Il piano di risanamento
attestato
Gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione di un piano di risanamento attestato non sono soggetti all’azione revocatoria
Maurizio Galardo
Avvocato, Studio Legale Galardo & Venturiello
info@galardoventuriello.it
Con la nuova legge fallimentare (R.D. 267/1942 e succ. modd.) è stata introdotta nell’articolo 67 comma 3 lett. d) un’ipotesi di esenzione dall’azione revocatoria per gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore, purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria, la cui ragionevolezza sia attestata da un professionista iscritto nel Registro dei revisori e che abbia i requisiti previsti dall’art. 28 lett. a) e b) ai sensi dell’art. 2501 bis comma 4 cod. civ..
Questo articolo costituisce l’unica norma dedicata al nuovo istituto. Rispetto agli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182 bis l. fall), i piani attestati di risanamento ex art. 67 comma 3 lett. d) l. fall. sono caratterizzati da un grado di autonomia dell’imprenditore in crisi ancora maggiore, trattandosi di un atto predisposto da questi in maniera unilaterale, senza la necessità dell’adesione dei creditori e per il quale non è prevista alcuna forma di pubblicità preventiva o di controllo giudiziale. La stabilità degli effetti degli atti attuativi del piano di risanamento, si ricollega esclusivamente all’esenzione dall’azione revocatoria prevista dall’art. 67 comma 3 lett. d) l. fall..
La circostanza che non sia necessaria l’adesione dei creditori ha fatto ritenere che il presupposto oggettivo per accedere allo strumento del piano di risanamento consista in una mera difficoltà transitoria dell’impresa, di carattere finanziario, sicuramente gestibile all’interno della stessa, senza la necessità dell’adesione dei creditori, in quanto comunque non suscettibile di sfociare in un vero e proprio stato d’insolvenza. Troverebbe così una giustificazione la mancanza, in questo caso, di una procedura di controllo giudiziario sull’impresa in crisi, trattandosi di ipotesi di difficoltà finanziaria meno gravi, caratterizzate dalla mancanza di ogni manifestazione esteriore. Al contrario nella disciplina degli accordi di ristrutturazione dei debiti (art 182 bis l. fall.), la maggiore gravità dello stato di crisi e l’esigenza di tutelare i creditori dell’imprenditore, impongono un controllo giudiziale che si esplica attraverso l’omologazione del Tribunale. In tale prospettiva le soluzioni negoziate della crisi d’impresa che prevedono una forma di controllo giurisdizionale, come il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, sono destinate a quelle situazioni di crisi più grave ed eventualmente prodromiche allo stato d’insolvenza. Tuttavia, mentre nell’ipotesi di accordo di ristrutturazione dei debiti omologato, secondo l’opinione prevalente, salva l’ipotesi di dolo non si potranno contestare agli amministratori, responsabilità civili o penali, né per il ritardato fallimento, né per aver effettuato pagamenti preferenziali, al contrario, nel caso del piano di risanamento attestato ex art. 67 l. fall. comma 3 lett. d), qualora a questo segua il fallimento, e venga dimostrata la non ragionevolezza del piano, si potrà contestare sotto il profilo civile e penale l’aggravamento del dissesto. L’impresa che versa in uno stato di crisi, per il cui superamento è necessaria la partecipazione dei creditori, dovrà dunque far ricorso alternativamente al concordato preventivo o all’accordo di ristrutturazione dei debiti, ma non potrà utilizzare lo strumento del piano attestato di risanamento (art. 67 l. fall.) questo può infatti, essere idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria solo ove l’imprenditore abbia una seria capacità reddituale prospettica, data da disponibilità liquide proprie o dall’accesso a nuova finanza.
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