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  Dicembre 2012

Articoli n° 06
LUGLIo 2009
 


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CONFINDUSTRIA AVELLINO
Assemblea Pubblica 2009
Relazione del Presidente Silvio Sarno
Avellino, 23 giugno 2009
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CONFINDUSTRIA SALERNO
Pił Etica, pił Impresa con un nuovo Welfare
Intervento del Presidente
Agostino Gallozzi

Salerno, 9 luglio 2009

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Project Financing: linee guida dell’AutoritÀ di Vigilanza

Licenziamento disciplinare:
la Cassazione fornisce gli orientamenti interpretativi

Il mercato del credito e della finanza: piÙ ombre che luci


Il mercato del credito e della finanza: piÙ ombre che luci

Si avverte l’esigenza di principi e valori che devono essere acquisiti nella cultura bancaria,
con formule imprenditoriali attente a benefici estesi in primis a risparmiatori ed operatori economici


Roberto Marcelli
Financial Adviser
studiomarcelli@mclink.it

Nel corso dell’ultimo ventennio il mercato creditizio e finanziario è stato interessato da radicali mutamenti evolutivi che si sono intrecciati e succeduti con rapidità nel tempo. Sia il settore del credito che quello della finanza hanno subito una trasformazione che non è fuori luogo definire epocale. Con l’apertura al mercato internazionale, sospinti dal recepimento degli orientamenti comunitari, si è proceduti alla privatizzazione delle banche, avviata con la legge Amato del ’90, all’adozione del modello di banca universale, nonché alla conseguente radicale revisione della legge bancaria. In breve tempo ad un’impostazione essenzialmente pubblicistica dell’attività bancaria, si è sostituta un’impostazione privatistico-imprenditoriale, incardinata su obiettivi di profitto e di massimizzazione del valore del patrimonio. Nel nuovo contesto regole di mercato, standardizzazioni e trasparenza delle condizioni contrattuali, sono venute a costituire gli unici presidi e tutele.
La legge sulla trasparenza bancaria e finanziaria del ’92 ed il successivo T.U.B. del ’93, dopo un lungo e travagliato iter legislativo, pur apportando, rispetto alla precedente disciplina, puntuali determinazioni dei rapporti, riproducevano tuttavia un assetto normativo giudicato dalla dottrina insoddisfacente sul piano della tutela della clientela bancaria.
Il nuovo modello di conduzione aziendale, incentrato sulla crescita dimensionale delle aziende di credito e rivolto esclusivamente agli obiettivi di efficienza organizzativa, produttiva ed economica, ha imbrigliato ed esautorato la discrezionalità dell’addetto ai rapporti con la clientela: il rispetto degli obiettivi di budget hanno fatto spesso premio sulle esigenze ed interessi della clientela. Anche sul piano dell’efficiente allocazione del credito, incongruenze e discrasie gestionali hanno apprezzabilmente inciso sulla dimensione, natura e modalità dello sviluppo economico. Il 78% dei prestiti bancari si concentra nel 10% degli affidati, costituiti da grandi imprese che, per altro, producono la parte prevalente delle sofferenze.
Anche il mercato finanziario ha subito nel contempo radicali modifiche. Nel corso degli anni ottanta e novanta era già venuto in parte meno il modello “bancocentrico” sul quale per oltre cinquant’anni si era fondato il trasferimento di risparmio dal principale generatore, le famiglie, ai principali utilizzatori, prima lo Stato, con il suo enorme debito pubblico, poi le imprese. A partire dagli anni novanta si è predisposta una sistematica disciplina del mercato finanziario.
Mentre le medie grandi imprese hanno potuto trovare direttamente sul mercato le risorse finanziarie per i propri investimenti, le piccole imprese sono rimaste dipendenti dal credito bancario.
In dieci anni il mercato delle obbligazioni è raddoppiato, la capitalizzazione di borsa è triplicata, il turnover del mercato azionario è aumentato di ben sei volte. Si è ampliata la gamma e la complessità dei servizi e degli strumenti offerti: accanto a quelli tradizionali (obbligazioni e azioni), l’offerta si è estesa ai fondi comuni, ai titoli indice, ai prodotti strutturati, agli hedge, ai derivati, ai prodotti assicurativi con contenuto finanziario. D’altra parte, con la riconduzione del debito pubblico entro limiti definiti e, soprattutto con l’introduzione dell’Euro, si sono allentate le pressioni sul tasso d’inflazione e, di riflesso, sul tasso di interesse. Depurati dall’inflazione, i tassi sugli impieghi free-risk sono risultati prossimi allo zero: il rendimento dei BOT si è mantenuto assai prossimo al tasso d’inflazione. In tali circostanze l’acquisizione di un effettivo rendimento non può avvenire senza l’assunzione di rischio, tanto più esteso quanto più ambizioso è l’obiettivo dei risultati che si vuole conseguire nei propri impieghi finanziari.
Il popolo dei BOT è stato gradualmente iniziato al mercato, attraverso l’istituzione di intermediari che lo potessero supportare e attraverso il dispiego di un’estesa normativa volta sia a conseguire livelli di maggiore trasparenza dell’operatività, sia a creare condizioni giuridiche di tutela di quella forma di risparmio che, gestito direttamente dal Settore Famiglia, poco emancipato, poteva facilmente andare incontro a rischi impropri, derivanti da un’asimmetria informativa, in un mercato evoluto e sofisticato. Nonostante l’estesa normativa introdotta negli anni novanta, il risparmio della clientela retail non ha potuto beneficiare di un adeguato livello di tutela e protezione.
Nei meandri specialistici della materia e nell’articolata normativa che, accanto a principi generali sanciti da leggi e Direttive comunitarie, affianca poderosi regolamenti applicativi, l’intervento dell’autorità giudiziaria risulta difficoltoso, incerto e comunque tardivo, quando ormai il danno si è consumato nella generalità dei clienti. Come in altre recenti vicende che hanno interessato i rapporti fra Banca e clientela, l’impiego distorto delle prerogative speciali riservate all’intermediario bancario non ha riguardato casi singoli e sporadici, ma ha assunto - come nel caso dei derivati - le connotazioni generali di una “mattanza”.
Provvedimenti più recenti - sospinti dai rilevanti danni arrecati ad un’ampia schiera di risparmiatori (Obbligazioni Argentina, Parmalat, Cirio, per citare i più rilevanti) - hanno perseguito l’obiettivo di colmare talune lacune normative ed introdurre elementi di maggiore trasparenza nei rapporti con i risparmiatori.
Nonostante i numerosi interventi delle Supreme Corti, permangono diffusi comportamenti di scarso rispetto delle norme che presiedono i rapporti fra operatori bancari e clientela, famiglie, imprenditori e società. La sostanziale riottosità degli operatori bancari ad adeguarsi al mutato orientamento giurisprudenziale ha rapidamente indotto un’apprezzabile lievitazione delle vertenze, anche su temi e interpretazioni ormai uniformemente condivisi dalla Magistratura. Si assiste ad una pervicace resistenza, da parte dell’operatore bancario, ad addivenire a soluzioni stragiudiziali anche su questioni sufficientemente sedimentate dalla giurisprudenza di Cassazione, costringendo risparmiatori ed operatori economici ad adire le vie legali. Nel corso del giudizio vengono poi posti in essere strumenti di resistenza e ostruzionismo impropri: dalle pretestuose eccezioni sollevate a seguito delle numerose operazioni di fusione ed incorporazioni, alle resistenze frapposte alla produzione di documentazione, sino all’impugnazione di decisioni dall’esito negativo scontato, al solo scopo di dilazionare nel tempo, il definitivo riconoscimento di taluni diritti.
Appare calcolata e predeterminata l’economia di costi che all’intermediario riviene dalla quota parte dei soggetti che rinunciano a percorrere il lungo ed oneroso iter giudiziario per vedere riconosciuti i propri diritti. É carente altresì un presidio sanzionatorio, commisurato alla rilevanza e pregnanza dell’interesse pubblico coinvolto. In altre circostanze, per infrazioni di minor rilievo, si arriva a sanzioni pari a ben 50 volte il valore dell’omesso adempimento, inducendo, seppur forzatamente, comportamenti virtuosi. Il legislatore è intervenuto più volte a correggere e modificare assetti contrattuali e posizioni giurisprudenziali: il ripristino dell’anatocismo trimestrale, ad opera del D.Lgs. n. 342/99 e della successiva Delibera CICR 9/2/00, nonché l’articolata struttura di determinazione delle soglie d’usura, introdotte con la legge 108/96 e l’intervento integrativo operato dalla legge n. 24/01, come anche il menzionato intervento operato sulle C.M.S. con il recente art. 2 bis della legge n. 2/09, non sembrano aver apportato elementi di riequilibrio.
La Magistratura è spesso chiamata a gestire vertenze che non costituiscono casi circoscritti, ma, al contrario, risultano estesi in tutto il territorio con una frequenza ed intensità, che denuncia, nella stessa dimensione del fenomeno, comportamenti speciosi, improntati a scarso rispetto delle norme di legge, non adeguatamente monitorati e censurati.
La Vigilanza, preposta alla tutela di interessi pubblici, costituzionalmente protetti - tutela del risparmio e corretta allocazione del credito - ha privilegiato sino ad oggi obiettivi generali di patrimonializzazione e stabilità degli intermediari, rallentando le spinte alla concorrenza. Nel trade-off stabilità/concorrenza si è privilegiato il primo obiettivo, nella misura in cui il secondo assottiglia i margini di bilancio inducendo elementi di fragilità degli intermediari: è mancata una specifica tutela del cliente bancario. Le norme sulla trasparenza sono risultate carenti ed insufficienti a presidiare la tutela del risparmio ed ad assicurare una corretta allocazione delle risorse finanziarie disponibili.
Nel passaggio dalla concezione pubblicistica dell’attività bancaria alla concezione privatistica, sono stati acquisiti apprezzabili margini di efficienza economica e di confronto con gli operatori internazionali, ma si sono sacrificati aspetti di rilievo che hanno seriamente pregiudicato gli stessi interessi pubblici protetti. La peculiare funzione di collegamento fra risparmio e sviluppo, giustifica la speciale disciplina posta a protezione e tutela dell’attività bancaria, ma, nel contempo, rende più aberranti comportamenti che ostacolano e travisano la stessa funzione a cui è preposto l’intermediario.
L’attività bancaria e finanziaria coinvolge interessi pubblici che trascendono gli obiettivi di profitto dell’impresa bancaria: la tutela del risparmio, nella carta costituzionale, è strettamente accostata alla sua corretta allocazione attraverso forme di selezione delle imprese più produttive e meritevoli del credito, nell’obiettivo generale di favorire lo sviluppo, l’occupazione e il progresso del Paese. Accanto a leggi e normative generali, si avverte l’esigenza di principi e valori che devono essere acquisiti nella cultura bancaria, con formule imprenditoriali attente a benefici estesi alla più ampia compagine degli stakeholders, in primis risparmiatori ed operatori economici. Gli avvenimenti dell’ultimo anno, i fatti e circostanze illustrate, inducono ad una riflessione sulle scelte operate all’inizio degli anni novanta: si rendono necessari temperamenti e un riequilibrio delle parti contrattuali, sempre permanendo in un contesto di libertà d’impresa, non certamente coartata ma attentamente “vigilata”. In prospettiva, più che intrusivi interventi di regolamentazione, si impone un’emancipazione dell’intermediario bancario verso forme di compliance che pervadano ed informino le scelte aziendali, in una responsabile consapevolezza della funzione pubblica assolta.

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