo “aperto”, non sono diminuiti, anzi, continuano a essere superiori di oltre il 20% rispetto a quelli dei nostri diretti competitori europei? L'Italia paga una bolletta “record”: quest'anno abbiamo sfondato i 50 miliardi, con una crescita del 30% rispetto al 2006, superando di almeno 2 miliardi le previsioni, già preoccupanti. È indiscutibile che occorre trovare soluzioni. E forse, prima ancora di rivedere il meccanismo degli approvvigionamenti, basterebbe riformare le regole del mercato. Un esempio su tutti: la scarsa elasticità nel meccanismo di formazione del prezzo dell'energia. Quando calano le quotazioni del greggio, il prezzo non scende. Il che significa che c'è qualcosa nelle regole che non funziona e che andrebbe rivisto.
Altro provvedimento che potrebbe essere fatto domani mattina è quello sulle spese di rappresentanza. Per una piccola impresa il contatto diretto con clienti e fornitori, la possibilità di mandare i dipendenti all'estero o di partecipare a fiere e missioni internazionali sono strumenti fondamentali. È mai possibile che le imprese italiane debbano continuare a pagare le tasse sulle trasferte che fanno all'estero, quando, per esempio in Germania, paese con forte vocazione all'export, ne è ammessa - a parte pochissime eccezioni - la piena deducibilità?
Per non dire del lavoro straordinario: abbiamo chiesto di renderlo conveniente per i lavoratori, evitando lo scatto dell'aliquota marginale Irpef su queste ore, e di ridurre i contributi che pagano le imprese, oggi quasi al 40%. È davvero così difficile parlarne senza pregiudizi?

Sul palco di Genova è salito anche l'amministratore delegato di Intesa San Paolo, Corrado Passera. Quali sono le aspettative che le pmi nutrono nei confronti della banca?
Serve sicuramente - e sono felice che sia emerso nel corso dell'intervista a Passera - una banca attenta alle richieste del territorio e soprattutto ai progetti di crescita delle nostre imprese. Passera si è mostrato disponibile verso la nostra richiesta di proporre agli istituti di credito di essere vere e proprie merchant bank sul territorio, magari affidando ai capi area o ai centri servizi imprese, che peraltro già esistono per alcuni istituti, l'autonomia di decidere prestiti partecipativi fino a una soglia consistente. Ho detto a Genova, e lo ribadisco con convinzione, che la banca che avrà il coraggio di assumersi questo rischio, sarà quella che darà la svolta al mercato, fidelizzando il rapporto con le piccole imprese e crescendo insieme a noi.

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