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  Dicembre 2012

Articoli n° 06
LUGLIo 2009
 


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Bankitalia: Rapporto Economia della Campania 2008

La crisi viene da lontano
Imprese isolate che non riescono a fare sistema contro una recessione che morde ancora.
Una corretta allocazione delle risorse nel pubblico e nel privato è essenziale per ripartire

di Raffaella Venerando

Dati non incoraggianti, anche se non sorprendenti, sono quelli emersi dal Rapporto sull’economia della Campania nel 2008 della Banca d'Italia presentato lo scorso 15 giugno a Napoli, presso il complesso dei Santi Marcellino e Festo. Dopo i saluti del rettore della Federico II Guido Trombetti, del direttore della sede partenopea dell'istituto centrale Sergio Cagnazzo e del sindaco Rosa Russo Iervolino, a commentare le cifre del rapporto è stato Giovanni Iuzzolino, responsabile del nucleo per la ricerca economica della sede di Napoli della Banca d'Italia.
L'economia campana non cresce, ma la colpa non è tutta o solo della crisi che ha sconvolto il sistema economico-finanziario internazionale nell’anno appena trascorso: la mancata crescita ha radici più profonde. Dal 2002 al 2007, infatti, il Prodotto Interno Lordo regionale è stato il più basso d'Italia, più basso anche se paragonato alle altre regioni del Mezzogiorno.
«Già prima del 2008 - ha spiegato Iuzzolino - la Campania aveva smesso di crescere. Il PIL pro capite dal 2002 al 2007 è calato dell’uno per cento, mentre nel resto del Mezzogiorno e in altre regioni europee in ritardo di sviluppo, è aumentato più delle rispettive medie nazionali. Nella nostra regione, gli effetti della crisi sono più gravi perché vanno a sommarsi all’incapacità di crescita economica registrata negli anni».

Il tecnico della Banca d’Italia - cifre alla mano - dimostra come il ritardo di sviluppo sia ormai quasi una peculiarità strutturale della nostra regione: «Nel 2007 il Prodotto Interno Lordo pro capite della Campania era inferiore al 64 per cento della media nazionale. Nel 1955 il divario di sviluppo era inferiore rispetto al resto del Paese (69 per cento). All’interno dei paesi occidentali tutte le regioni che 50 anni fa denotavano un ritardo di sviluppo simile a quello della Campania hanno invece migliorato la propria posizione relativa, riducendo almeno in parte il divario rispetto alla parte avanzata del paese di appartenenza». Anche i tassi di occupazione disegnano una situazione critica: la Campania è infatti all'ultimo posto nella graduatoria dei tassi di occupazione delle regioni europee, cui si somma un’impari distribuzione del reddito che vede ancora la nostra regione all’ultimo posto in Italia e il preoccupante aumento della percentuale di famiglie al di sotto della soglia di povertà, che sale a quota 22 per cento.
A questa situazione già così fortemente compromessa sono andati poi ad aggiungersi gli effetti della crisi economico-finanziaria su imprese ed occupazione. Ma perché il 2008 è stato peggiore in Campania? Iuzzolino ha rinvenuto quattro aspetti fondamentali su cui porre l’accento: «La grave situazione occupazionale, ulteriormente peggiorata anche in termini prospettici, incide fortemente sulla dinamica dei consumi (la Campania è la sola regione insieme alla Calabria in cui negli ultimi 5 anni il numero di occupati è diminuito). Il settore dei servizi ha subito anche gli effetti del pesante calo delle presenze turistiche (-5,7 per cento nel 2008, il peggior dato da 25 anni). Componenti importanti della spesa pubblica, quella sanitaria e quella relativa agli investimenti, sono calate più che nel resto del Paese. Il settore della logistica, particolarmente importante in regione, ha risentito del brusco calo delle transazioni commerciali».
Stando ai dati emersi dal rapporto, il Prodotto Interno Lordo ha subito un forte calo in tutti i comparti, ad esclusione del settore agroalimentare.
Sulla situazione finanziaria e l’accesso al credito delle imprese, la crisi ha fatto sentire pesante il suo impatto, rendendo più forte il fabbisogno di liquidità. L’86,1% delle aziende campane dichiara di aver subito danni ingenti dalla crisi, che hanno fatto registrare - per il 71,9% - un sostanziale calo della domanda, per il 73,7% ritardi nei pagamenti dei clienti e per il 31,3% una difficoltà nel reperimento dei fondi. A questa situazione fatta di molte ombre poi si è aggiunto l'allungamento dei tempi di pagamento dei crediti della Pubblica amministrazione e la restrizione dell'offerta di credito, con il 67,2% delle imprese che ha dichiarato di aver subito un inasprimento delle condizioni di indebitamento.
Quali sono allora le prospettive? Cosa ci aspetta una volta che la crisi avrà segnato il passo? Da dove occorre ripartire? Posto che secondo le previsioni fornite dalle imprese la crisi dovrebbe cessare di mietere danni solo nella prima parte del 2010, Iuzzolino guarda al futuro partendo dagli esempi positivi presenti sia nel mondo imprenditoriale sia nel settore pubblico da cui è possibile trarre insegnamenti e buone pratiche.
Per quest’ultimo, sono le opere pubbliche a far registrare prospettive positive, in particolare quelle legate al sistema dei trasporti. «Lo stato di attuazione delle opere pubbliche in corso di realizzazione - sostiene Iuzzolino - appare diversificato tra le singole iniziative, molte delle quali si caratterizzano per la complessità degli interventi e la vastità dei territori interessati. Tra le più importanti, spiccano, anche per la relativa velocità dei tempi di realizzazione, quelle connesse alla gestione commissariale per l’assestamento idrogeologico e la bonifica dell’ampio bacino del fiume Sarno».
Procede a ritmi che fanno ben sperare anche la realizzazione del progetto del sistema di metropolitana regionale, la cosiddetta “cura del ferro” che avviata all’inizio del decennio, finora ha visto portato a compimento circa il 30 per cento delle principali opere programmate e attivato i cantieri per oltre il 40 per cento delle restanti opere.
La conclusione dello studio lascia qualche spiraglio di luce, quindi, ma riafferma la consapevolezza che «la crisi economico-finanziaria ha determinato in Campania un’accelerazione di dinamiche negative già in atto».
A causa della crisi la base produttiva - di per sé già esigua - ha subito un ulteriore ridimensionamento che si è riflettuto in una elevata e crescente diffusione della inoccupazione e della povertà relativa delle famiglie e in consistenti fenomeni migratori della parte migliore del nostro capitale umano. Se le attività produttive torneranno a crescere - come si spera - nel 2010, non tutto però sarà risolto. Resteranno i nodi strutturali con cui il nostro territorio vive e si confronta da più di un decennio, quelle stesse carenze che ne hanno determinato e ne determinano un ritardo in termini di competitività.
Una svolta potrebbe rinvenirsi nel credito - da sempre una questione spinosa per il mondo imprenditoriale meridionale - e nella corretta allocazione delle risorse.
Da qui il richiamo alle banche a fare da partner nella selezione dei progetti e delle imprese particolarmente meritevoli che, una volta superata la fase di frenata del credito, potrebbero tornare a farsi carico di nuovi e di rimando di nuova occupazione.
Analogamente, una giusta e virtuosa allocazione delle risorse pubbliche - che si muova sull’esempio delle buone pratiche presenti in regione - può in maniera determinante contribuire ad allontanare il pericolo di declino economico della nostra regione.

«Per le imprese meridionali il federalismo può rappresentare una opportunità: creando uno stretto collegamento tra le decisioni di spesa e di prelievo, può determinare una maggiore efficienza nell’utilizzo delle risorse»

I commenti ai dati
Dopo l’esposizione del tecnico Giovanni Iuzzolino, si è aperta la fase dei commenti che ha visto pronunciarsi per primo Fabrizio Saccomanni, Direttore Generale della Banca d’Italia: «I ritardi dell’economia meridionale sono persistenti e la crisi economico-finanziaria che stiamo vivendo ne ha solo inasprito la portata. Il ritorno alla crescita del nostro Paese - come dichiarato dal Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi - non sarà sostenibile senza il recupero delle ampie risorse sottoutilizzate nel Meridione. Oggi il prodotto del Mezzogiorno è solo del 4% maggiore di quello che era a inizio decennio, una crescita inferiore a quella già insoddisfacente del Paese. Nella media del decennio il prodotto per abitante del Mezzogiorno è rimasto bel al di sotto del 60% di quello del Centro Nord. Larga parte del divario è attribuibile alla bassa occupazione, soprattutto tra le donne e i giovani. L’incidenza del lavoro irregolare è circa il doppio di quella del Centro Nord». Quelli che sottolinea il direttore Saccomanni sono numeri a dir poco sconfortanti: «Le politiche per lo sviluppo regionale hanno mancato gli obiettivi; la spesa effettiva é stata inferiore a quella preventivata, gli aiuti alle imprese sono stati spesso inefficaci e distorsivi, si é fatto poco per cambiare quegli aspetti del contesto socio-economico e istituzionale che più rilevano per lo sviluppo, come legalità, l'istruzione, il concetto stesso di servizio pubblico».
Saccomanni punta il dito contro il sistema produttivo meridionale che «stenta a fare la sua parte nel processo di ristrutturazione di quello nazionale determinato dalla globalizzazione del mercato, dall'unificazione monetaria europea e della innovazione tecnologica; condizione che Bankitalia vede emergere in particolare per i poli esportatori del Sud specializzati in made in Italy, non in grado di sostenere la concorrenza dei paesi a più recente industrializzazione e a più basso costo del lavoro».
Secondo lo studio commentato da Saccomanni, le imprese del Centro Nord sembrano «più reattive nel rispondere alla crisi, mediante diversificazioni dei mercati di sbocco e miglioramenti qualitativi dei prodotti. In generale - ha proseguito - due fattori cruciali per meglio cogliere le future opportunità di ripresa sembrano consistere nell’aver avviato ben prima della crisi un processo di ristrutturazione aziendale e nel non essere aggravati da un ulteriore indebitamento». E proprio riguardo questi due aspetti, le imprese del Sud appaiono maggiormente in difficoltà.
Il direttore ha posto poi l’attenzione su di una possibile via d’uscita dalla crisi: il federalismo fiscale.
«Per le imprese meridionali - ha osservato - il federalismo può rappresentare una opportunità: è uno strumento di responsabilizzazione delle Amministrazioni pubbliche locali e di orientamento ai risultati dell’azione pubblica. Creando uno stretto collegamento tra le decisioni di spesa e di prelievo, può determinare una maggiore efficienza nell’utilizzo delle risorse».
Quella del federalismo - secondo il direttore Saccomanni - è una opportunità da cogliere «puntando sul conseguimento dei risultati, piuttosto che sulla dimensione della spesa, proseguendo nell’azione di modernizzazione delle Amministrazioni pubbliche e nell’aumento della loro efficienza, tenendo anche conto dei costi reali di produzione dei servizi. Capacità di valutare l’efficacia degli interventi e trasparenza nei confronti dei cittadini ne sono precondizioni».
È stata poi la volta di Agostino Gallozzi, presidente di Confindustria Salerno, che durante il suo intervento ha sottolineato la condizione di grave difficoltà dell’economia provinciale e regionale, ribadendo l’urgenza di mettere in campo fin da subito iniziative operative in grado di dare sostegno concreto alle aziende soprattutto di dimensioni più piccole.
«Bisogna richiamare tutti alle proprie responsabilità - ha rimarcato Gallozzi - e delineare pragmaticamente un nuovo scenario che non può non tenere conto di una politica specifica per il Sud. É necessario un nuovo modello di sviluppo, una nuova visione: occorrono riforme strutturali della Pubblica Amministrazione e più incentivi ai percorsi produttivi legati all’innovazione ed all’aggregazione di imprese».

«Se assunzione di responsabilità significa sottolineare il ruolo sociale del “fare impresa”è necessario proporre un nuovo atteggiamento: non più
concertazione di obiettivi, ma condivisione e massima trasparenza negli investimenti pubblici a sostegno dei sistemi di sviluppo»


«É evidente - ha continuato Gallozzi - l'importanza del contesto di riferimento, delle infrastrutture materiali (reti, impianti, attrezzature per le comunicazioni, trasporti, smaltimento rifiuti) e di quelle immateriali (ricerca, società dell'informazione) che riducono per tutti le diseconomie di localizzazione e nello stesso tempo assicurano servizi collettivi di qualità».
«É innegabile - ha proseguito Gallozzi - che servano adeguate risorse per superare le differenze che si sono accumulate con il resto del Paese in termini di dotazioni infrastrutturali e di livello complessivo di qualità della vita. Ma l’approccio non può essere concentrato solo su questo punto perché finiremmo per non comprendere come nella storia del Mezzogiorno quasi mai più risorse si siano tramutate in maggiore sviluppo. Occorre ricondurre i termini di questa sfida nel clima culturale giusto e in un agire politico responsabile. Il federalismo è una straordinaria occasione per il Sud, a patto che maturi una “nuova primavera” civile, politica ed istituzionale».
«Credo fortemente - ha concluso Gallozzi - che tutti insieme possiamo lavorare per evitare che il Mezzogiorno scompaia dall’Agenda reale del Paese. Per farlo bisognerà certamente cogliere le opportunità del federalismo fiscale e dimostrare che abbiamo una classe dirigente capace di risollevare le sorti della propria terra a maggior ragione in una fase di crisi perché è nelle crisi che si possono individuare le opportunità migliori. Penso ad esempio all’atteggiamento delle Banche nella ricostruzione post bellica e a figure illuminate che orientarono il loro impegno verso una crescita equilibrata di tutto il sistema economico».
Netto il passaggio di Gallozzi rispetto al ruolo delle imprese. «Se assunzione di responsabilità significa sottolineare il ruolo sociale del “fare impresa” è necessario proporre un nuovo atteggiamento: non più un ruolo eminentemente rivendicativo e “sindacale”, ma soprattutto capacità di proposta e fermezza nella denuncia di inadempienze, illegalità ed inefficienze amministrative. Non più “concertazione” di obiettivi, confidando in azioni di sostegno indiscriminato all’intrapresa, ma condivisione e massima trasparenza negli investimenti pubblici a sostegno dei sistemi di sviluppo».

«I tempi della politica devono coincidere con quelli del mercato. Rimettiamo al centro dell’agenda del Paese la competitività delle imprese»

Dopo il presidente degli industriali salernitani, a commentare lo studio della Banca d’Italia è stato Ambrogio Prezioso, presidente dell’Associazione Costruttori Edili della provincia di Napoli che ha esordito rimarcando subito quali sono le note dolenti per l’edilizia nella nostra regione: scarso credito bancario e lentezza della macchina pubblica. «Il nostro Paese - ha sottolineato Prezioso - è per investimenti infrastrutturali all’ultimo posto in Europa». Secondo il costruttore, negli ultimi mesi le imprese edili stanno subendo gli effetti del credit crunch praticato dalle banche, che sta bloccando la loro operatività ai fini dei programmi di investimento, mancando quella che deve essere una funzione precipua delle banche, ovvero «un bene a servizio dell'economia». Prezioso chiede alla politica «il rispetto dei tempi del mercato e di non limitarsi a esercitare poteri interdittivi, ma collaborativi».
Citando proprio il Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, il presidente Prezioso sollecita che i tempi della politica siano finalmente coincidenti con quelli del mercato e che «la politica favorisca le forze rigogliose del Paese». «Rimettiamo al centro della nostra agenda - ha concluso - la competitività delle imprese. Bisogna riattivare opere e investimenti. Aggirare la burocrazia soffocante, fare leva sui tempi delle iniziative che scoraggiano gli investimenti. E c'è un'opportunità importante da utilizzare come leva di sviluppo, il Forum delle Culture, che porterà nella nostra città 4 milioni di persone in pochi mesi. Napoli passerà quindi nei Tg di tutto il mondo per un periodo medio-lungo. Sapranno, sapremo noi tutti attori del territorio riorganizzarci e ripartire? Sapremo fare e fare presto? Questa è la sfida!».

«è fuorviante ritenere che il “palazzo” sia impermeabile e incomunicante con l’esterno. La politica fa la società e viceversa»

Dopo Prezioso, la parola è passata ad Aldo Masullo, Professore Emerito dell’Università degli Studi Federico II di Napoli che, alla attenta platea, ha spiegato la sua affascinante tesi sulle ragioni del divario di sviluppo del Mezzogiorno. «In Campania, ma in tutto il Meridione d’Italia, - esordisce così Masullo - ci troviamo di fronte ad una situazione che non è di emergenza. Non lo è perché le attuali condizioni socioeconomiche sono da attribuirsi ad un cinquantennio di scelte sbagliate o mancate, non esclusivamente alla congiuntura negativa dell’ultimo periodo. La Campania poi è l’unica regione dell’Italia meridionale a non avere fatto neanche un passo in avanti rispetto alle proprie condizioni di disagio. Se in cinquant’anni questo territorio non ha fatto niente verso un adeguamento alla società italiana, le ragioni non sono di tipo economico ma culturale. La scarsità di occupazione è una costante nel tempo, oggi come cinquanta anni fa, ed è per questo motivo che sono nate le dipendenze e le clientele politiche. La categoria della protezione esclude quella del diritto. Da noi a regnare è la logica della separatezza, del “frammentismo”, del “ciascuno per sé e non del tutti per uno”. La nostra società non è solida né liquida. È una società grumosa: non conta nessun interesse se non quello all’interno del grumo stesso».
Un aspetto più volte sottolineato dal Professore Masullo è la mancanza di responsabilità che permea spesso le istituzioni meridionali: «Per quanto riguarda il ruolo dello Stato centrale, la forza della legge deve proseguire senza incertezze l'inflessibile opera di repressione della camorra fino, se non a estirparla, almeno a ridurla a fenomeno di criminalità marginale. Ma l'intervento principe, sia per qualità che per estensione, attende d'essere operato sulla base istituzionale della cultura, sulle strutture dell'istruzione, dalle scuole materne all'Università. Se le nostre amministrazioni, poi, prendessero coscienza che le loro azioni hanno valore educativo e diseducativo, forse, si assumerebbero decisioni diverse. Si attui poi l'effettiva trasparenza delle decisioni, da maturarsi attraverso l'aperto confronto con i cittadini e le loro valutazioni critiche. Da noi non esiste la borghesia che assume su di sé la responsabilità di individuare alcune linee specifiche adoperandosi per seguirle. Ad individualità intelligenti e coraggiose sta il compito di oltrepassare il limitato campo del proprio lavoro professionale per promuovere iniziative associate e progettualità innovative e aprire strade verso un agire economico che assuma responsabilmente la funzione di costruzione civile».
Quali le soluzioni allora per recuperare il terreno perduto?
«Bisogna puntare in alto: basta con l’organizzazione di festival e di forum, oggi di moda per la gloria di piccoli e grandi affarismi ed esibizionismi istituzionali. Per uscire dalla nostra realtà paludosa e stagnante servono idee-forza capaci di galvanizzare e attrarre, rappresentando apertura all'universalità e durevoli prospettive».
Masullo ipotizza un primo grande progetto per traghettare la regione verso un futuro di rinascita: «Napoli e la Campania ospitano ben sei grandi Università pubbliche e numerose altre istituzioni di alta cultura. Perché non fare di Napoli la sede permanente dell'organico lavoro scientifico per la pace? Se i nostri atenei realizzassero un programma interuniversitario di ricerche sulla pace e di corsi di laurea per le competenti professionali della pace, Napoli avrebbe un'occasione unica per diventare un formidabile attrattore d'interessi culturali da tutto il mondo e anche di finora impensabili investimenti finanziari».

«In Campania la categoria della protezione troppo a lungo ha escluso quella del diritto. Da noi ha regnato la logica del ciascuno per sè e non del tutti per uno»

Alle parole di Masullo fanno successivamente eco quelle di un altro Professore Emerito dell’Università degli Studi Federico II di Napoli, Giuseppe Galasso. È Galasso a chiudere il convegno lasciando ai presenti in sala un messaggio di fiducia e ottimismo: «I dati relativi all’economia campana 2008 sono sconfortanti, ma non tutto è perduto». «Il Sud è da sempre diviso al suo interno - prosegue - e distante dal resto d’Italia tuttavia, le diversità interne non hanno mai potuto rovesciare l'unitarietà complessiva del Sud nel dualismo italiano. E anche di ciò le nuove statistiche offrono ampia conferma. Il fenomeno del dualismo che vuole il nostro Paese a due velocità non è una scoperta degli ultimi anni, infatti. Quanto di positivo si può notare nel Mezzogiorno d’Italia purtroppo troppo spesso rappresenta “un caso isolato”, che non da solo non è capace di determinare quel salto di qualità di cui forte sentiamo l’esigenza. Tutto, infatti, quanto di positivo e avanzato si può notare qui, e che spesso davvero non è poco, rimane poi frammentario; rimane come impresa e riuscita isolata; vive nella singolarità del suo merito e della sua distinzione. Non forma, insomma, sistema; non feconda tanto e così a fondo il campo in cui si sviluppa da poterne determinare un generale salto di qualità».
L’isolamento quindi come deterrente ad un sano sviluppo, ad una crescita che resista al tempo e ai contraccolpi del mercato.
«Senza vestire i panni del grillo parlante - continua Galasso - vorrei solo ricordare in questa sede che quello della nostra regione non è tanto un problema di conoscenza o di idee, finanche troppe talvolta, quanto di volontà, forza e scelte politiche. È fuorviante ritenere che la politica sia cosa altra dalla società, che il palazzo sia impermeabile e incomunicante con l'esterno. La politica fa la società e viceversa. Vero, però, che tra politica e società si possono determinare rapporti poco funzionali, poco vitali, poco costruttivi, con zone di privilegi, di vantaggi, di rendite di posizione, di arrivismi e opportunismi, di legami particolaristici e corporativi che sono la negazione sia della buona politica, sia di una vera fisiologia sociale. E in tal caso le cose si fanno di certo molto più difficili, e si sa che a giudizio di molti è questo un vicolo cieco in cui ora ci si ritrova anche qui. Inutile prendersela con lo Stato».«Da noi la società è un’idea astratta che non ha occhi per vedere né intelletto per comprendere i suoi mali e darvi riparo. Imputare ogni cosa allo Stato non risolve alcunché. Le istituzioni devono fare il loro dovere, certo, ma il problema è sempre da ricondurre alle politiche e alle dinamiche della società».
Basta quindi trincerarsi dietro quelle che lui stesso definisce «le comode tesi del Governo assente e del Sud inerte e muto».
Il professore come lui stesso ammette, per deformazione professionale, guarda ai giovani come risorsa indispensabile per il riscatto: «Ho visto passarsi dinanzi a me tre o quattro generazioni di studenti, ho visto rifiorire ogni volta nei loro giovani occhi la certezza che la vita era per essi un libro aperto e la disponibilità a scrivere, e non solo a leggere, quel libro. Forse per questo non riesco ad essere pessimista, e neppure freddamente analitico. E mi pare che il successo largo e frequente dei nostri giovani fuori di qui autorizzi alla fiducia e accresca la nostra responsabilità di far sì che il teatro di quel successo non sia soltanto in altri luoghi d'Italia e del mondo».

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