Denuncia gravi irregolaritÀ
ex art. 2409 c.c.
Come funzionano
le
societÀ miste
Come funzionano le
societÀ miste
Luigi D’ANGIOLELLA*
Il proliferare di tali società pone delle
perlessità su cui vale la pena riflettere
Sono tutte da verificare sul piano del diritto pubblico le conseguenze, sempre
possibili, di uno stato di crisi della società mista
Le recenti polemiche che si sono avute in ordine allo spreco
di denaro pubblico da parte degli Enti Locali e la conseguente, forte, riduzione
di risorse che hanno subito Comuni e Province dalla ultima Legge Finanziaria,
rendono attuale una riflessione sul sistema con cui, spesso, operano queste Istituzioni,
con particolare riferimento alle cosiddette società miste. Queste ultime
sono state introdotte dalla L. 142/90 e poi confermate dal Testo Unico sugli
Enti Locali 267/2000, come una delle modalità per svolgere un servizio
pubblico. Si tratta di società di capitali (a responsabilità limitata
o per azioni) che possono essere a maggioranza pubblica o privata e seguono le
regole del Codice Civile, agendo come vere e proprie imprese. La scelta del socio
privato da parte dell'ente pubblico è svolta con una gara, anche se tale
modalità, all'inizio (anni 1992-'93 sino al 2000), non era chiara e molte
società miste sono nate con la scelta del socio privato senza alcuna evidenza
pubblica, attraverso decisioni totalmente discrezionali. L'ente pubblico, una
volta costituita la società mista, affida ad essa un servizio pubblico,
generalmente in via diretta e senza gara. Tale procedimento - affidamento diretto
del servizio alla società mista, percepito come braccio operativo dell'ente
pubblico - è diventato una prassi seguita quasi sempre, più o meno
avallata da norme incerte e da una giurisprudenza amministrativa non sempre coerente.
Si tratta, però, di una prassi discutibile e di recente se ne è occupata
anche la Corte di Giustizia Europea, criticandola fortemente per la mancanza
di una idonea selezione trasparente.
Tutte le Regioni, le Province e anche moltissimi Comuni, grandi e piccoli, hanno
una o più società miste, cui sono affidati servizi essenziali,
quali la nettezza urbana, i cimiteri, la pubblica illuminazione, la gestione
delle acque, la distribuzione di energia (specialmente gas), oltre che la gestione
delle marine per alcuni Comuni costieri e l'attuazione del Piano regolatore,
con le società di trasformazione urbana. Ancora, hanno istituito società miste
anche i Consorzi di Comuni per la gestione dei rifiuti, le Province e le Comunità montane.
Tale strumento ha certamente dei vantaggi perché vi è una indubbia
capacità di velocizzare certe scelte decisionali, la possibilità di
adoperare strumenti del diritto privato, anche sul piano contrattuale, con la
possibilità per il pubblico di beneficiare del know how del privato in
determinati settori.
Il proliferare di tali società, però, e la creazione di un apparato
di potere ormai divenuto imponente, pone delle perplessità che devono
far riflettere. Esse, infatti, rappresentano spesso una gestione del servizio
pubblico senza il controllo che in genere deve salvaguardare certi settori. Succede
così che le società miste sono diventate il paravento per assumere
personale senza i vincoli della sfera pubblica, pur utilizzando risorse pubbliche.
Tra l'altro, v'è un'evidente ipocrisia di fondo di questi soggetti, che
intendono gestire un servizio secondo una logica solo di mercato, che, però,
finisce per coinvolgere il pubblico se non si raggiunge il pareggio (vedasi il
caso della nettezza urbana che, in molti Comuni che operano con società miste, è in
crisi, perché gli utenti non pagano e il servizio viene svolto solo con
il decisivo concorso finanziario del socio pubblico).
Tutto ciò crea un sistema quasi mai trasparente, e la politica finisce
per utilizzare le società miste per superare i vincoli legislativi delle
Pubbliche Amministrazioni, come nel caso, già riferito, delle assunzioni
di personale.
Appare, dunque, non certo risolutivo contrarre le spese degli Enti Locali, come è accaduto
con l'ultima Legge Finanziaria, senza prevedere un controllo più serrato
su questi soggetti tecnicamente esterni alla contabilità degli Enti locali,
ma di fatto su di essa incidenti in maniera decisiva. Quello che, però,
maggiormente qui intendo sottolineare per una riflessione tra gli imprenditori è la
mortificazione della concorrenza a tutto danno delle vere imprese. É evidente,
infatti, che la società mista dell'Ente pubblico, cui è stato affidato
direttamente un servizio esterno, toglie mercato all'imprenditore del settore;
che le società miste sono quindi in una chiara situazione di vantaggio,
avendo quale interlocutore l'ente che è loro socio e che ha interesse
a favorirle sul territorio. Come se non bastasse, queste società miste
vanno poi sul mercato anche al di fuori della competenza territoriale dell'Ente
che le ha promosse, e beneficiano del fatturato svolto con l'Ente - socio in
regime di monopolio - che a sua volta crea “curriculum” e le agevola
nelle gare. Si tratta, dunque, di un mercato in cui alcuni soggetti ricevono
una indebita situazione di vantaggio. Inoltre, sono tutte da verificare sul piano
del diritto pubblico le conseguenze, sempre possibili, di uno stato di crisi
della società mista.
Queste società dovrebbero fallire come le altre società di capitali.
Ma le conseguenze sul piano del diritto pubblico? V'è un obbligo di ripianare
i debiti per gli enti locali e per lo Stato? Se no, è evidente che avremmo
situazioni di forte imbarazzo, specie per le società miste che operano
nei servizi essenziali (acqua, energia). Se sì, è evidente, l'ulteriore
disparità di trattamento rispetto alle imprese private. Si tratta di problemi,
dunque, importanti, con questioni pratiche di grande rilevanza. Eppure, il tema è spesso
utilizzato più per polemiche politiche di una parte contro l'altra che
per una seria riflessione sul sistema, sul piano economico e giuridico.
Credo che sia giunto il momento, quindi, di sollevare tale questione, per far
sì che in taluni settori dell'economia ove operano questi soggetti decisamente
ibridi, venga meno questa situazione di indebita protezione, paradossalmente
nascosta da strumenti che dovrebbero invece privilegiare il mercato e la concorrenza,
come le società previste dal Codice Civile.
*Avvocato - studiodangiolella@tin.it
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