Boccia: «Ritrovare la capacitÀ di PROGETTARE il futuro»
PAOLAZZI: «Le imprese devono intraprendere il cambiamento anzitutto per se stesse»
PAOLAZZI: «Le imprese devono intraprendere il cambiamento anzitutto per se stesse»
Il contesto esterno continua a condizionare molto le iniziative imprenditoriali. L'Italia è precipitata infatti all'80° posto nella graduatoria della Banca mondiale per ambiente favorevole al fare impresa
di Raffaella Venerando
Luca Paolazzi Direttore Centro Studi Confindustria
Nella ricerca Costruire il futuro, la crescita del nostro Paese è
legata indissolubilmente ad un innalzamento necessario della innovazione intesa ad ampio raggio.
La buona notizia è che dai focus group realizzati è emerso che «l'accesso al cambiamento e l'obiettivo della crescita sono alla portata delle piccole aziende, forse anche più che di quelle grandi».
C'è da ben sperare quindi per le nostre PMI?
Si dice che non si deve fare di ogni erba un fascio. Questo vale sia per gli aspetti positivi, sia per quelli negativi. Mi spiego: nell'insieme il sistema produttivo italiano fatica a tenere il passo con i cambiamenti in atto nell'economia, sostanzialmente globalizzazione e rivoluzione tecnologica. Anche perché il contestoPaese non aiuta, anzi; e la competitività ha marciato all'indietro. Ma il mondo delle imprese non è un monolite compatto. Mai come oggi appare suddiviso sostanzialmente in due parti: quello delle imprese che, di ogni dimensione e indipendentemente dal settore e dal territorio in cui operano, hanno adottato strategie che si sono rivelate di successo, ottenendo un buon andamento del fatturato e della redditività; e quello delle imprese che, per ragioni diverse, non l'hanno fatto. Il valore aggiunto straordinario dell'esperienza dei focus group è che le strategie di successo sono imitabili, rappresentano un'importante lezione e a salire in cattedra e a fare da maestri sono gli stessi imprenditori. Come ha detto la Presidente Marcegaglia all'ultima Assemblea di Confindustria: «le imprese aiutano le imprese». Indicando loro
la strada per uscire dalla crisi. Certo, ogni storia aziendale ha elementi particolari, che la rendono unica e peculiare. Ma dalle storie delle oltre 450 imprese ascoltate nei focus group è stato possibile estrarre gli ingredienti comuni di quelle strategie. E voglio anticipare subito che un aspetto interessante sta nelle ragioni che hanno indotto le imprese a "svoltare" strategicamente: quasi un quarto degli intervistati ha detto «per la sopravvivenza dell'impresa»; un altro 30% «per garantire la competitività nel lungo periodo», dunque di nuovo per ragioni di sopravvivenza a lungo andare. Sono imprenditori che hanno preso coscienza della necessità di mutare rotta e lo hanno fatto. Punto. Da questa presa di coscienza devono partire le imprese che ancora non hanno modificato strategia, avendo il vantaggio di seguire un percorso già tracciato.
Quali strategie competitive e quali caratteristiche hanno consentito ad alcune PMI di non smarrire la strada dello sviluppo?
Sono tutte strategie imperniate su due caratteristiche: la concentrazione sulla conoscenza, sul sapere proprio dell'impresa; la crescita dimensionale. Due aspetti, che come si spiega in modo più dettagliato nella ricerca Costruire il futuro realizzata dal CSC per Piccola Industria, si rafforzano a vicenda: il sapere viene applicato a sempre nuovi campi e consente così di crescere; la crescita permette di acquisire nuova conoscenza, non astratta, ma tecnologica, organizzativa, manageriale, commerciale. E la crescita e il rafforzamento della conoscenza avvengono integrandosi a valle e a monte, rafforzando i legami con i fornitori strategici, ampliando la gamma di prodotti e andando a prendersi la domanda dove c'è, cioè in nuovi mercati, merceologici e geografici, soprattutto all'estero. Ciò significa internazionalizzazione.
Sempre nella indagine, però, si fa riferimento a «danni permanenti al sistema produttivo». Quali?
Ci si riferisce al calo permanente di attività produttiva in molti settori rispetto ai livelli pre‑crisi e rispetto ai
valori che si sarebbero avuti senza la profonda recessione. In tanti casi, quei valori non verranno mai più recuperati e la perdita di know how che ciò comporta è definitivo.
Continua a crescere il prezzo del petrolio e, più in generale, per le aziende italiane il costo dell'elettricità è superiore a quello degli altri paesi europei. Non è questo però l'unico fattore competitivo che
penalizza per le PMI italiane rispetto alla concorrenza…
No, certo, il cahier de doleances è lungo e al primo posto c'è l'inefficienza della pubblica amministrazione, con tutte le implicazioni e ramificazioni: tempi di risposta eterni, inaccettabile dilazione dei pagamenti, leggi che sono troppe e mal scritte e peggio applicate, iniquità fiscale con aliquote altissime ed evasione enorme, istruzione che non premia il merito tra i docenti, università autoreferenziali, infrastrutture carenti… Mi fermo per carità di patria. In Italia 2015, pubblicato da Confindustria lo scorso anno, ci sono la lista completa e le proposte per migliorare la competitività del Paese.
Veniamo al contesto che «nel Paese continua a condizionare moltissimo le iniziative imprenditoriali». Moltissimo in che termini?
Siamo all'80° posto nella graduatoria della Banca mondiale per ambiente favorevole al fare impresa…
La "soluzione" proposta nella ricerca è il miglioramento della PA, anche in questo caso intesa in un'accezione allargata.
Quale?
Come ho detto poco fa, l'azione della pubblica amministrazione incide in ogni ambito della vita civile ed conomica e nei rapporti tra Stato e contribuenti e anche tra gli stessi attori economici. Pensiamo alla lungaggine della giustizia che mina la certezza del diritto e diminuisce la fiducia nei contratti: ciò rende più difficile gestire rapporti economici complessi.
«Ma il cambiamento non deve attendere la politica, può partire dalle imprese». In che modo?
Le imprese devono intraprendere il cambiamento anzitutto per se stesse e possono fare molto, come insegnano i focus group. Ciò non significa che il contesto non sia importante, ma che si possono ottenere risultati significativi agendo all'interno delle aziende.
Lo studio denuncia un impoverimento del sistema di rappresentanza. Anche la Confindustria fa il mea culpa.
In generale, nei momenti di crisi salgono le attese delle imprese ed è difficile rispondere con soluzioni che alle volte si vorrebbero miracolistiche. Però, anche durante la crisi Confindustria ha aumentato gli iscritti e molto. Inoltre le Associazioni cercano di fornire servizi nuovi per essere vicine alle imprese. Le "ricette" emerse dai focus group sono uno di questi nuovi servizi, che divulgheremo sul territorio.
Un'ultima domanda: chi è l'imprenditore oggi e quella che lei definisce "società imprenditoriale consapevole" quale futuro vuole costruire?
Il vero imprenditore, da sempre, è chi innova, chi è mosso dalla voglia di fare e di cambiare, chi si mette in gioco e chi sa che i destini dell'azienda vanno distinti da quelli personali e famigliari. Ma questo imprenditore deve essere messo al centro della vita
sociale e supportato, condividendo il rischio di investire in nuovi ambiti e i
frutti di questo investimento. I primi alleati sono i lavoratori.
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