di Antonello Tolve
Critico d’arte
NicolÁs Pallavicini, come strappare le pareti alla cittÀ
Galleria Tiziana Di Caro, Salerno
Da sinistra: l’opera d’apertura della galleria e la gallerista Tiziana Di Caro (Foto di Mimmo Di Caro)
Visione matematica della vita e diramazione attuale dell'estetica paesaggistica segnano la grammatica visiva formulata da Nicolás Pallavicini per gli spazi della Galleria Tiziana Di Caro.
Sulla scia d'un discorso analitico, l’artista propone, con Reverse, una pittura che strappa le pareti alla città, ai territori propri dell'urbanistica, per riportarli su vaste superfici nelle quali raccontare il mondo con una cromatografia altamente materica. Giudicata come puro fenomeno plastico, la pittura è, per Pallavicini, un trucco fisico in cui far interagire il contenente e il contenuto tramite un vocabolario linguistico - fatto di forme circolari ed ellittiche, di contrasti e asimmetrie, di linee spezzate - che evidenzia una passione globale e globalizzante, in grado di riqualificare la scena naturale in formula transpaesaggistica che slabbra i flussi spazio-temporali del quotidiano per generare una vivacissima orchestra atemporale (C. Vigliotti).
Colature o increspature cromatiche, impronte di oggetti impresse con stravaganza sulla superficie, strisce di colore che fanno il verso - con una mimeticità sorprendente - a carta gommata o scotch per imballaggio di diverso spessore. Sono soltanto alcuni degli stratagemmi adottati dall'artista per recuperare una Gefühlsregung in grado di vitalizzare il paesaggio mediante pennellate decise e larghe che si stendono sulla tela emancipando il concetto di pittura tramite una potente interpretazione geometrico-matematica dello spazio.
Antonello Tolve (A. T.): Nicolás, tu rappresenti il primo incontro con la pittura per la Galleria Tiziana Di Caro. Incontro felice, direi, perché è possibile individuare un disegno riflessivo in cui la gallerista ha evidenziato, ancora una volta, un discorso socio-antropologico legato ai tessuti del territorio. L'aperto e il chiuso, l'interno e l'esterno. Mi pare che il tuo discorso vada proprio verso questa tangente riflessiva. Quella, cioè, di portare negli spazi della galleria il mondo della vita.
Nicolás Pallavicini (N. P.): «È una riflessione intrigante. C'è una matrice paesaggistica imprescindibile nel mio lavoro. Del resto ho passato molti anni a cercare di stabilire un rapporto fenomenico con gli elementi della natura esclusivamente laico e, naturalmente, estetico. I quadri esposti ora in galleria vengono dopo questo primo percorso. Tu parli di urbanizzazione. Sì, devo dire che rispetto al lavoro precedente in questi entrano anche altri elementi che tu hai individuato, appunto, come urbani, come organizzazione di una città. Tutto sommato il mio lavoro è uno sguardo sul paesaggio che si configura come elementi che si trovano anche al di fuori della natura».
A. T.: È quasi uno sguardo transnaturale, che va al di là della natura stessa.
N. P.: «Si, esatto. È una forma di transnatura dove la gestione, il calibro e la composizione giocano un ruolo fondamentale».
A. T.: Reverse si presenta come punto terminale di un discorso sul paesaggio, anzi, sull'anatomia del paesaggio. La pittura rappresenta, nel tuo lavoro, il medium privilegiato per azionare un discorso che tende a ripensare eticamente e riqualificare artisticamente il paesaggio. Cosa significa per te, stare di fronte ad un paesaggio, sia esso urbano, interurbano o campestre?
N. P.: «Stare di fronte ad un paesaggio, che è una cosa molto naturale, significa, per me, guardare laicamente uno spazio e fare una scelta. Guardare un paesaggio significa, ancora, frammentare uno spazio infinito e riportarlo, poi, sulla tela, anch'essa potenzialmente infinita».
A. T.: Il tuo lavoro si estende su ampie dimensioni quasi a tracciare con precisione il desiderio di strappare la pelle alla realtà e riportarla, con tutte le sue ferite linguistiche e le sue infinite ipotesi, sul supporto specifico. Ti andrebbe di delineare, per chiudere questo breve dialogo, le linee generali del tuo sentiero progettuale?
N. P.: «Questa cosa di strappare la pelle alla realtà è proprio una sensazione che ho provato nel realizzare questi quadri. È vero, io qui strappo una scritta che è nella realtà così com'è. Lo stesso vale per lo scotch. Questo dello scotch è un nuovo discorso, per me, molto importante perché con lo scotch rielaboro il concetto di mimeticità del paesaggio; e lo faccio precisamente attraverso questo trucco fisico. Un trucco che è proprio di questa quarta dimensione della pittura, cioè la materia».
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