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Licenziamento disciplinare:
la Cassazione fornisce
gli orientamenti interpretativi
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Licenziamento disciplinare:
la Cassazione fornisce
gli orientamenti interpretativi
È utile ricostruire il profilo disciplinare del dipendente al fine di ottenere una valutazione complessiva della sua personalità e stabilire così la proporzionalità o meno del provvedimento adottato
Massimo Ambron
Avvocato
massimo.ambron@libero.it
Ancora una importante sentenza della Corte di Cassazione, precisamente la n. 6569 del 18 marzo 2009 su un tema molto delicato ed importante ai fini del buon andamento della organizzazione ed efficienza aziendale, vale a dire la risoluzione del rapporto di lavoro per motivi disciplinari.
Il fatto è il seguente: un lavoratore addetto al trasporto stoviglie durante lo svolgimento del suo lavoro in tre occasioni, distribuite nel tempo, ma comunque entro i due anni prescritti dal contratto, commise altrettante azioni censurabili sul piano disciplinare. Il più grave episodio si realizzò con ingiurie e minacce nei confronti dell’Amministratore Delegato della struttura ospedaliera presso cui lavorava. Tale episodio fu specificamente contestato con il richiamo alle recidive precedenti, già in precedenza regolarmente contestate e sanzionate con provvedimenti di natura conservativa.
L’ultima contestazione, invece, fu sanzionata con provvedimento espulsivo per giusta causa per la gravità del comportamento del dipendente, che a parere dell’azienda, si sostanziava in un notevole inadempimento contrattuale. Di diverso parere fu, invece, il Tribunale e la Corte di Appello, che sostanzialmente accolsero la tesi della difesa del ricorrente per due motivi. Il primo consisteva nella sproporzione tra gli episodi contestati e la sanzione comminata di licenziamento, in quanto in sede testimoniale apparve esserci stato atteggiamento provocatorio da parte dell’amministratore delegato, che aveva così indotto il ricorrente a profferire frasi ingiuriose.
Il secondo motivo riguardava gli altri episodi contestati (il dipendente aveva caricato eccessivamente il carrello portavivande, causando la caduta e la distruzione delle stoviglie trasportate). Essi apparivano, singolarmente esaminati, non gravi e comunque non tali da essere sanzionati con il licenziamento. Inoltre, altri provvedimenti disciplinari, pur erogati dall’azienda in precedenza, dopo il biennio contrattualmente previsto, non furono presi in alcuna considerazione dai giudici di primo e secondo grado. Non soddisfatta di tali decisioni, l’azienda propose ricorso in Cassazione, che ha censurato l’operato dei colleghi. Questi, infatti, a parere della S.C. hanno erroneamente considerato singolarmente i vari episodi contestati e sanzionati, mentre avrebbero dovuto valutarli in una visione complessiva ed unitaria, in modo da verificare se fossero di tale gravità da minare alle fondamenta il rapporto di fiducia, che è alla base del rapporto di lavoro. Tale visione complessiva è mancata, in quanto i giudici si sono limitati ad escludere che ciascuno dei tre addebiti, singolarmente considerati, presentasse requisiti tali da giustificare il licenziamento. Circa la decisione, poi, dei giudici di primo e secondo grado di non considerare i provvedimenti disciplinari comminati oltre i due anni precedenti all'ultima contestazione disciplinare, la S.C. ha ritenuto fondate le motivazioni del ricorso presentato dal datore di lavoro, in considerazione del fatto che lo statuto dei lavoratori non vieta di considerare episodi non indicati in recidiva, anzi essi contribuiscono a ricostruire il profilo disciplinare del dipendente e sono utili ad una valutazione complessiva della sua personalità e curriculum aziendale per stabilire la proporzionalità o meno del provvedimento adottato. Nel caso specifico i numerosi provvedimenti precedenti e gli ultimi tre episodi complessivamente considerati potevano giustificare il licenziamento disciplinare. |