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  Dicembre 2012

Articoli n° 03
APRILE 2009
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Oriundi nello sport:
un’opportunitÀ o un autogol?
Il caso Amauri divide il Paese


di Antonio Vitolo e Rosario Santitoro Creo & Stratego srll

Chi ama lo sport conoscerà sicuramente, pur senza aver cercato sul dizionario, il significato della parola “oriundo”. Questo termine indica colui il quale nasce in un paese diverso da quello dei suoi genitori o antenati, e nel quale questi sono emigrati.
Per gli sportivi invece, il significato è molto più semplice: è oriundo colui che veste i colori di una nazionale, pur essendo straniero. Questo fenomeno si è largamente diffuso negli ultimi anni, in maniera trasversale, in molte discipline sportive.
Il gioco è semplice: il campione di turno, proveniente spesso da paesi con squadre nazionali scarse o al contrario molto affollate, una volta acquisita la nazionalità del paese ospitante viene chiamato a vestirne i colori. Molto spesso si tratta di squadre a loro volta deboli che utilizzano questo metodo per allestire compagini competitive, nonostante la carenza di talenti cresciuti in casa. In realtà questa pratica, regolata da norme precise che variano in base alle discipline sportive, non è sempre condivisa dai tifosi, alcuni dei quali sono contrari all’utilizzo di stranieri naturalizzati. La questione è alquanto delicata, e come spesso accade, si creano due opposte fazioni tra favorevoli e contrari.
Da mesi in Italia tiene banco il caso Amauri, o Amaurì a seconda che lo si voglia italianizzare o meno. Ed è proprio questo il punto: è giusto che Amauri vesta la maglia azzurra pur essendo brasiliano a tutti gli effetti? Un tempo le nazionali venivano anche chiamate “rappresentative”. Questo termine, dal sapore un po’ antico, indica con chiarezza quanto queste squadre abbiano lo scopo di rappresentare un paese, distinguendolo quindi da tutti gli altri. Forse è proprio questo aspetto a generare malumore nei tifosi, che faticano a vedersi rappresentati da campioni di indiscusso talento, ma diversi per cultura ed aspetto. In passato la convocazione dell’argentino Camoranesi, aveva suscitato le stesse polemiche, ma il tutto si era placato velocemente, a causa della carenza di giocatori di fascia nell’intero panorama italiano. Adesso invece il ruolo in questione è l’attacco, e il CT degli azzurri, Marcello Lippi, non può certo disperarsi, vista l’abbondanza di talenti “italici” di cui dispone. Per un atleta che potrebbe vestire l’azzurro, ve n’è un’altra che l’azzurro l’ha già vestito, Taismary “Tai” Aguero. La bellissima pallavolista di origine cubana, nota ai più per la triste vicenda che l’ha vista dover abbandonare le olimpiadi per raggiungere la madre morente, ha vinto con la squadra femminile gli Europei e la Coppa del Mondo, entrambe nel 2007. La sua storia è degna di nota: dopo aver giocato a lungo e vinto tutto con la nazionale cubana, nel 2001 approfitta di una partita in Svizzera per abbandonare il ritiro e lasciare definitivamente l’isola, in quanto non riusciva più a sopportare la vita del regime.
Dopo aver sposato un italiano, ha cominciato dal 2007 a vestire l’azzurro. Da notare come siano stati i particolari rilevanti della sua vita a renderla conosciuta ai più, invece che i dibattiti sul fatto che sia giusto o meno gareggiare con due maglie diverse. Che dire poi di Yang Min, Wang Yu o Tian Jing? Se questi nomi non vi dicono nulla, state tranquilli, non siete certo gli unici. Eppure sono loro l’anima delle squadre italiane maschili e femminili di ping pong (o tennis tavolo se preferite).
Alla luce di questo, appare chiaro come non sia solo la presenza o meno di stranieri, nelle squadre nazionali, a creare problemi di identità nei tifosi. Sono invece i diversi tipi di sport che ricevono o meno il titolo di “rappresentanti ufficiali” di una nazione. Il calcio non può non ottenere questo diritto, e probabilmente la grande importanza che i tifosi gli attribuiscono, genera un istinto protettivo che li porta a volere che la nazionale sia solo loro, per riconoscersi almeno un po’ in un Paese a volte frammentato.

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